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I Pokémon visti da dentro (il negozio)

Sono passati così tanti anni che quasi sembra impossibile, ma c’è stato un tempo in cui i Pokémon non esistevano. Era il 1996, io lavoravo in un negozio di videogiochi specializzato. Erano tempi di novità, di fermento. Internet non era così diffusa, poca gente vi aveva accesso e comunque non esisteva certo l’informazione che c’è ora. Il 90% delle informazioni arrivava ancora dalle riviste stampate e si cominciava a parlare di questo fenomeno che aveva investito il Giappone come uno tsunami. Si parlava di Pokémon, di questo gioco che aveva fatto impazzire tutti. Era un gioco di ruolo, c’erano dei mostriciattoli da addestrare, questo era quanto ne sapevo io. Abbastanza, per il poco che mi interessava. Mi ero già figurato una specie di Tamagotchi in salsa RPG giapponese, e francamente non era certo qualcosa che potesse suscitare in me il minimo interesse, se non quello intellettuale, per pura “cultura” personale. In fondo, non solo vendevo videogiochi, ma scrivevo recensioni già a quei tempi, dunque per me era importante avere una minima consapevolezza anche di ciò che non era esattamente nelle mie corde.

Pokémon, infine, arrivò anche nel bel paese, e fu inaspettatamente isteria di massa anche qui! Veniva venduto in due edizioni: quella blu e quella rossa. Il gioco era esattamente lo stesso, tranne che per il tipo di mostriciattolo di partenza. Ora: io non sono mai stato un amante dei giochi di ruolo, men che meno di quelli a turni, ma tutta questa agitazione cominciò ad incuriosire anche me. Decisi di portare a casa la versione Blu, quella meno gettonata, poiché in copertina c’era Blastoise e non Charizard. Feci questa scelta poiché le copie del gioco andavano a ruba e non volevo intaccare gli affari del negozio. Quando cominciai a giocare, fui inaspettatamente rapito perché era sì un RPG giapponese, ma aveva alcuni degli elementi che piacciono a me: strade bloccate che necessitavano di ingegno e ricerche per essere aperte e un feeling tutto “Nintendoso”, che da sempre trovo irresistibile.

Credo che senza accorgermene arrivarono le quattro di mattina, quando evidenti dolori lancinanti dovuti alla postura mi fecero tornare alla realtà. Il giorno dopo, riportai il gioco in negozio: qualcuno voleva comprarlo e non c’erano più copie disponibili. Lo cedetti e non lo toccai più... però avevo capito di cosa si trattava, ed effettivamente aveva il suo perché. Seguirono cartoni animati, peluche, qualunque genere di gadget, dalle mutande alle automobili. E la cosa incredibile è che questa febbre ha continuato a durare negli anni, nonostante mille imitazioni, mille prodotti simili che, però, mai sono riusciti a bissare il successo dell’originale. Quando si parla di Pokémon, spesso, istintivamente si pensa ad una cosa infantile, e indubbiamente il franchise è pensato per i piccini, ma chi non ha mai giocato minimamente a un gioco della serie non può rendersi conto di quanta profondità, cura e attenzione si celi sotto la facciata puccettosa di Pikachu e soci. D’altronde, una creatura in grado di sopravvivere oltre vent’anni senza accusare sensibilmente il passare del tempo, soprattutto in un mercato che fagocita tutto ad una velocità impensabile, qualcosa da dire lo avrà. Persino il nuovo film live action Detective Pikachu sembra essere interessante. Se non avete visto il trailer, vi consiglio di darci un occhiata, è spassosissimo. 

Forse arriverà un giorno in cui i piccoli mostri si estingueranno, ma non è oggi, e sicuramente, se una popolazione aliena visiterà la terra tra un milione di anni, si chiederà cosa fosse ‘sta roba, trovando tracce fossili dei milioni di oggetti che portano la loro effige.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai Pokémon, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.