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A John Wick 3 - Parabellum non puoi dire niente, sennò ti mena

John Wick è un film nato da un movimento di rottura. Rottura di nasi, di denti, ma soprattutto di rottura di palle verso i film d’azione occidentali girati con l’effetto parkinson. Keanu Reeves, coadiuvato dai registi/fu-stuntman Chad Stahelski e David Leitch (poi balzato agli onori della cronaca per Atomica bionda ma solo dove conta davvero), hanno raccolto i cocci del sentimento popolare e avuto la brillante idea di girare le scene di menare in maniera ampia, in modo che si capisca che cazzo sta succedendo, decidendo quindi di regalare cento minuti e venti milioni a questa idea rivoluzionaria. Il fatto che ne abbiano raccolto una novantina in tutto il mondo, nonostante il MacGuffin del film sia l’ammazzamento del cane del protagonista, dimostra che a nessuno interessava nulla del metaforone ma un sacco delle mazzate.

Sì, ché alla fine l’idea di base era quella che, se fai il killer tutta la vita (e sei ovviamente il migliore di tutti a farlo), non puoi davvero smettere di farlo, e pure prendere un bracchetto al canile non ti salverà. Nessuno, tuttavia, pare aver superato il lato ridicolo della faccenda, e John Wick è sempre rimasto il film di quello che ammazza tutti perché gli sparano il cane. Il film, comunque, come detto, diventa un successo clamoroso, dà il la a una nouvelle vague di menare bene e, per la gioia del suo conto in banca, fa tornare Keanu alla ribalta con quello che diventa ufficialmente un franchise. La cumpa, infatti, si riunisce poco dopo e sulle mazzate erige un sequel in cui, non potendo più mungere la mucca il cane morto, il grande e irreprensibile Derek Kolstad (non sapevo facesse anche lo sceneggiatore!) decide di ampliare il pantheon di personaggi macchietta e contesti assolutamente fuori di cozza rimasti sullo sfondo.

Parlando di una saga in cui la figura canina è così centrale, è d’uopo citare il maestro Ferretti: “Ma questa è cagna pure in foto!”

John Wick - Capitolo 2, fatta salva una prima mezz’ora in cui si chiude davvero il film precedente, passa un’ora a raccontare, delineare, massacrare, con un ritmo altalenante e quella qualità da produzione medio bassa che ti fanno capire quanto ci sia di sbagliato in un film che ti vende le mazzate e d’un tratto si sente di fare grande narrativa popolare. Vengono fuori idee, personaggi, oserei dire quasi una mitologia notevole, tagliata con l’accetta (anzi, con la matita), che nonostante vengano portate in scena in un range che va dal canile all’overacting totale (ciao Laurence Fishburne), si riabilitano, anzi, ottengono una dignità e un valore assoluto durante l’ultima mezz’ora, tecnicamente magistrale e visivamente abbacinante, in cui tutti si sentono in dovere di metterti addosso una fotta clamorosa per il terzo film. E ci riescono anche.

Anche qui, tutto il mondo se ne frega delle menate (figurate) e continua a pretendere menate (letterali): pur con una deriva che strizza l’occhio al fumetto indipendente hard boiled, John Wick è rimasto sinonimo di cinema di menare buono. La chiesa eretta sulle mazzate è ancora stabilmente al centro del villaggio, e ad ogni messa il popolo è ebbro del sangue di quel povero cristo di Reeves, costantemente maciullato ma comunque più ganzo di tutti, anche a cinquantaquattro anni. In questo senso, John Wick 3 - Parabellum non fa eccezione e, se vi sono piaciuti gli altri due, non credo di dovervi dire io di andare al cinema.

John Wick 3 - Parabellum parte a cannone, continuando la narrazione non-stop della serie, e come il secondo, si “limita” a fare meglio del film precedente. C’è più ritmo, c’è più voglia di recitare (che non è necessariamente più capacità) da parte di un cast pieno di ritorni e di “ma che fine aveva fatto?”, guidati da Halle Berry. Tutto sempre saldamente poggiato su un immaginario fuori di cozza che, quando possibile, butta altra benzina sul fuoco del maccosa. C’è persino la voglia di stupire lo spettatore con dei colpi di scena, pensate un po’ che robe che tira fuori il Kolstad! Quello che conta, comunque, è che a differenza del secondo film, c’è meno scollamento tra le mazzate e i momenti in cui, purtroppo, si parla di cose. Forse è solo una sensazione data dal fatto che, incredibile ma vero, l’asticella delle scene di menare si è alzata ancora, e le idee e le situazioni messe in scena raggiungono dei momenti abbastanza clamorosi, in cui anche una sala inspiegabilmente piena di anzianotti e gente fuori contesto (mi dicono accada spesso alle anteprime stampa) si gasa, tira di gomito e quasi ci lascia le penne dall’adrenalina. O forse è solo che, beh, questi sono bravi a fare i film con la gente che si mena, e a ‘sto giro hanno messo nel cast gente che sa menare davvero a fare da spalla Keanu, quindi benissimo così.

Forse, toh, a gusto personale, posso giusto aggiungere che John Wick 3 - Parabellum c’ha un po’ la cosa di essere un more of the same, con la solita mezz’ora finale sopra la media che sacrifica un po’ di miracolo visivo sull’altare dell’indonesia, e una deriva da comic che si fa davvero troppo marcata perché rimanga un semplice pretesto narrativo e non scada nel “minchia, ancora?”. Tutti difetti minori, comunque, che non intaccano la sostanza: se volete vedere un gran bel film di menare, andate a vedere John Wick 3 - Parabellum. Correte. Forza!

L’altare dell’Indonesia.

Ho visto John Wick 3 - Parabellum a un’anteprima stampa, in lingua originale. La lingua originale è figa, ché tutti parlano in modo strano, però tanto c’è solo Avengers in lingua originale nel cinema vicino a voi, quindi niente.