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Fan theory: se lo vedi, (qualche volta) c'è!

Se restiamo in ambito mainstream, al di là dei meme, è difficile non prendere atto che il Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato del 1970 sia una tra le robe più weirdo in circolazione. Lo è perché parla di un tizio vestito stranissimo che adesca ragazzini, OK, ma soprattutto per il taglio affibbiato al film dal regista Mel Stuart, che tra i colori lisergici, il design teatrale di ambienti e personaggi e le cantilene, è riuscito a esaltare la componente grottesca del (quasi) omonimo romanzo pubblicato dallo scrittore Roald Dahl nel 1964.

Ora resta solo da chiarire perché qualcuno abbia scelto di infilare in un romanzo e in un film per ragazzi elementi inquietanti come umpa lumpa, trabocchetti e droga. Parte della risposta si nasconde in un episodio della giovinezza dello stesso Dahl: quando lo scrittore britannico frequentava la Repton School, la ditta Cadbury era solita regalare agli studenti dei dolci non ancora presenti sul mercato, con l’idea di testarne la qualità anzitempo. Il che da una parte OK, figata e dolci gratis, ma dall’altra c’è questo sottotesto di sfruttamento capitalistico mascherato da regalo innocente che, infatti, finisce per emergere anche dal racconto.

No, ma tranki.

Ma questo è solo un punto del discorso. Scavando più in profondità, è evidente che Dahl, come i migliori autori di opere popolari per ragazzi, fosse perfettamente conscio dell’importanza delle fiabe in seno all’elaborazione della letteratura di genere, in particolare dei loro elementi più oscuri.

Questa vena al limite dell’horror emerge molto chiaramente anche dal romanzo Le streghe, pubblicato nel 1983 e ampiamente diffuso, all’epoca, nelle biblioteche scolastiche. Io stesso ricordo di essermelo sparato alle elementari dietro consiglio della maestra, e stiamo parlando di un libretto che, al netto del taglio ironico e qualche momento lezioso, racconta di bambini strappati alle proprie famiglie e trasformati in pasti per una congrega di streghe cannibali.

Ma come dicevo, Dahl non è un caso isolato, e forme di violenza analoghe sono presenti in un sacco di narrativa per ragazzi. Penso a certo Buzzati o a Pinocchio, ad esempio, dove dei ragazzini vengono trasformati in somarelli privi di umanità e ridotti in schiavitù, un po’ come i genitori suini de La città incantata.

Qual è la scena più inquietante di tutta la filmografia di Miyazaki? E perché proprio questa?

Se lo chiedete a me, la componente inquietante è il quid che rende certi racconti più o meno per l’infanzia - fiabe, romanzi o film che siano - più interessanti di altri, spingendoci a rilanciarli in continuazione. In questo, c’è sicuramente un minimo di deriva edificante sul genere trasgressione/conseguenza/punizione, ma meno di quanto si possa immaginare, dal momento che l’educazione pertiene l’assai più tranquillizzante ambito delle favole.

Diversamente da queste ultime, infatti, le fiabe del folclore o i romanzi che ne riprendono il taglio derivano da riti, miti e usanze del passato. Per fare un esempio: Barbablù parla di senso del limite, OK, ma si tratta di un’elaborazione posticcia. L’origine della fiaba, infatti, precede di molto la diffusione dell’etica e della morale moderne ed è decisamente più letterale; viene fatta risalire alle camere mortuarie che le tribù del passato riservavano ai loro guerrieri, e dalle quali le donne erano interdette.

Ora, se da un paio di paragrafi a questa parte vi state chiedendo dove io voglia andare a parare, beh, diciamo che desideravo semplicemente mettere in chiaro, prendendola molto alla larga, che in quanto esseri umani, siamo culturalmente addestrati alla dietrologia. A smontare e rimontare i racconti, a cercarne la componente ctonia anche quando apparentemente non c’è. Soprattutto quando apparentemente non c’è.

Le cosiddette fan theory, dalle più dark a quelle esageratissime che ci fanno alzare il sopracciglio e dire «maddai», non sono che la conseguenza di questa forma mentis; oltre che il tentativo, in certi casi, di inscrivere tutte le narrazioni che conosciamo in una sorta di continuity globale. Un buon esempio di quel che voglio dire sono le teorie che leggono in Snowpiercer un sequel di Willy Wonka, laddove Wilford e i suoi luogotenenti altri non sarebbero che i redivivi Charlie Bucket, Mike Tivù, Veruca Salt e Mr. Wilkinson, impegnati a loro volta in un passaggio di consegne verso le nuove generazioni. A suggerire inizialmente l’idea, probabilmente, sono stati la comune dimensione sociale delle due opere e qualche simbolo qua e là, vai a sapere.

Veruca Salt?

Questa di Snowpiercer è senz’altro una fra le mie derive preferite, ma vado pazzo anche per tutta la dietrologia su “Totoro dio della morte”, stando alla quale l’anime di Miyazaki sarebbe un’allegoria dell’incidente di Sayama, avvenuto il 1° maggio del 1963 e culminato nell’omicidio di una ragazzina e nella prefettura di Saitama, la stessa dove si trasferisce la famiglia di Mei (→may→maggio). Una speculazione simile coinvolge il musical Grease, laddove il trasferimento di Sandy al liceo Rydell High e tutta la sua storia d’amore con Danny altro non sarebbero che un sogno pre-morte della poveretta.

Questi sono solo alcuni tra gli esempi più noti che mi vengono in mente. Naturalmente c’è anche chi sostiene che in Una pazza giornata di vacanza il personaggio di Ferris Bueller sarebbe una sorta di alter-ego idealizzato del problematico Cameron. Tipo Fight Club, che pure non è esente dalla cospirazione che vorrebbe Tyler e il narratore come le versioni adulte e, per così dire, realistiche, di Calvin e Hobbes. Continua la rassegna l’attacco di Ritorno al Futuro riletto come un piano sucida di Doc; Dorothy ne Il meraviglioso mago di Oz nientemeno che alias della malvagia strega dell'Est e l’enigmista di Saw come la versione adulta del piccolo Kevin di Mamma ho perso l’aereo, film che a sua volta sarebbe un’allegoria dei patti con il diavolo eccetera eccetera.

L'altro Totoro.

Cazzeggiando su internet, di cose così se ne trovano a migliaia, perché come accennavo prima, è quasi impossibile sottrarsi ai meccanismi di rielaborazione. In ballo c’è probabilmente la voglia di creare dei legami con i nostri simili e il nostro passato, oltre che di dialogare con l’autore o le fonti di un’opera. Fonti che a volte vengono usate in maniera intenzionale durante il processo creativo, ma che altrettanto spesso si replicano, diciamo così, spontaneamente, attraverso veri e proprio vettori umani.

Chiaramente, viste le millemila combinazioni possibili e la nostra tendenza a sbragare, nel gioco interpretativo capita spessissimo di prendere della cantonate, soprattutto quando si cercano di far tornare i conti oltre il ragionevole. Ottimo esempio di sòla è il documentario Room 237, che propone questa rilettura forzatissima di Shining legata al complottismo del falso allunaggio. Esercizio divertente, per carità, ma anche pericoloso, perché come dice Eco ne Il pendolo di Foucault (più o meno con queste parole): “da lì alle scie chimiche, è un attimo”.

Mah! (Mei/may/maggio?).

Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio bizarro”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.