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Vi odio tutti. Tranne i Guardiani della Galassia, quelli no

Il volo BA007 della British Airways attraversa le sconfinate lande della Madre Russia. Fuori dal finestrino è notte, ma non è  facile capire effettivamente “quando” siamo, perché nelle ultime ore il mio corpo ha attraversato almeno una mezza dozzina di fusi orari. La meta è Tokyo, siamo a metà viaggio ma non voglio pensarci, perché non vedo l’ora di scendere. Dovrei dormire, come stanno facendo tutti gli altri passeggeri sulla mia fila, ma non posso, perché ho due occhi grandi come piattini da caffè, incollati allo schermetto che trasmette Guardiani della Galassia Vol.2. In particolare, sto riguardando le ultime scene, anzi, proprio quella scena lì con Father and Son di sottofondo. Nonostante le cuffiette ultra scrause date in dotazione nella classe povery dell’aereo, nonostante avessi già visto il film al cinema, mi mordo l’interno della guancia per non singhiozzare. Gli occhi lucidi e la pelle d’oca. Mancano ancora cinque ore di viaggio, prima di atterrare ad Haneda, e forse è l’eccitazione per quel viaggio che aspettavo da tutta la vita o forse è semplicemente che, nel marasma delle emozioni contrastanti che provo per le produzioni supereroiche, c’è questa unica, piccola eccezione diretta da James Gunn.

Quando Andrea mi ha chiesto di scrivere un pezzo su un film Marvel, sono partito tipo cagnaccio inferocito tenuto a digiuno da due giorni. Questo perché ho le scatole piene di vedere film e serie TV con supereroi protagonisti. L’ultimo è stato Avengers: Infinity War, e sinceramente non credo proprio che andrò a vedere Endgame. Ero un entusiasta di questo tipo di pellicole, perlomeno all’inizio. Pensate che ho fatto l’abbonamento a Netflix per vedere Daredevil. Gli anni successivi, però, sono stati come essere legati a una sedia con un dilatatore in bocca, mentre Topolino cerca di ficcarti in gola degli enormi cucchiai di Nutella. Le produzioni sono diventate troppe, i protagonisti, le storie, gli intrecci sempre più deboli e poi è semplicemente diventata routine, una gabbia, una trappola. Ogni comparsa deve avere il suo film, ogni film diventa una saga, ogni saga si incastra in un crossover e così via, formando pezzi di un puzzle sempre più complesso e annacquato. Scappare non è nemmeno così facile: la metà delle sale cinematografiche è puntualmente destinata a questo tipo di prodotti, che muovono numeri sensazionali. E quindi, niente, mi sono adeguato. Covando rancore.

C’è solo un’eccezione in questo scenario catastrofico e sarà forse l’unico altro film di supereroi per cui pagherò un biglietto del cinema: il nuovo capitolo di Guardiani della Galassia. Non lo avrei fatto se a dirigerlo non fosse stato di nuovo James Gunn, per quanto non mi senta assolutamente di condannare la prima reazione della Disney, quando è uscita fuori quella storiaccia dei bambini e delle scimmie che fanno cose. Non sono in hype ma sono felice che avrò di nuovo l’occasione per vedere quei personaggi in mano a chi li sa muovere come si deve.

È un discorso di pancia, perché mi rendo conto che del lato tecnico di Gunn (impeccabile) non gliene frega niente a nessuno. Parliamo invece di costruzione, di idee, di cuore. Per quanto mi riguarda, Guardiani ha tutte le caratteristiche che mancano agli altri film di supereroi: è divertente, sa essere profondo, sa essere scorretto e soprattutto mi sorprende. Non mi sembra di aver già visto e rivisto quella storia, cento volte, ogni volta con una tutina diversa addosso. Quando cita, lo fa in modo delizioso (chi non ha pensato a Starman guardando il Kurt Russell del Vol. 2?), quando è originale, lo è davvero: racconta di diversi che si avvicinano, di amore tra razze, di amicizia, di famiglie allargate, di come il nostro posto nell’universo sia ben più grande di quello che ci ha riservato la biologia, di padri stronzi e di genitori adottivi di legno ma dal cuore d’oro. Insomma riesce a convogliare perfettamente il trionfo dei buoni sentimenti e quel gusto pecoreccio dei film della Troma.

E questo pout-pourri riesce solo a James Gunn, che evidentemente ha la sensibilità necessaria per dirigere personaggi in grado di dire robe che ti fanno commuovere e poi uscirsene con delle bestialità da lasciarti di stucco. È la stessa storia di quei tweet di cattivo gusto: quello è James Gunn, quella è la sua forza e per quello il suo Guardiani è così riuscito. Così ha trasformato un omone da un quintale e mezzo in una maschera comica come non avremmo mai immaginato, e un albero che dice una sola frase in due film in un adorabile spalla. Per riuscirci, serve la voglia di spezzare le regole, di riscriverle, di inquadrare un tronchetto in CGI mentre sullo sfondo c’è l’ennesima battaglia col mostro, di abbassare il tono della narrazione epica, dando invece ai protagonisti la caratterizzazione di un amico, di un dispettoso figlio di puttana che ti caga nel cuscino. Di mostrare gente che muore, e muore male, di spezzare la tensione con la battuta giusta al momento giusto e, quando necessario, di avere il coraggio di essere sgradevoli.

L’aereo è arrivato in orario, dopo un viaggio che mi è sembrato infinito. Non sono riuscito a dormire, ma nelle ore successive ho pensato alla potenza del film di Gunn. Perché se nonostante la stanchezza, lo schermo piccolissimo e il contesto decisamente poco immersivo è riuscito a emozionarmi per la seconda volta, allora c’è decisamente qualcosa. Una piccola scheggia impazzita di un universo fin troppo regolare, fin troppo schematico. Lunga vita ai Guardiani!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli Avengers, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.