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Game & Watch, e sono quarant'anni di videogiochi portatili | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Qualche giorno fa, stavo tentando di ripagare il debito per una stanza supplementare a quell’usuraio marcio nell’anima di Tom Nook, quando mi hanno chiesto se mi avrebbe fatto piacere scrivere qualcosa per il quarantesimo anniversario dell’uscita sul mercato dei Game & Watch. In quel momento, mi sono immaginato come un novello Anton Ego di Ratatouille, sparato indietro nel tempo con una piccola pausa ad ogni console portatile che Nintendo ha fatto uscire. E così lo Switch è diventato un 3DS, poi un DS, un Game Boy Avance SP, poi l’Advance classico, il Game Boy Color e quello storico monocromatico, per poi arrivare finalmente al primo mattone di tutta questa fortunatissima famiglia: un Game & Watch.

In realtà, credo di aver posseduto un solo vero, originale, Game & Watch, che si è perso nei meandri degli scatoloni messi non so più dove. Anzi, facile che mia madre l'abbia buttato ormai anni fa, in una delle sua “pulizie di ispirazione cosmica”, dopo che me ne sono andato da casa. 

Non so sia necessario, credo di no, ma forse per qualcuno è utile fare un ripassino di cosa si sta parlando. I Game & Watch sono una serie di giochi elettronici portatili costituiti da un corpo in plastica, uno schermo a cristalli liquidi e dei tasti che permettono al giocatore di interagire con le figure che si illuminano sullo schermo. Dico “che si illuminano”, perché ogni Game & Watch, al suo interno, aveva un solo gioco, tipicamente in due modalità diverse, ma un solo gioco, i cui personaggi, figure etc… erano già “stampati” sullo schermo e si illuminavano a seconda dei comandi che gli si impartiva.

Erano anni che non pensavo a quel piccolo aggeggio, leggerissimo, con uno schermo LCD che mi ritrovavo tra le mani nei momenti più disparati della giornata, con i tasti gommosi, con i suoni da orologio digitale anni Ottanta. Sono dovuto andare su Wikipedia, per ricordarmi esattamente quale fosse quello che avevo io. Ero abbastanza sicuro che c’entrasse Braccio di Ferro e non i classici personaggi Nintendo, quindi niente Donkey Kong o Mario, e ora ricordo, grazie ai reperti fotografici sul web, che si trattava proprio di Popeye

In realtà, di aggeggi simili ne avevo, eh, e uno è ancora oggi funzionante, grazie al fatto che non ha batterie ma utilizza l'energia solare, ma di Game & Watch originali ne avevo solo uno e invidiavo tantissimo i bambini e ragazzini che ne avevano tanti (sicuramente più benestanti di me), ma non solo. L’invidia suprema andava verso quelli che avevano quelli con multischermo, che si chiudevano come uno Startac o in orizzontale, come un antesignano degli smartphone pieghevoli. C’è da dire che in Italia, al tempo, erano molto più gettonate le imitazioni dei Game & Watch, i mitici Schiacciapensieri della Polistil, che erano davvero molto simili alle controparti Nintendo, niente a che vedere con la robaccia targata Tiger Electronics. Anzi, nel belpaese, quegli oggetti, anche quelli originali della grande N, venivano chiamati proprio schiacciapensieri, in barba al nome originale che quasi nessuno conosceva.

Ricordo molto bene una coppia di fratelli al mare, quando avrò avuto undici o dodici anni, che si presenta con ben tre di questi aggeggi, compreso uno dei Game & Watch multischermo che tanto desideravo. Sono andato a ravanare tra le varie foto in rete e ormai ne sono sicuro: era Donkey Kong.

Cerniera orizzontale, due schermi… quando era chiuso, sembrava un oggetto futuristico. Al tempo, o eravamo in mare a giocare e rompere le palle a mezza spiaggia o sotto l’ombrellone a pigiare i tasti degli adorati “giochini elettronici”. Scala quaranta? Pinnacola? Ma figuriamoci. Al massimo le biglie, ma la caccia al punteggio su quegli aggeggi era sicuramente una fra le attività più apprezzate sia da noi, sia dalle persone che occupavano gli ombrelloni vicino ai nostri: almeno, in quei momenti, non correvamo come dei disperati, urlando e tirando pallonate ovunque.

È incredibile, guardando ora il Game & Watch di Donkey Kong, quanto questo aggeggio datato 1982 sia quasi identico a un NIntendo DS, davvero impressionante.

Nei primi anni Ottanta, il videogioco in mobilità era questo e, tutto sommato, fra la semplicità di utilizzo, il fatto che la batteria durava un sacco grazie a un hardware “parsimonioso” e i franchise famosi che venivano proposti, riscosse un successo incredibile. Nintendo, infatti, produceva un milione e trecentomila Game & Watch al mese, che poi distribuiva sia sul mercato nipponico, sia nel resto del mondo. Stiamo parlando di quasi quarantaquattro milioni di pezzi distribuiti nel ciclo vitale del fenomeno Game & Watch, solo da NIntendo, senza contare Polistil e i cloni di più bassa fattura (alla faccia del rispetto dell’ambiente).

Quarant’anni dopo, abbiamo una console ibrida che ci permette di giocare a un’opera colossale come Breath of the Wild, con cui possiamo giocare e urlarci addosso le peggio cose con Mario Kart 8 o che ci aiuta, in un momento di forzato isolamento, a girare per il tranquillizzante (Tom Nook escluso) mondo fittizio di Animal Crossing, ma devo ammettere che, se mi ritrovassi tra le mani uno di quei piccoli videogiochi portatili, credo ci passerei ancora un po’ di tempo, ricordando quei pomeriggi al mare e soprattutto i due maledetti fratelli miliardari.