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Gabriel Knight, l’indagatore sulle tracce di Cristo | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Forse non sapete, cari outcastari, che l’Ospizio di Outcast non è un vero luogo, ma una sorta di multiproprietà immaginaria. Noi vecchi bavosi con le mani anchilosate da anni di pressioni funeste di tasti sui controller ci troviamo virtualmente su queste pagine, certo, ma in realtà non frequentiamo un vero ospizio. Sorpresi? Ovviamente no, è chiaro: voi siete giovani (forse) e intelligenti (di sicuro, altrimenti non sareste qui). Le nostre partite a tressette, ad ogni modo, le facciamo virtualmente, ognuno dal suo piccolo ospizio personale, e non è detto che necessariamente debba corrispondere a un luogo reale.

Il mio ospizio, in questo momento, è per esempio situato a Londra. Di fronte a una certa porta di Craven Road. La 7, esatto, quella con il campanello che urla. OK, non sono rincoglionito del tutto, so che questo pezzo deve parlare di Gabriel Knight, ma il fatto è che, per me, Dylan e Gabriel hanno sempre un po’ fatto parte dello stesso universo. Non è che creda che sia un’idea molto originale, ci mancherebbe: molte cose avvicinano lo Schattenjäger creato da Jane Jensen all’acchiappamostri ideato da Tiziano Sclavi, non ci vuole certo una cima a unirli con un tratto di penna. Per me, però, la cosa è in qualche modo molto radicata, tant’è che sto tuttora aspettando un’inevitabile crossover fumettistico tra i due, sorprendendomi che la cosa non sia ancora accaduta.

Il buon vecchio Mosely: l’avrà raggiunta la pensione, poi? O non era lui?

Credo che dipenda dal fatto che Sins of the Fathers, il primo Gabriel Knight, fu pubblicato nel 1993. Proprio in quell’anno, esattamente a febbraio, incominciavo a leggere seriamente Dylan Dog, complici molti pomeriggi da ammazzare mentre frequentavo, con scarso entusiasmo, il CAR presso il Maricentro di La Spezia. Nella “piovente” cittadina ligure, noi che ancora attendevamo l’implotonamento potevamo uscire tutti i pomeriggi e io, annoiatissimo, li impiegavo girando le edicole alla ricerca di albi che non avevo ancora letto. Tra prime e seconde ristampe, riuscii in breve tempo a ricostruire la serie quasi completa e imparai ad apprezzare meglio quel detective inglese che in precedenza mi aveva lasciato freddino.

Con temi così simili, è quasi incredibile pensare che i due personaggi siano stati creati a tanta distanza fisica l’uno dall’altro. Di Gabriel, del suo primo gioco, mi colpì la bontà della scrittura, e anche l’avventura in sé mi piacque moltissimo, in un’epoca in cui per emergere in questo settore bisognava fare davvero qualcosa di diverso. Specialmente per me, visto che non ho mai amato molto le interfacce e le storie raccontate dai titoli di Sierra. Un gran gioco, ripeto, ma di quelli che sostanzialmente, una volta finiti, ho messo via senza pensarci più troppo su.

Friedrich von Glower da Gabriel Knight II, un antagonista dotato di un carisma… ferino.

Fu con Gabriel Knight 2: The Beast Within che il lavoro della Jensen mi colpì come un treno in corsa. Un’avventura in FMV, come si usava ai tempi del CD-ROM, eppure splendida, forse una delle poche che meritino davvero di essere ricordate. Certo, il protagonista era un patatone inguardabile, non proprio il Gabriel superfigo che mi avevano suggerito i pixel del primo gioco. Ma la storia mi colpì al punto da farmi innamorare dei personaggi, mi spinse ad acquistare libri su Ludwig II, a recuperare il film di Visconti, e seppi così apprezzare il lavoro che Jane Jensen aveva fatto per unire il mito alla storia, l’invenzione con il reale. Organizzai una vacanza per andare a visitare i castelli, il lago, tutto quello che riguardava Ludwig, e ne fui rapito.

Quello che fece per me Gabriel Knight II, soprattutto, fu mettere Jane Jensen nel mirino. Da quel momento in poi, l’autrice americana sarebbe entrata in quel club in cui posiziono autori i cui giochi vanno acquistati senza se e senza ma, possibilmente sapendone il meno possibile. E così arriviamo a Gabriel Knight 3: Blood of the Sacred, Blood of the Damned. Un gioco che ho atteso con un hype spasmodico, quando già facevo parte di questo mondo, che sono riuscito a ottenere in copia review per ZETA, che ho divorato e apprezzato a livelli superiori anche al titolo precedente.

Gabriel e Mosely provano a riprodurre una stretta di mano da massoni. Grace li osserva, poco convinta.

Intanto, era in 3D: dopo il FMV, la Jensen cavalcava una nuova moda, e la cosa inizialmente non mi trovò particolarmente entusiasta. Come si può fare un punta-e-clicca in 3D? Beh, si può, come Gabriel Knight 3 ci ha dimostrato, ma non con particolare amicizia. Trovare l’oggetto utile per l’enigma dovendosi anche muovere e orientare in un mondo tridimensionale mi causò più di un grattacapo, per esempio.

L’approccio tecnico, però, scomparì ben presto, diventando trasparente di fronte alla storia creata dalla Jensen per il suo Schattenjäger. Dopo aver raccontato il sottobosco Voodoo di New Orleans e proposto pelosi batuffoli di licantropi tedeschi, l’autrice aveva deciso di osare di più, andando a toccare il mito dei miti, quello religioso. Tutto gira attorno alla figura di François-Bérenger Saunière, prelato del paesino di Rennes-le-Château, un tizio che, a quanto pare, aveva molti misteri da nascondere. Misteri legati alla repressione dei Catari insediati in quella striscia di terra del sud della Francia definita Linguadoca; misteri legati agli ultimi Cavalieri Templari, alla ricerca di una patria dopo le ultime crociate; misteri a proposito dell’apparente ricchezza di Saunière e di un tesoro che si mormora sia ancora oggi nascosto da qualche parte attorno alla cittadina francese. E misteri, e quanti, nascosti nella piccola chiesa di Santa Maria Maddalena, nelle sue iscrizioni, nelle sue sculture decisamente inconsuete.

Harry, Ron ed Hermione in un luogo misterioso sotto Rennes-le-Chäteau.

Soprattutto, Gabriel Knight 3 racconta il mistero del Santo Graal e della discendenza di Cristo, del conflitto tra massoneria e Priorato di Sion, di vampiri e di rapimenti. Il gioco scava nel mito del Graal e nelle sue origini fino ad arrivare alle origini stesse di Gabriel e degli Knight, una stirpe che con il sangue di Cristo sembra aver avuto un contatto molto ravvicinato. Se vi ricorda qualche cosa di Dan Brown, beh, la storia effettivamente è quella, narrata per esempio anche nel libro Il santo Graal (The Holy Blood and The Holy Grail) di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln. Solo che Jane Jensen ha saputo raccontarla in modo infinitamente più affascinante, certamente più di Dan Brown e forse in modo più aderente a quanto riportato dalla storia. Come lo so?

Beh, ovviamente non si può essere certi di nulla, ma esattamente come successo per Gabriel Knight II, anche l’ultimo capitolo delle avventure dello Schattenjäger mi ispirò una certa sete di conoscenza. Dopo aver finito il gioco, ho letto diversi libri su Saunière e su Rennes-le-Château, mi sono documentato sul mito del Graal, ho letto di fantasiose ricostruzioni a proposito di meccanismi che Leonardo da Vinci stesso avrebbe messo in atto per proteggere misteri, tesori e segreti. Miti su miti, insomma, fatti misteriosi e avvenimenti documentati su cui, con incredibile maestria, Jane Jensen seppe costruire una storia magistrale, un videogioco di qualità indiscutibile e un’esperienza da vivere per chiunque ami i giochi d’avventura.

Oggi, Gabriel Knight 3 è disponibile su Steam e su GOG.com. Se non ci avete mai giocato, regalatevi una grande storia: non sarà invecchiato benissimo, tecnicamente, ma chissenefrega.

PS
La mia copia personale di Gabriel Knight 3 è americana, ed è un regalo tra i più graditi mai ricevuti.