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Racconti dall'ospizio #137: La memoria del Blood Dragon

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Ci risiamo. Come detto in più di un’occasione (tipo qui), la mia memoria è un colabrodo e, a distanza di qualche anno, mi capita di non ricordare più nulla di ciò a cui ho giocato. Questo mese, per la Cover Story su Jurassic Park, giopep mi ha chiesto di nuovo se potevo scrivere un Racconto dall’ospizio, questa volta su Far Cry 3: Blood Dragon, ché all’epoca avevo scritto la recensione, ed eccomi qui. Il problema è che, a parità di memoria di merda, la differenza con la recensione di Revengeance è che quella di Blood Dragon non m’ha fatto neanche così cagare da rivisitarla paragrafo per paragrafo. Incredibile ma vero.

Da bravo paraculo, quindi, ho deciso ancora una volta di aggrapparmi alla rubrica più bella di internet, La memoria del pesce rosso de i 400 Calci, in cui loro parlano di una roba vista anni prima basandosi solo sui ricordi e senza controllare i dettagli su internet, e in cui io cerco di fare più o meno la stessa cosa con i videogiochi in esame. Era già successo con DmC e con l’adorabile Rockstar Presents: Table Tennis, direi che TRE ANNI per utilizzare di nuovo uno splendido gimmick possono bastare.

Sigla!

La premessa: Yves Guillemot, cattivo bondiano per eccellenza, arroccato nella sua torre d’avorio edificata sulle spoglie dei suoi sudditi, ha raccolto a sé i gerarchi ubisofti dopo l’incredibile successo di Far Cry 3, smanioso di replicarne le fortune e moltiplicare le cifre del conto in banca, nel tentativo di arrestare una volta per tutte l’avanzata dello Spectre Bolloré. «Signore», fa il primo, con aria dimessa tipica dei canadesi, «si avvicina il primo aprile. La community dei videogiocatori è incline a queste facezie, dovremmo uscircene con qualche trovata divertente e far credere loro di stare sfruttando l’IP». Yves rimane nell’oscurità della stanza, gelando i presenti con un rumorosissimo silenzio. Dal fondo della sala si ode la voce di un altro sgherro senza volto: «Magari qualcosa che cavalchi gli anni Ottanta di Hotline Miami, le robe al neon…», e ancora, in risposta: «Anni Ottanta, sì! Magari prendendo in giro i vecchi film d’azione!». Il vociare a quel punto aumenta e, fra i gerarchi totalmente ebbri delle loro cazzate, qualcuno al tavolo arriva anche a dire «Mettiamoci anche pirati, ninja e dinosauri! Sarà un trailer-parodia fighissimo!». A quel punto, Guillemot torna a pretendere il silenzio della stanza con la rotazione della sua poltrona in pelle umana. Secondi di tensione assoluta, nei quali Yves accarezza il suo candido felino, Babichan, prima di tuonare, solennemente: «Fatelo». «Bene, allora chiamo il reparto cinematic e…» «No. Fatelo. Fatene un gioco completo.», rispose scocciato Guillemot al miope lacché che gli sedeva poco distante. «Ma, signore, si aspetta davvero che facciamo un gioco open world pieno di neon, citazioni agli action anni Ottanta e di dinosauri al neon, in meno di tre mesi?» «No, mi aspetto che lei muoia!».

Per sommo scorno di tutti, l’idea dei pirati è stata messa da parte per venire poi riutilizzata nel successivo Assassin’s Creed: Pirati (non ricordo il nome ufficiale e sto prendendo la regola di non controllare su internet come una scusa per non farmi distrarre), ma d’altronde ninja e dinosauri c’erano già, non è che potevano davvero fare il gioco perfetto. È pur sempre Ubisoft, c’è bisogno di certezze nella vita (e, cazzo, ancora un po’ e Mario + Rabbids ci gabbava). Al netto di tutto, comunque, rimane che Far Cry 3: Blood Dragon è sembrato da subito l’idea di un branco di scemi senza regole, tanto che quando è uscito, una ventina di giorni dopo quel primo aprile in cui vedemmo inebetiti il trailer, fu la presa bene generale.

Il plot: Siamo in degli anni 2000 possibili solo nella mente di uno sceneggiatore in bolletta degli anni Ottanta e quindi il mondo è stato devastato dalle tensioni nucleari. Il nostro protagonista, il cybercommando Rex Power Colt, è diretto su un'isola senza nome per trovare il colonnello Salcazzo, decaduto eroe di guerra intenzionato a risolvere le tensioni atomiche attraverso una bioarma capace di devastare ulteriormente quel che rimane del mondo.

Come Apocalypse Now, insomma, con la differenza che, al posto delle vittime di guerra (nel senso più trasversale e coppoliano possibile), ti ritrovi pad alla mano su un’isola infarcita di soldati da abbattere a suon di one-liner e, porca pupazza, DINOSAURI CHE SPARANO LASER. Tipo che tutta la sequenza finale del gioco è a cavallo di UN DINOSAURO CHE SPARA LASER, e tu sei lì che pensi che se la boss fight conclusiva di un Far Cry deve essere pezzente, almeno che ci sia UN DINOSAURO CHE SPARA LASER.

Dettagli cruciali:

- Non c’entrava niente con Far Cry 3. Ma tipo zero. A oggi non è chiaro perché ci fosse “Far Cry 3” nel titolo. In particolar modo il “3”. Boh. Fatto sta che potevi giocare a Blood Dragon senza sapere chi fossero Vaas Montenegro e gli altri sfigati protagonisti di Far Cry 3. Anzi, tanto meglio!

- Era un gioco open world di Ubisoft ma non aveva tutte quelle menate dei giochi open world di Ubisoft. Tipo che non mi ricordo torri radio da scalare o altre robe di questo genere. Magari c’erano, eh, ma tanto...

- ... Blood Dragon durava pochissimo, tipo due o tre ore. Cioè, per carità, “pochissimo” è esattamente quanto tempo mi ci vuole per stufarmi degli open world, quindi si può dire che Blood Dragon è l’open world perfetto.

- Le cutscene sono in realtà schermate fisse che omaggiano i videogiochi a 16 bit. Deliziose.

- I dialoghi e la scrittura del gioco sono stati affidati a un John Milius messicano, non iscritto ai sindacati e con una grandissima passione per i pejote. Per fortuna nostra, il compito di rendere giustizia a quest’opera d’arte è andato a Fabio “Amaro Lucano” Bortolotti. Sembrava impossibile ma ce l’ha fatta.

- Il doppiaggio originale era affidato a un sacco… a un paio… a, boh? Attori di film d’azione famosi o pseudo-tali. Non me ne ricordo mezzo ma c’erano!

- I vari avamposti che si incontrano lungo la trama me li ricordo tutti abbastanza simili tra loro ma insomma, per l’appunto, era tutto piuttosto breve e non veniva mai a noia niente.

- Forse c’era un incredibile, telefonatissimo colpo di scena finale che non stupiva nessuno ma rientrava perfettamente nel clima da omaggio idiota ai film d’azione anni Ottanta.

- Al lancio aveva già un prezzo budget. Il che, tutto considerato, era ottimo: avevi un gioco open world Ubisoft, fatto con tutti i crismi, in cui ti divertivi e ridevi come uno scemo per il tempo perfetto prima che ti annoiasse a morte.

- Qualche anno dopo, hanno riciclato il marchio Blood Dragon appiccicandolo a un Trials. Mi ricordo di sezioni in moto interrotte da un action a scorrimento laterale. Una mezza cacata che non era né carne né pesce, ma magari sbaglio. Mi ricordo che venne annunciato e uscì nel giro di pochissimo durante un E3, e che quando Fabio lo lanciò, mi misi immediatamente a dormire sul divano, in attesa della conferenza Sony. Che hype!

- CI SONO DINOSAURI CHE SPARANO LASER.

Gioco con cui viene confuso più facilmente: Uh, il tie-in che non è mai esistito di Tron? I momenti di droga di GTA V?. Curiosamente, non Far Cry 3.

Opinione esemplare dell’utente tipo trovata su Metacritic: «Great graphics, well done 80s look, a story which is dumb as and very bad jokes. what do you want more? awesome and funny game for low pricing».

Segni che ci abbiamo giocato nel 2013: Non ci eravamo ancora rotti il cazzo dell’estetica vaporwave e dei martellanti ammiccamenti agli anni Ottanta. E, tutto considerato, Blood Dragon è la perfetta sintesi di come avremmo dovuto prendere quel movimento: tre ore di cazzate in cui ridere degli eccessi di un’epoca tutta sbagliata, che vanno via così come sono arrivate.

Titolo più fico dato al gioco sui mercati non ispanofoni: Далёкий Крик: Кровавый Дракон, che in russo vuol dire IL FAR CRY CON I DINOSAURI CHE SPARANO LASER.

Ci rigiocheresti? Come per gli action fracassoni che hai già visto mille volte e che non hai voglia di osservare con occhio clinico, mi ci metterei davanti solo in buona compagnia e con a fianco libagioni di ogni tipo, ad amplificare il devasto e la zarraggine sensoriale di quello che capita sullo schermo.

Box-Quote suggerita:
Tre ore di cazzate in cui ridere degli eccessi di un’epoca tutta sbagliata.”

Questo articolo fa parte della Cover Story “Jurassic Outcast”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.