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I dolori del giovane rhythm gamer su Beat Saber

Rhythm game e dolore fisico vanno a braccetto. Anni fa, e non voglio sapere quanti o mi deprimo, io e alcuni amici riuscimmo a mettere le mani su un set completo di Guitar Hero (o era Rock Band?) a un prezzo decente. Quando porgemmo lo scontrino, la cassiera del Saturn (o era un Media World?) ci disse che il bambino che l’avrebbe ricevuto sarebbe stato molto contento. Certo, il bambino a cui l’avremmo regalato, quello lì, biondino e bravo a scuola, che la domenica successiva avrebbe fatto la prima comunione. Come no! Non questo branco di studentelli poco più che ventenni che non vedevano l’ora di chiudersi in casa il venerdì per pestare una batteria di plastica e farsi sistematicamente cazziare dai vicini di casa alle due di notte. Quando, in preda ai fumi di una quantità ridicolmente modica di birra, partiva sistematicamente Livin’ on a Prayer, eravamo convinti di riuscire a cantarla in maniera sufficientemente dignitosa da non sembrare uno stormo di oche che venivano sgozzate simultaneamente nel salotto.

Nel gruppo, lo strumento più sfigato era ovviamente il basso, il più ambito la batteria, che fortunatamente non solo era il più difficile ma anche il più logorante fisicamente. Le quattro paia di braccia che sfoggiavamo collettivamente erano a malapena abituate a sollevare i manuali universitari, figuriamoci se riuscivano a sostenere intense e ritmate sessioni di pestaggio di piatti e tamburi di plastica gommata. Il risultato era che il batterista finiva il suo turno di due o tre brani rosso in volto e sudato come se avesse appena corso una maratona. E le braccia, mio Dio, le braccia facevano male di un dolore sconosciuto, che avremmo volentieri accomunato a quello di una scazzottata, se qualcuno di noi fosse effettivamente finito in una rissa in passato, cosa che ovviamente non era accaduta. Prendere posizione alla batteria a fine serata era un immolarsi alle divinità dei rhythm game, l’equivalente videoludico dei flagellanti insanguinati alla processione di Guardia Sanframondi sull’Appennino Sannita, forse il momento in cui più ci si avvicinava a quella sensazione di dolore/piacere che tanti impallinati del fitness millantano. E che, a distanza di anni, ancora devo provare per la prima volta. È dolore e basta, non cercate scuse.

Chef Tony vi fa na pippa.

I dolori da rhythm game, quindi... ché l’unico modo di farci muovere quelle rachitiche braccine era per pestare e svisare su finti strumenti in plastica. Ecco, Beat Saber dispensa lo stesso identico, dolce, dolore fisico. Anzi è anche meglio, perché al posto di chincaglieria plasticosa, si pestano simpatici cubotti fluo con due spade laser nella realtà virtuale. L’importante è tagliare i cubotti nella direzione giusta, indicata dalla freccia posta sul cubotto stesso, e cercare di farlo a tempo con la musica e con la giusta angolazione, per fare ancora più punti. Semplice, immediato e brutalmente fisico, anche per chi non è alla ricerca dell’high score, Beat Saber lascia senza fiato dentro e fuori di metafora. Dentro la metafora (e il caschetto), lascia senza fiato col suo fluido movimento affogato in un’atmosfera da realtà virtuale anni Ottanta, a base di neon e saturazione a palla. Continua a sorprendere dopo i primi fendenti, con la sua precisione totale (almeno su Vive, su cui l'ho giocato) e una sensazione di soddisfazione incredibile nel vedere e sentire, anche tattilmente, i primi cubotti sgretolarsi e scomparire come Spider-Man dopo lo schiocco di Thanos. È tutto assolutamente perfetto e cesellato per ricreare la power fantasy definitiva, che cattura il giocatore semplicemente permettendogli di scatenarsi con due lame laser a tempo di musica. Ma Beat Saber lascia senza fiato anche fuor di metafora, perché obbliga a uno sforzo fisico non da poco, con tutto quel muoversi a destra e sinistra e menare fendenti. Per dimostrarlo, mi son piazzato un sensore di battito cardiaco sul petto e mi sono lanciato in una sessione di una quarantina di minuti a base di una decina di brani in modalità difficile o esperto. Il risultato, secondo il normalmente affidabile orologio da fitness che giace per gran parte del tempo nel mio comodino, è che ho bruciato quasi seicento calorie a sbracciarmi come un cretino, in un allenamento che l’orologino ha definito “medio-pesante”. Mica male, quando quella mezz’ora è volata via in un lampo.

Uno dei motivi per cui non ho più le ginocchia è la comparsa di questi muri bassi a tradimento.

OK, tutto molto bello ma andiamo alla ciccia. Quel che differenzia la versione definitiva di Beat Saber dalla versione di cui ho scritto esattamente un anno fa è tanto. Il succo del gioco è lo stesso ma i miglioramenti e le opzioni aggiunte sono numerosi. C’è sicuramente una rilevazione delle collisioni migliore, abbinata a un redesign delle spade laser, forse per tenere lontani gli avvocati di Lucas e Disney. L’interfaccia è migliorata notevolmente e i brani disponibili sono aumentati, insieme alle opzioni per le partite: ora è possibile disattivare alcuni aspetti più complessi del gioco al prezzo di una diminuzione del punteggio finale. Viceversa è anche possibile attivare ostacoli e limitazioni ulteriori per ottenere un punteggio più elevato. È stata inoltre aggiunta una modalità Campagna, che guida il giocatore attraverso brevi stralci di brani, sfidandolo magari ad eseguire un brano con i cubotti che scompaiono man mano che si avvicinano al giocatore e altre amenità. Importantissima anche l’aggiunta di un editor di brani ufficiale, che permette di creare i propri livelli cubotto per cubotto. E in realtà, i cambiamenti, visibili e non, sono tantissimi e portano il gioco a un livello di rifinitura e varietà decisamente apprezzabile, specie per un titolo sviluppato da un piccolo studio. Nonostante le tante aggiunte, la qualità dei brani proposti è sempre di poco superiore alla mediocrità ma sono sufficientemente orecchiabili da entrare in testa comunque. Alcuni brani sono anche offerti come DLC a pagamento, e probabilmente sarà questo il modello che il gioco seguirà nei prossimi anni. Per tutto il resto, se siete su PC, è possibile modificare Beat Saber a dovere, per inserire livelli creati dalla community ma anche per alterare significativamente interfaccia, grafica, colori e tantissimo altro.

La modalità Expert+ è così, solo che in più, dopo due secondi, non vi sentite le braccia.

Oh, io 'sto Beat Saber non so più come vendervelo. Funziona alla grande come party game, visto che nessuno dei vari sciamannati e sciamannate più o meno nerd che passano regolarmente da casa mia si è rifiutato di fare una seconda e poi una terza partita, grondando entusiasmo ma soprattutto sudore. Allo stesso modo, è grandioso prendere Beat Saber seriamente e impegnarsi nel massimizzare i punteggi partita dopo partita, memorizzando i pattern e trovando il modo di concatenare i movimenti in un'unica, fluida e possibilmente ridicola danza di lame. Alzando la difficoltà, le cose si fanno davvero difficili: sono abbastanza convinto che, se si riesce a terminare un livello a difficoltà "Expert+", la più elevata, ci si ritrova direttamente Obi-Wan Kenobi a casa a chiedere se vuoi diventare suo padawan.

Beat Saber è assolutamente imprescindibile se si possiede un qualsiasi caschetto compatibile, e con versioni disponibili su Vive, Oculus e PSVR, le possibilità di giocarlo sono tante. È tutto ciò che un gioco in realtà virtuale dovrebbe essere, saldamente nell'Olimpo dei migliori giochi da affrontare col caschetto in testa Fatevi un favore e provatelo ad ogni costo. È un frecheteinpetto con turbinio di lame!

Ho giocato a Beat Saber grazie a un codice fornito dallo sviluppatore un anno fa, quando il gioco era ancora in Accesso Anticipato. Personalmente, l’ho provato su HTC Vive ma il gioco è disponibile anche per Oculus e PSVR. Ci ho giocato a intervalli regolari per un totale di oltre dieci ore, di cui almeno un paio passate nella versione definitiva. E non ho intenzione di smettere... almeno finché non mi scoppia il cuore. Beat Saber è disponibile solo tramite download su PC (su Humble Bundle, su Oculus Store e su Steam) e su PlayStation 4.