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La commedia sexy è figlia di Bacco, tabacco e Venere

La commedia sexy è figlia di Bacco, tabacco e Venere

Per oltre quattro lustri, la trasmissione del segnale via etere è stata concessa in esclusiva alla RAI, con buona pace del pluralismo. Il monopolio inizia a sgretolarsi nel 1976, previo intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 202 di quell'anno spiana la strada alla diffusione capillare delle televisioni private. Le emittenti sono così autorizzate a occupare le frequenze lasciate libere da Saxa Rubra, a patto che si limitino a diffondere la loro voce solo a livello locale. Nascono così centinaia di realtà, molte delle quali improvvisate e prive di mezzi tecnici. Le più strutturate fanno quadrato e creano delle syndication, una forma di consorzio: i circuiti Italia 7 e Odeon TV si diffondono in tutto lo stivale, facendo leva su un palinsesto generalista.

Consapevoli di non poter reggere il confronto con la RAI e il Biscione, le televisioni private optano per una programmazione a tratti schizofrenica e all'insegna della controcultura, soprattutto a livello cinematografico. Le emittenti pescano nel torbido, si affidano alle commedie sexy e ai fanta-horror all'italiana, pellicole rase al suolo dalla critica e perlopiù indesiderabili. La staffetta è all'insegna del trash, parte da Giovannona Coscialunga disonorata con onore e arriva fino a Quella villa in fondo al parco. All'epoca ero piccolo e facilmente impressionabile, tremavo come una foglia al cospetto del terrore. E così mi sono rifugiato nelle scollature, “il posto più morbido dove mettere il naso”.

"Disgrazieto!"

"Disgrazieto!"

Alvaro Vitali scrutava l'altra metà del cielo dalla toppa di una serratura e io, complici gli ormoni in letargo, non riuscivo a comprenderne il perché. Al contrario dei personaggi da lui interpretati, non ero in preda ai bollenti spiriti: persino la celebre scena della doccia, immancabile in questo genere di pellicole, mi lasciava del tutto indifferente. I miei occhi ingenui coglievano la bellezza di Edwige Fenech e la perfezione del suo sguardo magnetico, ma lì si fermavano, immuni alle lussurie del sex appeal. Con l'arrivo dell'adolescenza, sono stato travolto dalle mille e più allusioni, il leitmotiv di questi lungometraggi sboccati e perennemente sopra le righe. Oggi mi rendo conto di quanto fosse miserabile la vita delle macchiette rese celebri da Renzo Montagnani, Lino Banfi e il già citato Pierino. Un'esistenza, la loro, all'insegna del “guardare e non toccare”, perché finivano sempre in bianco e non c'era verso di spuntarla.

Alle spalle dei nomi di spicco, troviamo un'intera generazione di caratteristi, attori che ricordo con tanta nostalgia. I miei preferiti in assoluto sono Jimmy il Fenomeno, eroe del Tavoliere delle Puglie dall'inconfondibile mimica facciale, il nevrotico Alfonso Thomas, snodato e impareggiabile principe dei tic, e il tondo Bombolo, l'antistress del commissario Giraldi. Curioso è il caso di Tiberio Murgia, sardo ma ritrovatosi incastrato nei panni del siculo geloso, ruolo cucitogli su misura ne I soliti ignoti, celebre pellicola diretta dal maestro Mario Monicelli. Il cinema italiano ha sempre offerto uno spaccato dello stivale, a tratti veritiero e talvolta grossolano, ponendo l'accento sui regionalismi e sulle espressioni dialettali. La commedia sexy non fa eccezione.

Per anni ho recitato a memoria i tanti tormentoni, per mantenerne indelebile il ricordo: oggi posso fare affidamento su YouTube, archivio a dir poco impareggiabile. Quando ho il morale sotto i tacchi, riparto di slancio dal brutto e mi rincuoro un po'. Pur adorando il trash in tutte le sue forme, ho sempre snobbato il filone dei decamerotici, reso celebre da Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda, pellicola che al botteghino incassò la bellezza di 640 milioni di lire. Il mio must è W la foca, forse la più delirante delle commedie sexy, un collage di scene a dir poco surreali, legate da un esile filo conduttore. Recuperatelo, fatelo vostro, merita di essere visto almeno una volta nella vita. Colgo l'occasione per consigliarvi anche Dove vai se il vizietto non ce l'hai?, film che conta su un cast di tutto rispetto, per il genere di appartenenza.

Nel brutto ci sguazzo, ma ne riconosco tutti i limiti: si tratta di pellicole figlie della loro epoca, innocenti evasioni che il pubblico si concedeva per spegnere il cervello e fuggire da una realtà, quella degli anni di piombo, a dir poco opprimente. Cinecittà comprese l'antifona e cavalcò l'onda per tutta la decade dei Settanta, alternando commedie sexy e poliziotteschi, genere quest'ultimo a tinte fosche e dalle sfumature nichiliste. La mia generazione, cresciuta fra videogiochi e Bim Bum Bam, per fortuna è stata solo sfiorata dall'orrore. Quando l'orologio della stazione di Bologna si fermò, io non ero ancora nato.

Oggidì il cinema di genere è stato sdoganato e rivalutato, talvolta in maniera fin troppo superficiale e al limite dello stucchevole. Io in parte lo difendo, ma con tutti i distinguo del caso. Mi ritengo un amante del trash piuttosto atipico, più Ghezziano che Giustiano, tendente al Blob ma con qualche sfumatura di Stracult. E come tale, celebro il bello in funzione del brutto, perché sono complementari.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Stranger Things e gli anni Ottanta", che trovate riepilogata a questo indirizzo

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