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Grand Theft Auto IV: Niko, Boris e tutto quanto | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Il 20 settembre del 1977, va in onda su ABC un episodio di Happy Days nel quale il personaggio di Arthur “Fonzie” Fonzarelli viene sfidato a dimostrare il suo coraggio inscenando uno stunt pericolosissimo: saltare con gli sci d’acqua sopra la testa di uno squalo. Da quel giorno, “jumping the shark” significa “tentare disperatamente di attirare l’attenzione su di te con un gesto assurdo e fuori tono also tu sei una serie TV, o un franchise cinematografico, o una serie di romanzi”; con il passare del tempo, per estensione, l’espressione è arrivata a indicare più genericamente il momento in cui una qualsiasi cosa con carattere di serialità “va troppo oltre” e supera il punto di non ritorno.

Se è vero, e io credo che lo sia, che Grand Theft Auto V è il momento in cui la serie di Rockstar salta lo squalo, allora GTA IV è una rincorsa magnifica, tesissima, sempre sul punto di esplodere e flettere i muscoli ed essere nel vuoto, là tra le nuvole mentre parecchi metri sotto un delusissimo selace sbava bramando da lontano quello che non sarà il suo pasto; ma sempre capace (la rincorsa, non lo squalo) di fermarsi un istante prima, di non andare mai troppo oltre. Il GTA misurato, cinico e disilluso ma non nichilista; il GTA con un cuore, prima che i fratelli Houser se lo strappassero dal petto per sacrificarlo sull’altare della satira e del southparkismo a tutti i costi. Non credo sia un caso che GTA IV sia anche l’unico GTA (insieme a Chinatown Wars) il cui protagonista non è un cittadino (anche) americano ma un immigrato, un ultimo disperato tentativo di guardare al bersaglio preferito della serie (l’America in tutte le sue accezioni) con occhi un po’ diversi.

Gli occhi… del cuore… IV

Cosa vi viene in mente, quando pensate ai finora cinque più espansioni e spin-off capitoli di GTA? San Andreas e il biplano, «Tommy Vercetti, remember the name!», Trevor che si risveglia in mutande nel deserto… è un franchise basato sui meme, e non sto dicendo che il IV ne sia rimasto immune, eh! LET’S GO BOWLING! Sostengo però che GTA IV sia riuscito più di tutti a piegare le regole del suo genere di riferimento (nello specifico, Scorsese, Coppola, Mann) per metterle al servizio della grande tragicommedia umana, a dire cose un pelo più interessanti di “fa tutto schifo in tanti modi diversi, lascia che te li enumeri”, e che tutto questo non sia un caso ma la naturale conseguenza di una precisa scelta artistica, quella di avere un protagonista che si approccia all’incubo americano con sospetto e non cieca fede.

GTA IV è sempre stato Niko Bellic; è il miracolo di un gioco in cui convivono una visuale in terza persona (intesa come meccanica) e una in prima persona (intesa come sguardo ideale sul mondo di gioco), nonché probabilmente l’ultimo caso di un GTA al quale l’abusatissima frase “la vera protagonista è la città” non si applica, almeno se GTA V, un gioco nel quale i tre protagonisti sono simboli e rappresentanti delle tre facce della città nel quale è ambientato, è una qualche indicazione. Michael, Franklin e francamente anche Trevor possono puppare la fava: GTA IV è la storia di Niko a Liberty City, non quella di Liberty City nella quale, tra le altre cose, agisce un tizio di nome Niko.

Il risultato è un gioco che, pur senza rinunciare a quello che rese grandi i capitoli precedenti (la libertà, il free roaming, la possibilità di ignorare le missioni per divertirsi con un gigantesco parco giochi… ), vuole essere spremuto e non distillato; supplica il giocatore di ignorare la libertà per concentrarsi sulla storia, vuole essere finito e spolpato il prima possibile. C’è un motivo, se le costanti chiamate sul telefonino di Niko sono diventate un meme: più che in qualsiasi altro capitolo di GTA, nel IV è difficile non avere voglia di andare avanti, di fare solo un’altra missione per scoprire cosa succeda; in questo senso, è anche il capitolo che più di tutti è strutturato come (o pronto a diventare, se preferite) una serie TV – persino l’idea di cominciare su un’isola e bloccare l’accesso alle altre condizionandolo al proseguire la storia potrebbe funzionare come base per un’ipotetica scansione in stagioni, che anno dopo anno allargano il raggio delle attività criminali del protagonista.

Ecco, a proposito: GTA IV è anche, circa, l’unico GTA nel quale le attività criminali del protagonista sono una necessità e vengono costantemente stigmatizzate dallo stesso; l’unico capitolo nel quale la classica parabola del “furfante che finalmente capisce la gravità delle sue azioni e le loro conseguenze e dunque CAMBIA” è assente. Niko è fuggito dall’Europa dell’est («That grey part of broken-down Eastern Europe», per la precisione, secondo Dan Houser) per lasciarsi il sangue e la violenza alle spalle e invece se le ritrova sempre lì dovunque vada – un altro tema classico e centrale in tutti i GTA, quello del “rompere il cerchio e diventare una persona meglio”, che qui però è aspirazione e non epifania. Questa missione esiste e ha l’impatto che ha proprio perché GTA IV è una storia nella quale il protagonista lavora attivamente per evitare che gli succedano cose di quel tipo. Solo che poi

Dopopdiché, intendiamoci, non è che in GTA IV manchi GTA. Ci sono infinite occasioni per fare cazzate, e anche quando il lato autoriale prende il sopravvento (cioè durante le missioni, in sostanza) nulla vieta di risolvere qualsiasi problema si abbia di fronte con un colpo di bazooka o rubando un’ambulanza con le sirene accese. Lo spazio di possibilità è sempre immenso, siamo ben lontani da Red Dead Redemption 2 e da quella dicotomia tra quello che è consentito fare e quello che è consigliabile fare. GTA IV è pieno di molotov, vetrine sfasciate, macchine distrutte, sparatorie, salti nel vuoto e una forza di polizia cittadina con la memoria di un pesce rosso, per cui la prossima strage o il prossimo inseguimento sono sempre dietro l’angolo. Ricordo molti pareri negativi sul motore ormai scricchiolante e in particolare sulla manovrabilità delle auto, ma ricordo anche ore passate a correre in giro per la città o a tirare granate in mezzo al traffico di Star Junction, e ovviamente ricordo anche

ma pure

e più in generale, sì, sarà pure più grimdark degli altri ma GTA IV resta sempre un gioco stupidissimo e fiero di esserlo, e che funziona ancora alla perfezione come vasca di sabbia (nella quale hanno pisciato i cani).

Ma è anche un tentativo, fallito e subito abbandonato, di dare alla serie una sterzata in una direzione che è poi quella che intraprenderanno Red Dead Redemption 1 e 2. Una finestra su una dimensione parallela nella quale GTA VIII è una sobria riflessione sugli effetti della microcriminalità organizzata sulle giovani generazioni in una piccola cittadina della provincia cinese e non che ne so IL GRANDE RITORNO A LIBERTY CITY FEAT. LUKA BELLIC IL FIGLIO DI NIKO. Abbiamo bisogno di questa dimensione parallela, ed è davvero meglio di quella in cui viviamo? Non lo so, né sono sicuro che sarebbe una grande idea, vista però l’alternativa a nostra disposizione (cioè GTA V, GTA Online e tutto quello che ne seguirà), io sarei dispostissimo a darle un’opportunità.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a The Irishman e al crimine, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.