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Racconti dall'ospizio #162: Da Custer’s Revenge ai nerd biliosi, è un attimo

Niente, non faccio in tempo a scartare Spider-Man buttandomi sugli 883, che pure la cover story di questo mese mi becca impreparato. Col fatto che odio la vita all’aria aperta, le robe western mi piacciono così così, nonostante il fascino della frontiera, il crepuscolo degli dei di C’era una volta il West, Westworld e il livello Bury My Shell at Wounded Knee in Teenage Mutant Ninja Turtles: Turtles in Time.

Eppure, mi è bastato un momento di distrazione perché Maderna mi infilasse in tasca Custer's Revenge, un videogioco per Atari 2600 del 1982 sviluppato e distribuito dall’etichetta per adulti Mystique, a sua volta sussidiaria dell’azienda Caballero Control Corporation, molto attiva nel porno. Il videogame in questione è - senza troppi giri di parole - allucinante. E non tanto per la grafica rozza e il gameplay pure peggiore (diverse testate lo hanno rubricato tra i peggiori giochi di tutti i tempi), ma per il fatto che in un pugno di pixel riesce ad infilare sessismo, violenza e razzismo a pacchi, in dosi pesanti persino per gli standard lassi dei primi anni Ottanta. Custer’s Revenge parte più o meno dallo stesso presupposto dei libri di Eli Cash e permette al giocatore di controllare l’eponimo generale che, nudo e con una vistosa erezione, si trova a dribblare una pioggia di frecce per poter raggiungere e infine stuprare una nativa americana legata a un palo verde, che nel linguaggio del gioco potrebbe benissimo essere un cactus. No, giuro.

La faccenda era evidentemente troppo sparata per reggere e Custer’s Revenge attirò - giustamente - le ire di gruppi a sostegno dei diritti delle donne, oltre che di portavoce del popolo nativo americano e persino di insider del settore, che protestarono apertamente.

Vince chi seppellisce la bambin... ah, no!

Nonostante questo, per via di quella faccenda della cattiva pubblicità che è pur sempre pubblicità, il gioco vendette circa ottantamila copie, anche se la cosa più scandalosa furono le dichiarazioni rilasciate all’epoca da Stuart Kesten, il president di Mystique:

Non fece migliore figura il game's designer Joel Miller: nel tentativo di smarcarsi, arrivò a sostenere che “Il generale Custer, nel gioco, sta solo cercando di sedurre la fanciulla, che a sua volta è una partner consenziente”. Insomma, se l’è cercata.

L'elegante copertina di Custer's Revenge: la ragazza è evidentemente consenziente.

E mentre me ne stavo a rovistare tra i cassetti sporchi di Custer’s Revenge, sono capitato su un paio di notizie relative ai generali donna di Total War: Rome 2. Leggendo gli immancabili commenti di giocatori indignati, ché la filologia e la Storia dove le mettiamo, signora mia, mi è partito un corto circuito e mi sono trovato a riflettere sullo spirito di questi tempi. È passato esattamente un anno da quando il New York Times e il New Yorker hanno acceso la miccia sotto al culo di Weinstein - altro seguace della celebre linea di difesa Miller. Un anno. Uno. Ci sono rimasto secco, perché con tutta la roba che è saltata fuori nel frattempo, di anni a me ne sembrano passati almeno due, o tre, o quattro. Più in generale, ho la sensazione di vivere in un’altra epoca, e probabilmente questa sensazione deriva dal fatto che sto effettivamente vivendo in un’altra epoca.

Lo scoppio dell’inchiesta ha rappresentato una vera e propria linea di demarcazione che ha investito TUTTO, a cascata: dalla politica al costume, fino alla percezione della cultura, compresa (soprattutto?) quella popolare.

Ricordo che una sera, appena prima del botto, stavo cenando da McDonald's in compagnia di un amico e partendo da un discorso generale sul junk food mescolato a qualche lagnanza da scoreggioni sui giovani d’oggi, abbiamo preso a riflettere sulle differenze che passano tra i venticinque/trentenni, e i trentacinque/quarantenni.

«Stupidi millennial fighetti!»

Io, che rientro comodo nella seconda categoria, sono uscito vivo dagli anni Ottanta per il rotto della cuffia e da lì ho preso uno scivolo per dei Novanta a base di kebab, hamburger da birreria conditi con maionese e sottiletta, ristoranti cinesi da due lire assolutamente non filologici e, in generale, di una cultura del cibo di merda, che poi era anche una cultura del vivere di merda (contestualmente parlando). Perché, sì, se è vero che siamo quello che mangiamo, all’epoca ci sentivamo tutti un po’ dei Quentin Tarantino, degli Homer Simpson, degli Eddie Vedder, dei David Lynch e financo dei Manuel Agnelli, prima che X Factor lo rielaborasse in stile Intervista col vampiro (pure quello del 1994).

Tra l’altro, a pensarci, buona parte dell’immaginario cinematografico di quegli anni si sovrappone perfettamente alla carriera di Harvey Weinstein, e sotto un certo punto di vista non è un caso, così come non è un caso che all’epoca la gente fumasse nei locali. Poi, a un certo punto, quello che prima era figo, all’improvviso ha smesso di esserlo, e viceversa il viver sano, le birre bio e, in generale, uno stile di vita più attento (a sé, agli altri) hanno preso il posto delle ostentazioni di cinismo e delle Morettone da 66.

Ah, se per caso vi ho dato la sensazione di quello che “ai tempi miei si stava meglio”, non dipende necessariamente dalla posizione che ho in merito, ma dalla vecchiaia e dall’aver “quindici anni in meno”, come cantava Guccini.

«Stupidi... millenial... fighetti... burp!»

Resta che, da quando la merda è venuta a galla, la situazione è passata al livello successivo. Su Facebook o Twitter (ma più Facebook), le discussioni in merito a sessismo o bullismo si sono moltiplicate e in tutto questo ho notato che, spesso, le persone della mia generazione hanno la tendenza ad essere più lassiste in merito a certe cose, mentre quelle più giovani applicano a una maggiore intransigenza. Con questo non voglio accampare pretese statistiche, eh: ci stanno un botto di eccezioni e, alla fine, le mie osservazioni sono viziate dalla bolla social che mi circonda. Però, a naso, trovo che non siano del tutto fuori mira.

Soprattutto nell’ambiente che pratico, quello vicino a videogiochi/fumetti/film, avverto il proseguimento di uno scontro di opinione cominciato ai tempi del Gamergate, e che da lì è cresciuto, approfittando di un sacco di variabili nutrienti (politiche, sociali, mediatiche, eccetera). Uno scontro che leggo tanto ideologico, quanto generazionale, e che vede in campo quarantenni cresciuti a pop-rock e film di Lino Banfi vs. trentenni cresciuti a co-co-co e gruppetti indie. Non tiro in ballo i ventenni perché loro nuotano in un bacino ancora diverso.

Questo bacino qua.

Le differenze, per così dire, formative di cui sopra si riflettono soprattutto sul senso del limite, sulla tolleranza verso un certo tipo di umorismo, ed esplodono in diatribe come quella sui generali donna in Total War: Rome 2 o su certi atteggiamenti sessisti presenti in Valkyria Chronicles 4. Diatribe apparentemente contestualizzate, per alcuni perfino futili, ma che sottintendono ben altro, ovviamente, dal momento che i nerd (per usare una parola che non mi è mai tanto piaciuta, perché mi fa sentire etichettato ed escluso allo stesso tempo) calzano a pennello sui tempi che corrono.

Da un lato, ci sono i ragazzi nati durante i Novanta, che hanno avuto accesso a una cultura pop-nerd già “liberata”, assorbita socialmente e che oggi sta vivendo un vero e proprio momento di gloria. Dall’altro la vecchia guardia, composta da gente che spesso ha sperimentato sulla propria pelle l’emarginazione tipica delle nicchie e non riesce a digerire un presente che cammina sempre più veloce. Il bello è che all’inizio molti di loro erano gli outsider, gli eversivi, ma hanno finito per diventare dei conservatori che nascondono le proprie rigidità dietro assurde pretese di rigore assoluto e sacralità. Insomma, gira e rigira, è sempre la vecchia storia del ribelle e del tiranno che si ripete dall’alba dei tempi: in fondo, ci evolviamo anche così (pare).

“Crepa, vecchiodimmerda!”

Questo articolo fa parte della Cover Story più veloce del West, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.