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Ghostbusters: cartoni animati tra gorilla letteralmente patentati e real-studenti che più extreme non si può

Nel 1984, il film Ghosbusters ha fatto letteralmente conoscere a chiunque la professione fittizia dell’acchiappafantasmi. Eppure, una decina di anni prima, già qualcosa di simile si era affacciato sui teleschermi americani, per giungere da noi solo molti anni dopo, a seguito del successo del film: i Ghost Busters. Esatto, due parole, non Ghostbusters tutto attaccato. Un telefilm, un’unica stagione di quindici episodi da trenta minuti. I protagonisti? Due pseudo scienziati e un gorilla con la capacità di capire gli umani e di mettersi al volante. Forrest Tucker e Larry Storch sono Kong e Spencer, mentre Bon Burns veste i panni di Tracy, lo scimmione di cui sopra. I tre si gettano in strambe imprese, volte a catturare un diverso tipo di mostro o fantasma, in ogni episodio, guidati dal misterioso Zero. Un po’ in stile Scooby-Doo, la squadra indagava, scopriva la creatura di turno, la inseguiva e la sconfiggeva con un bizzarro macchinario. A differenza del cartone di Hanna e Barbera, infatti, i pericoli erano sempre di origine sovrannaturale. Che sigla meravigliosa. Non sembra proprio un costume, quello del gorilla, vero?

Questo per dire che quando Columbia volle realizzare Ghostbusters, dovette pagare lo sfruttamento del nome, seppur decidendo di proporlo senza spazi. Arriviamo così al 1986, a due anni di distanza dal film, quando il mondo ha bisogno di altre storie di fantasmi, ed ecco che nello stesso anno debuttano due serie animate pronte ad accontentarli. La prima è Ghostbusters (prodotta da Filmation e infatti conosciuta anche come Filmation’s Ghostbusters) che racconta dei figli degli originali acchiappafantasmi, quelli del telefilm, e con tanto di Gorilla. La seconda si intitola The Real Ghostbusters ed è ispirata direttamente al film di Reitman e soci. I personaggi ricalcano alla lontana le fattezze degli attori, idem le voci. C’è il fantasma verde, qui chiamato direttamente Slimer, la Ecto-1, ecc. Un vero e proprio sequel animato della pellicola. Il Real del titolo, infatti, punta a indicare che la serie tratta degli acchiappafantasmi realistici, quelli più veri, quelli visti al cinema.

Anche qui, che sigla, signora mia. Ghostbusters prosegue la sua corsa per due anni, 1986-1988, lungo sessantacinque episodi, non uno di più, secondo la regola madre dell’animazione americana (che dettò Walt Disney). Storie surreali, rispetto al telefilm di origine, ancora di più. I tre vivono in una casa bizzarra dotata di strani scivoli, che permettono al gruppo di equipaggiarsi in corsa, quando parte in missione guidato da uno scontroso telefono-teschio (anzi, teschiòfono). Lo scopo di questi Ghostbusters è fermare i piani d’invasione di Lord Malefix, che vuole invadere la Terra partendo dalla Quinta Dimensione, dove è relegato.

Colori deliranti, animazione piuttosto scadente made in Filmation (erano quelli di He-Man, a cui tutti vogliamo bene ma che faceva sanguinare gli occhi), umorismo camp, Filmation Ghostbusters non era per tutti, portando un gusto anni Cinquanta figlio della produzione animata Hanna & Barbera.

Discorso diverso per The Real Ghostbusters, che, quando debutta nel settembre 1986, conquista tutti, fino all’ultimo episodio, targato ottobre 1991, quando anche il secondo film era già realtà. Le prime tre stagioni, forse quelle più apprezzate dai fan dei film (ma anche della serie stessa), erano episodi di trenta minuti che vedevano Egon, Ray, Peter e Winston aiutare i cittadini di New York funestati da fantasmi, proprio come accade nel film. L’umorismo era forse meno dialogico e molto più slapstick, per acchiappare anche il pubblico più giovane, lo stesso pubblico che, a detta dell’American Broadcasting Company, la ABC, avrebbe gradito una presenza maggiore del fantasmino Slimer. Ed ecco che, dalla quarta stagione in poi, lo show cambia in Slimer and the Real Ghosbusters. Un’ora, la cui prima metà è il classico episodio, l’altra contiene invece una seconda puntata, tutta dedicata a Slimer. In generale, lo show semplifica le storie (e l’animazione, tenendola sottocosto). Nonostante gli ascolti in calo, la serie raggiunge i centoquaranta episodi, facendo finire nell’oblio la controparte Filmation, che non poteva competere con l’appello del film. Real è stato il miglior surrogato a... nulla, dato che dopo il secondo Ghosbusters il franchise è finito, almeno fino agli anni recenti. Visto che poteva vantare sample e musiche del film (compresa la hit di Ray Parker Jr.), anche qui con la introduzione non si scherza.

Da segnalare che nel 1997 si provò a dare un sequel alla serie animata, con Extreme Ghosbusters, una vera e propria nuova generazione di cattura-ectoplasmi. Il gruppo era composto da ragazzi molto giovani, studenti universitari, capeggiati dall’originale Egon (loro professore), il cui compito era quello di istruirli e renderli veri e propri acchiappafantasmi, ora che il team originale era andato in pensione. Il look spigoloso, l’assenza di molti personaggi storici e forse l’eccessivo sfarzo tecnologico fecero floppare il progetto dopo soli quaranta episodi, trasmessi tra settembre e dicembre del 1997. C’è da dire che lo stile non mancava, se chiudiamo un occhio (ma anche due, dai) sulla computer grafica già orrenda all’epoca. Ma la voglia di vedere in azione il team originale era troppo forte. Come? La sigla? Era una cover extreme dell’originale theme dei Ghosbusters, quindi sì, con le sigle decisamente non si è mai sbagliato.

Da circa vent’anni, quindi, nessuno studio d’animazione ha avuto l’onore (e l’onere) di lavorare coi Ghosbusters. Chissà che il terzo e tanto atteso film non possa risvegliare qualche idea animata a lungo sopita. Nel caso, cominciate a lucidare gli zaini protonici.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Luigi e ai fantasmi, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.