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La lettera d'amore di un nintendaro al Mega Drive

acconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

SEXY AND I KNOW IT

Se avete letto i miei contributi alla Cover Story di questo mese, è possibile che abbiate notato un fil rouge ulteriore, oltre al fatto che si parlava di Sega Mega Drive.

Il fil rouge è che io il Mega Drive non ce l’avevo mica. Sono un intruso, in questa celebrazione, uno dell’altra fazione che è entrato a gamba tesa con il suo misto di ricordi di seconda mano e tardivi emulatori per recuperare il tempo perduto.

Eppure io amavo tantissimo il Mega Drive; a posteriori, non è che Amico e Sodale fossero le persone più simpatiche del mondo, però avevano la Scatola Nera. Grazie a quell’ecumenismo che solo un bambino di buon cuore può dimostrare prima di venire indottrinato dalla vita e dal mondo sull’odio per il diverso e sul campanilismo come stile di vita, peraltro, non vivevo la cosa nell’ottica delle “console war”, non concepivo neanche l’idea che possedere una cosa escludesse l’altra e ti schierasse automaticamente in uno di due campi contrapposti. Per me era solo questione di varietà, una specie di visione onirica e post-capitalista in cui non esiste la concorrenza ma si lavora tutti insieme, per offrire opzioni e diversità alla gente; qualcuno sceglieva il Nintendo, qualcuno il Sega (generalmente, tra l’altro, sceglievano i genitori), i ricchi li sceglievano tutti e due. A casa mia si era scelto il Nintendo, e questa è la totalità dei motivi per i quali non ho mai posseduto una console Sega.

Questa l’ho trovata cercando “console wars” su Google. Per il me di allora, questa foto significa solo “minchia se sei ricco”.

Non mi pento di nulla, eh! Sono cresciuto con i giochi Nintendo e i risultati si vedono, sono una persona migliore, sono bello e affascinante ma anche profondo e introspettivo, ed è tutto merito di Super Mario e di Zelda e di Solstice. Mentirei, però, se negassi che già al tempo, nell’angolo più buio del mio cervello, si annidava insidioso il germe della rosicata. Cioè, bellissimo il Super Nintendo, però bellissimo anche il Mega Drive, perché non posso avere anche il Mega Drive? [inserire lezione sul consumismo]. In fondo c’erano altri giochi, altri mondi; pure un’altra filosofia e un’altra estetica, concetti che ovviamente all’epoca non formalizzavo in questo modo ma che mi facevano comunque sentire una certa differenza, una certa distanza tra quello che facevo io e quello che facevano Amico e Sodale. E questa diversità mi faceva salire una voglia matta di saltare dall’altra parte della barricata. Era stuzzicante e frustrante sapere che si potevano fare le cose in un altro modo, e il mio modo mi piaceva un sacco, eh!, non è che rosicassi perché mi sentivo intrappolato con la sorella scema del mondo delle console. Però, ecco, più robe è meglio di meno robe, come diceva anche Foucault.

VAI VIA VATTENE CHI SEI COSA VUOI COSA CI FAI QUI

Amavo molto il Mega Drive perché c’era Sonic. Lo so che molti, soprattutto del mio schieramento, lo consideravano e considerano tutt’ora il fratello scemo di Mario, eppure a me già al tempo era chiarissimo come ci fosse una differenza fondamentale tra i due, che l’uno non era il tentativo di replicare il successo dell’altro ma di proporre un modo radicalmente diverso di approcciare il divertimento del correre dal punto A al punto B. Tutta la faccenda della turbovelocità di Sonic non serviva solo a far vedere quanto fosse potente il Mega Drive, era prima di tutto un modo per ridisegnare i classici livelli di un platform e metterli al servizio di una filosofia che non prevedeva prendere tutto ma scegliere cosa prendere – a meno di non giocarci nel modo meno efficiente possibile, Sonic era una rapidissima sequela di “questo o quell’altro”, di bivi che annullano metà di un livello. Come Mario, anche Sonic era un gioco di andare da sinistra a destra fino a vincere, ma dove Mario era una linea dritta con rami segreti e ben nascosti, Sonic era una successione di scelte che in un certo modo ridefinivano la struttura del livello ogni volta che lo si giocava. Poi, OK, all’atto pratico parliamo di strutture molto più semplici e binarie di come le sto descrivendo io da dietro gli occhiali della nostalgia, ma ai fini di questa lettera, anche un po’ chissene.

SOOOONOOO I CAVALIEEEERI

Amavo moltissimo il Mega Drive perché c’era Legend of Galahad. Era un buon gioco? Non ne ho idea, però era fichissimo, tutto realistico con il suo personaggio con proporzioni corporee logiche. Aveva la faccia di quei giochi da sala giochi che amavo più di ogni altra cosa ma che ero troppo scarso per giocare (uno su tutti Cadash), e che nel parco Nintendo un po’ mancavano (che poi non è vero, Gods ce l’avevo e Actraiser era una cosa, ma ci tengo a ricordare che al tempo non esisteva Internet e quindi, tendenzialmente, non sapevo le cose). Più in generale, Legend of Galahad è responsabile di avermi piantato in testa il seme del dubbio: bello il Nintendo, ma non è che il Sega è meglio perché ci sono le cose da adulti? Lo so, la definizione è sciocca, che cosa cazzo volete, avevo dieci anni. A posteriori, diciamo che vedevo il Mega Drive come il gritty reboot del Super Nintendo (anche esteticamente, parlo proprio dell’oggetto fisico console, il Mega Drive sembrava uscito da Blade Runner mentre lo SNES da, be’, Nintendo), ed era una cosa affascinantissima.

TWO GHOSTS ONE CUP

Amavo da pazzi il Mega Drive perché mi innamorai letteralmente di Shining in the Darkness. Senza giocarci, eh! Una qualche rivista che non ricordo aveva in allegato il walkthrough completo del gioco e io me lo divorai, perché era fatto abbastanza bene da includere anche accenni più o meno approfonditi all’aspetto narrativo, per cui leggerlo era la versione testuale di un moderno Let’s Play su YouTube, senza una voce fastidiosa che ci strilla sopra ogni sette secondi. Quando anni dopo, quando vissi la mia lunga fase emulatori, la prima cosa che feci fu andare a recuperare SiTD, insieme a una serie di altri RPG dei quali nel frattempo avevo scoperto l’esistenza (Phantasy Star, Beyond Oasis); fu molto importante scoprire che era veramente bellissimo come me l’ero immaginato.

DECAP ATTACK


AMAVO DA PAZZI Decap Attack e il suo protagonista Chuck D. Head. Boh, non so cos’altro dire, avete presente di cosa parlo, perché se no potete cliccare sul link che c’è qualche parola fa e scoprirlo.

Amavo il Mega Drive perché è lì che ho scoperto Castle of Illusion, un gioco che riusciva a rendere fico persino Topolino. TOPOLINO DI MERDA, CAPITO? Lo amavo per i giochi di cui ho già raccontato su queste pagine e lo amavo perché Columns sarebbe dovuto essere solo un brutto clone di Tetris e invece spaccava culi, e dimostrava (l’avrebbe fatto, se avessi avuto gli strumenti per accorgermene) che dietro tutta l’operazione c’erano talento e idee chiare e nuove, non solo la voglia di inseguire il successo di Nintendo. Lo amavo, e lo odiavo, perché Mortal Kombat era meglio che su SNES.

La versione TL;DR è che amavo il Mega Drive perché era un’alternativa a quello che già avevo e amavo ed era altrettanto bella e potenzialmente amabile, e già solo l’idea che esistesse questa alternativa sembrava, al me di allora ma anche al me di adesso, una meraviglia e uno dei motivi per cui svegliarsi ogni mattina baciandosi i gomiti.

E questa, incidentalmente, è la mia posizione ufficiale sulle console war e i loro derivati.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.