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Bejeweled: vent’anni fa, anche un po’ per caso, nasceva un fenomeno | Post Mortem

Post Mortem è una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Dieci anni fa, andavo alla Game Developers Conference per la terza volta, per la prima volta accompagnato dall’Antonelli, e ci ritrovammo nel bel mezzo delle celebrazioni per la venticinquesima edizione della fiera. L’evento venne anche sfruttato come gancio per istituzionalizzare i Classic Post Mortem, in cui gli sviluppatori di classici del videogioco si presentavano a ripercorrerne la genesi. Negli anni successivi, hanno continuato a proporne sempre almeno quattro o cinque (ne trovate diversi raccontati qua), ma quella prima volta andarono all-in e ne organizzarono una valanga. In mezzo a questa valanga, c’era anche il Classic Post Mortem dedicato a Bejeweled, che in effetti, qualche mese prima, aveva compiuto dieci anni. E che in effetti, visto il successo mostruoso riscosso, vista la sua onnipresenza e vista la sua influenza su altri giochi, si meritava lo status di classico. Epperò all’epoca, immagino perché attirato da qualche altro talk, marcai visita, segnandomi di recuperarlo prima o poi, perché comunque mi incuriosiva.

Fast forward brutale: il 30 maggio 2021 Bejeweled compie vent’anni, mi ricordo di quel vecchio Classic Post Mortem, decido di recuperarlo su YouTube e raccontarvelo qua.

Già nei primi minuti, scopro che Jason Kapalka, cofondatore di PopCap Games, ha un simpatico senso dell’umorismo autoironico ed era consapevole di queste mie considerazioni su Bejeweled. Sulle prime, infatti, gli era parso normale essere invitato a parlare del suo gioco, ma poi si rese conto di essere stato messo sullo stesso piano dei creatori di Maniac Mansion, Another World, Doom, Pac-Man c’era perfino Will Wright! E questo lo mise un po’ in ansia. Ma si riprese subito pensando che Justin Bieber aveva vinto un premio alla carriera e che fra i Classic Post Mortem c’era anche Marble Madness, “e massimo rispetto per Mark Cerny ma io odio Marble Madness, lui e la sua trackball appiccicaticcia di bibite gasate in sala giochi”.

Fatto sta che, certo, il suo era il gioco più giovane nel mucchio. Eppure aveva già uno status di classico senza tempo, una di quelle cose che trascendono la realtà. Ogni tanto, racconta nel suo intervento, la gente gli dice che ci giocava quando andava alle superiori. E va bene finché te lo dicono persone giovani, ma a volte erano anziani che di certo non andavano alle superiori dieci anni prima! Ma d’altra parte, “Io ricordo chiaramente di aver giocato a World of Warcraft quando andavo alle superiori, ma non è vero, sono troppo vecchio”. E insomma, Bejeweled era ed è un fenomeno. “Nel 2001, se dicevo di aver creato Bejeweled, mi rispondevano sticazzi. Nel 2011, se dico di aver creato Bejeweled, non mi credono”.

E insomma, come è nato un fenomeno pop che nel 2011 aveva venduto cinquanta milioni di copie e poteva vantare cinquecento milioni di giocatori, per sette miliardi di ore di gioco (tipo ottocentomila anni)? Be’, Kapalka, a fine anni Novanta, lavorava per il Total Entertainment Network come produttore, dopo una gavetta da scrittore/editor, e si occupava di trovare nuovi giochi online da proporre agli abbonati al servizio. Nel 1997 incontrò John Vechey e Brian Fiete, che sarebbero poi diventati i cofondatori di PopCap Games, e cominciò a lavorare con loro. “Fu un po’ bizzarro trovarmi a lavorare con dei diciottenni e non poterli quindi portare a bere al pub per discutere”, ma la coppia aveva creato ARC – Attack Retrieve Capture, una specie di Counter-Strike bidimensionale. Era rozzo ma funzionava, Kapalka rimase in contatto coi due e alla fine si misero in affari, fondando un’azienda chiamata Sexy Action Cool. Come mai? Beh, perché su un poster di Desperado c’era la tagline Sexy Action Cool. Già. E perché l’URL per il sito web era disponibile. Già.

Il loro primo gioco fu Foxy Poker, un tentativo di infilarsi nel settore della pornografia. Che detta così fa ridere, ma l’idea era di creare qualcosa con cui campare e, insomma, di certo nel porno i soldi non mancavano. Sostanzialmente era uno strip poker con personaggi cartooneschi, strutturato con le meccaniche dei videopoker, e il trio pensava di proporlo a un qualche produttore pornografico per vendergli il motore di gioco e trarne un guadagno tramite cui finanziare lo sviluppo di altri giochi. Il problema fu che non ebbero il coraggio di andare fino in fondo e finirono per infilarci illustrazioni in cui le giocatrici, una volta spogliate, non mostravano comunque “le grazie” perché qualcosa le copriva. Il gioco riscosse un minimo di popolarità ma insegnò loro che se vuoi entrare nell’industria del porno devi entrarci fino in fondo, altrimenti ti conviene uscirne. E con buona pace dei doppi sensi, decisero di uscirne.

“Quando scegli il nome della tua azienda, dovresti scegliere qualcosa che potrebbe piacere a tua mamma, perché una volta che diventa società per azioni, il nome ci rimane appiccicato per un pezzo. Anche dopo averlo cambiato in PopCap Games, dovemmo continuare a firmare assegni a nome Sexy Action Cool. E poi io ero canadese e avevo un visto di lavoro con scritto sopra che lavoravo per Sexy Action Cool. Ai controlli doganali non apprezzavano.”

I ragazzi iniziarono a lavorare sul primo gioco, che doveva essere semplice, vendibile alle aziende per cui lavoravano prima. E qui viene la grande domanda: a chi fu rubata l’idea di Bejeweled? Le ipotesi si sprecano! C’è chi fa riferimento a Shariki, un gioco presente sui mainframe russi d’epoca, chi a una variante di Tetris chiamata Tetris Attack, chi a Panel De Pon e chi a Columns, che in effetti, ammette Kapalka, è un riferimento comprensibile. Ma la verità è che all’epoca non conosceva quei giochi e il riferimento fu tale Colors Game. “Un gioco orrendo. Un gioco scomparso. Non riusciamo a ritrovarlo, l’immagine che vi mostro è una riproduzione, se qualcuno in sala ne conosce l’autore me lo segnali!”. Era semplicissimo, rozzo, goffo, sviluppato in Javascript: dopo ogni mossa, bisognava ricaricare la pagina! Però la meccanica di base dei colori da scambiare di posto era intrigante e decisero di copiarla, aggiungendoci animazioni, colori, livelli punteggio ecc…

Inizialmente pensarono di utilizzare pezzi dalla forma diversa, per rendere il gioco più leggibile, anche in ottica daltonismo. Ma che oggetti si potevano usare? Quali oggetti potevano essere contati in gruppi di sette, con colori e forme differenti ma raggruppabili in famiglie? Be’, la frutta! Ma in realtà non era banale trovare sette colori e sette forme di frutta completamente differenti. Allora magari le gemme? Eh, anche lì, le forme “reali” delle gemme erano troppo poco definite per far funzionare la cosa. Però l’idea delle gemme piaceva a Kapalka, che decise di partire da sette forme geometriche diverse e caratterizzarle poi visivamente come pietre preziose.

Il gioco, che inizialmente si sarebbe dovuto chiamare Diamond Mine, nel suo primo prototipo era già molto simile a Bejeweled.

Fra le idee di partenza ci fu quella di inserire un timer con una scadenza per il completamento del livello, perché pensavano che fosse un modo per rendere il gioco un arcade, con una vera sfida. All’ultimo momento, però, decisero di lasciare il primo livello senza timer, in modo che facesse da tutorial… e un sacco di gente non provò mai i livelli successivi, pensando che Bejeweled fosse semplicemente quel gioco lì, senza timer o pressione. Sulle prime sembrava un autogol clamoroso ma in realtà fu un gran colpo di fortuna, perché senza farlo apposta scoprirono il vero Bejeweled, quello che negli episodi successivi del gioco sarebbe stato indicato come Bejeweled Classic. Il Bejeweled che piace a tutti, perché offre un’esperienza di gioco rilassante, senza pressione, come una partita di Solitario. E infatti viene apprezzato tantissimo dalla stessa gente che ama il Solitario, le persone che, secondo Kapalka, oggi chiamiamo “casual gamer” e all’epoca chiamavamo “mia mamma”.

A tal proposito, fra le cose andate ben che sulla carta dovevano essere errori clamorosi ci fu l’ignorare alcuni consigli che arrivavano da esperti di game design. “Non è nemmeno un gioco”, dicevano, perché si poteva perdere per sfortuna, invece che per un tuo errore, veniva visto come sbagliato, in ossequio a una mentalità da videogioco arcade. Ma la concezione secondo cui è sbagliato che il caso abbia un ruolo importante in un gioco non è necessariamente corretta, anzi, viene negata da tanti classici del gioco. È solo una tradizione dei videogiochi.

“E comunque la nostra risposta era ‘A mia mamma piace’”

Un altro errore? Kapalka e i suoi non conoscevano minimamente la situazione del mercato. A fine 2000, con la bolla di internet appena esplosa, lanciare un business basato sull’online non era una grande idea. Ma loro non ne sapevano nulla, se non che parecchi amici si erano ritrovati disoccupati. E forse a questo si collega un altro gran colpo di fortuna: non riuscirono a vendere il gioco o a trovare investitori. Alla fine trovarono un accordo con Microsoft, che non voleva saperne di pagare trentamila dollari per il gioco ma accettò di pagare millecinquecento dollari al mese per averlo sui suoi server. Kapalka e amici erano delusi ma pensarono che se avessero piazzato un po’ di altri giochi con questo modello sarebbe andata bene. Col senno di poi fu ovviamente una gran fortuna: avevano conservato la proprietà dell’IP di un gioco che sarebbe diventato un fenomeno colossale.

Ma fra le cose più importanti per la riuscita di Bejeweled, sostiene Kapalka, ci fu l’aver creato un gioco che piaceva a loro tre. I server erano pieni di giochi fatti male, di fretta, pensando a guadagnare soldi… che poi è esattamente quel che avevano provato a fare inizialmente con Foxy Poker. Ma quando provarono a fare una cosa in cui credevano, andò bene. E sì, c’era stato il test mamma, ed era importante che piacesse anche a lei, ma l’obiettivo non era fare un gioco per le mamme. Quello fu solo un fortunatissimo risultato collaterale. Il punto, sostiene Kapalka, è che se sei bravo puoi avere successo sviluppando giochi che non ti piacciono ma in quel modo non tirerai mai fuori qualcosa di veramente grande.

Puzzle Quest è bellissimo, un gran gioco. Non amo i cloni che non aggiungono nulla o sono addirittura peggiori, ma Puzzle Quest aggiunge molto e soprattutto aggiunge qualcosa a cui noi non avremmo mai pensato.”

Ci furono anche cose che andarono storte, o comunque proiettili schivati. Per esempio, Kapalka aveva deciso di voler infilare nel titolo di ogni gioco che sviluppava un riferimento alla scena rock canadese. Già. E Diamond Mine veniva da lì. Microsoft, però, fece opposizione, voleva un nome unico, nuovo, fresco. “Ci proposero varie alternative, tutte orrende, ma in particolare odiavo Bejeweled, perché era uscito da poco il film Bedazzled (Indiavolato) e temevo il riferimento diretto al film, temevo che sarebbe invecchiato e sarebbe stato dimenticato. Alla fine venne dimenticato solo il film”. E poi rilasciarono un’intervista a Old Man Murray, un sito che all’epoca andava parecchio, curato da Chet Faliszek ed Erik Wolpaw, che sarebbero poi andati a scrivere robetta come gli episodi di Half-Life 2, i due Portal e i due Psychonauts. In quell’intervista, il nome venne preso in giro e storpiato in Bejewed. E Kapalka era terrorizzato da quel gioco di parole. “Ma insomma, poi andò bene, e in fondo Tobe Hooper ci mise un po’ ad ammettere che The Texas Chain Saw Massacre era un titolo migliore di Headcheese”.

Tra l'altro, a proposito dei rapporti con Microsoft, PopCap diede il permesso per la pubblicazione di Bejeweled sponsorizzati con qualsiasi cosa. Ma qualsiasi cosa, eh! Tipo il Bejeweled del macellaio, o quello del cibo per cani. E lo facevano. E non c'era modo di impedirglielo. Non benissimo anche l'interfaccia utente a schermata singola, con tutte le informazioni e le opzioni in una cornice costantemente a schermo. Era una forma mentis rimasuglio dei tempi in cui su pogo.com bisognava pressare tutto il gioco in un'unica schermata, per ridurre le dimensioni del download. Ma a quel punto non era più particolarmente necessario e avrebbero potuto creare qualcosa di più snello ed elegante, come in effetti fecero per Bejeweled 2. In termini di interfaccia, poi, non fu molto elegante anche inserire svariati livelli di difficoltà e modalità assortite, che rendevano tutto troppo complicato, anche se poi da questo discorso nacque il colpo di fortuna dell'assenza di timer nel primo livello. Ma qua ci si collega anche a un pallino che francamente condivido con Kapalka, quello sull'assurdità del ritrovarsi a scegliere un livello di difficoltà e svariate altre impostazioni prima di cominciare a giocare, quando ancora non sai nulla del gioco. E sempre sul tema della difficoltà e delle cose che magari funzionavano ma non erano elegantissime, nel rispondere a una domanda dal pubblico, Kapalka spiega che il primo gioco non includeva nessun genere di aggiustamento sul piano dell’intelligenza artificiale per favorire il giocatore al momento della generazione delle gemme che riempiono lo schermo. Nel seguito inserirono, più che altro per la modalità a tempo, un sistema di generazione delle nuove gemme per fare in modo che ci fosse sempre almeno una singola mossa possibile. Ma nulla di più.

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Outcast Reportage: GDC 2011 Outcast Staff

Infine, a Kapalka restò un po’ sul gozzo il fatto che Bejeweled non avesse un tema estetico chiaro, unico, coerente, di personalità, perché lui ama molto avere dei temi “portanti” nei giochi, che dettino personaggi, colori ecc… Diamond Mine aveva il tema della miniera, per esempio, anche se a conti fatti nessuno ci faceva particolarmente caso e, infatti, con Bejeweled 2 abbandonarono completamente l’idea. Ma Kapalka ribadisce che concettualmente preferisce provare ad avere un tema coerente, anche se poi sarà il progetto a dirti se funzioni o no: “Per esempio ha funzionato con Bookworm, mentre venne abbandonato con Peggle, che in fase di prototipo era tutto incentrato sulla mitologia norvegese.”

E insomma, una volta completato lo sviluppo, cosa accadde? Be’, Bejeweled andò online, funzionava, lo studio iniziò a dedicarsi ad altro, contando sull’assegno mensile. Solo che poi, improvvisamente, saltò fuori che il gioco aveva trentamila utenti, vale a dire più di qualsiasi altro titolo disponibile sul servizio Microsoft. Eh, buttali! Si resero conto che poteva essere il caso di sfruttare maggiormente, e soprattutto in maniera migliore, quel che avevano creato, anche perché il mercato della pubblicità stava collassando e il modello del gioco in licenza su un portale ne seguiva il percorso, con Microsoft che già puntava al ribasso in previsione di un gioco successivo. Decisero così di proporre Bejeweled Deluxe, col senno di poi tranquillamente indicabile come il primo gioco scaricabile della corrente che avrebbe scatenato la nuova ondata del casual gaming. Adorabili le conversazioni dell’epoca: “Ma perché la gente dovrebbe comprarlo, se può giocarci gratis online? Gratis, eh!” “Cacchio, a quanto lo vendiamo? Due dollari?” “Ma che, scherzi? Diciannove!” “Ma come diciannove?!?” “Se lo metti a due dollari, la gente penserà che sia spazzatura. Se lo metti a diciannove, lo compreranno”. Ed era vero.

Quanto sembra un’epoca lontana anni luce?

Il primo Bejeweled venne sviluppato nel giro di un mese, in Java. Per Bejeweled Deluxe ci vollero tre mesi, che all’epoca, per i loro standard, non erano certamente pochi. Ne venne fuori un gioco da 1,5 MB, forse l’ultimo gioco tecnicamente pubblicabile in formato floppy. Una cosa abbastanza romantica, che decisero di sfruttare anche a livello comunicativo, proponendo alle fiere un press kit sotto forma di vero dischetto vintage. E il gioco ingranò. Ah, se ingranò. Misero assieme un semplice programmino che generava l’effetto sonoro del registratore di cassa sui loro computer ogni volta che qualcuno comprava una copia del gioco ed era un concerto continuo. Quando John Vechey se ne stava a casa, spaparanzato sul divano a cazzeggiare, e gli dicevano “Non puoi fare soldi seduto sul divano”, lui sentiva un ka-ching arrivare dall’altra stanza e ridacchiava. Insomma, il modello dei giochi scaricabili andava bene. Andava benissimo!

Nel 2004, dopo due anni di sviluppo, pubblicarono Bejeweled 2, con cui sistemarono vari problemi e aggiunsero diverse idee, ma dovettero anche frenare un po’, perché non volevano rischiare di rendere tutto troppo complesso, commettendo l’errore delle tante varianti di Tetris che avevano provato a “migliorare” il gioco senza mai riuscirci, e in realtà un po’ lo fecero. Per Bejeweled Twist ci vollero tre anni, davvero troppi (per i loro standard e per i tempi), e ne trassero soprattutto una dura lezione: di più non è necessariamente meglio. Ancora una volta, inserirono meccaniche che molti non apprezzarono, perché si allontanavano troppo dal cuore di Bejeweled. Bejeweled Twist era un buon gioco ma non era un buon Bejeweled. E i tempi di sviluppo continuavano ad allungarsi. Come mai? “Beh,” spiega Kapalka rispondendo a una domanda dal pubblico, “una maggiore complessità richiedeva più tempo. E non è solo quello: a volte, fare cose semplici è complicato perché devi piano piano eliminare cose che non funzionano ma che comunque hai impiegato tempo a creare”.

Una bella sfida venne dalla prima versione pubblicata su iPhone, nel 2008. Erano già stati pubblicati dei Bejeweled per telefoni, ma sviluppati da altri studi su commissione. Questa volta se ne occuparono loro e dovettero affrontare una problematica all’epoca forse più significativa di oggi: le dimensioni dello schermo. Ovviamente a Bejeweled si gioca bene con un’interfaccia touch, ma le dita non sono stilo, sono grosse e goffe, quindi non si possono creare giochi che richiedano troppa precisione. Allora inserirono quella che chiamarono “fat finger detection” e che, nella sostanza, non era concettualmente diversa dalla mira assistita o da mille altri accorgimenti dietro le quinte dei videogiochi che amiamo. Quando strisciavi il dito sullo schermo, anche se il tuo movimento non era preciso, il gioco analizzava le gemme nei dintorni e intuiva cosa stavi cercando di fare. Ovviamente, è la classica cosa da bilanciare molto bene, perché se esageri dai l’impressione che il gioco faccia tutto da solo, ma la realtà è che la maggior parte della gente non se ne accorgeva. E su iPhone vendettero quattro milioni di copie.

Come mai in Bejeweled Twist non è possibile ruotare le gemme in entrambe le direzioni? “Ci provammo, ma complicava troppo il gioco, perché si aprivano troppe possibilità e la gente si bloccava, senza sapere cosa fare. Eppure era la prima cosa che chiedevano tutti, al punto che divenne un tormentone nei nostri uffici e iniziai a minacciare il licenziamento per chiunque osasse chiederlo.”

Bejeweled Blitz, del 2009, fu una reazione a Bejeweled Twist. Da un lato, ovviamente, c’era il desiderio di cimentarsi con una piattaforma che, apparentemente, stava per esplodere. Dall’altra c’era la voglia di sviluppare qualcosa velocemente, senza metterci tre anni, e tornare un po’ alle radici del gioco. Non avevano nello studio dei programmatori di Flash, ma avevano una versione di Bejeweled 2 in Flash sviluppata da uno studio esterno e mai pubblicata. Inoltre, un impiegato del supporto clienti aveva studiato la programmazione in Flash nel tempo libero. Vedi il destino? Li misero assieme e in tre mesi tirarono fuori un altro successone, da centotrenta milioni di partite al giorno e venticinque milioni di giocatori nel primo anno. Fu tra l’altro utile per notare, in tempi ampiamente non sospetti, l’importanza del supporto multipiattaforma: metà della loro utenza giocava su Facebook e su iPhone. L’altra cosa su cui andarono a sbattere quando ancora non se ne parlava come oggi fu il concetto di game as a service: pubblicare un social game significa pubblicare qualcosa che non finirai mai di sviluppare.

La lavorazione di Bejeweled 3 procedette parallelamente a quella di Bejeweled Blitz e fu forse l’ultimo rantolo di un modo “vecchio” di sviluppare videogiochi. Ci impiegarono due anni, quindi riuscendo ad asciugare un po’ i tempi, anche se comunque non fino a soddisfazione completa, e lo pubblicarono nel 2010 riscuotendo un buon successo, probabilmente perché avevano fatto un passo indietro, evitando di alterare pesantemente le meccaniche e recuperando il cuore del gioco originali. Infine, nel 2011, Bejeweled Blitz Live per Xbox Live, che si scrollava di dosso la parte Facebook ma rimaneva “sociale” tramite Xbox Live, quindi con un multiplayer non asincrono che, di nuovo, costituì una bella sfida.

Il racconto si conclude sostanzialmente qui, con qualche aneddoto, tipo quello del Bejeweled Blitz Carnage Drinking Game: i ragazzi dello studio si ritrovavano al pub e giocavano tutti assieme su iPhone, iniziando contemporaneamente una partita da un minuto. Alla fine, si sottraeva il punteggio più basso da quello più alto e per ogni diecimila punti di differenza lo sconfitto doveva bere un drink. La differenza peggiore che Kapalka abbia mai visto era da diecimila a quattrocentomila. Chiaramente, in quel caso, era probabile che tu abbandonassi il torneo. Era un passatempo delirante, divertente, ma che li fece anche riflettere su ulteriori opportunità al di fuori del classico contesto solitario di fronte al computer o alla console, magari a base di geolocalizzazione.

Nel mentre, il mercato e i giocatori si evolvevano, o forse no. A domanda diretta dal pubblico, Kapalka spiega infatti che, per come la vede lui, da un lato i giochi casual sono diventati più complessi, come è il caso di Plants vs. Zombies, ma dall’altro il pubblico è andato anche nella direzione opposta, con giochi su iPhone incredibilmente casual, anche per gli standard di PopCap Games. Insomma, boh?

Questo è il gatto di Jason Kapalka: si chiama Snackers e, in una forma o nell’altra, appare in tutti i Bejeweled.

La conclusione, purtroppo, è agrodolce. Kapalka chiuse infatti il suo intervento ribadendo quanto grande fosse l’onore nell’essere salito su quel palco assieme ai creatori di classici senza tempo, ben più “anziani” del suo Bejeweled. E disse che gli veniva in mente il finale di Salvate il soldato Ryan, quando il capitano Miller, in punto di morte, dice a Ryan “Meritatelo”. Sperava che se lo sarebbero meritato.

E, be’, se da un lato, fra Bejeweled, Plants vs. Zombies e Peggle, io mi sento di dire che lì sopra Kapalka non ci stesse male, dall’altro la favola rovinò a valle pochi mesi dopo, quando, a luglio 2011, Electronic Arts acquisì PopCap Games per ottocentocinquanta milioni di dollari. E insomma, da un lato buttali, dall’altro, “EA ci acquisì perché dicevano che eravamo come Pixar, ma poi smettemmo di esserlo”. Era il periodo in cui stava esplodendo il mercato del free-to-play e delle microtransazioni, su cui Electronic Arts spinse senza tregua, succhiando via da quegli uffici e da gran parte di quelle centinaia di persone la gioia dello sviluppo di videogiochi. Ne vennero fuori anche cose buone, tipo Plants vs. Zombies: Garden Warfare, ma insomma, non credo sia un caso se nel giro di tre anni i fondatori se ne andarono tutti. Sigh.