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Alien Storm, gremlins e calamari gommosi | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Estate del 1992. Quando sei un bambino, l’arrivo dell’estate è sempre motivo di gioia. Finisce la scuola e passi le giornate fra giri in bicicletta, partite di pallone e scorpacciate di gelati a forma di piede (il mitico “Piedone” che andava di moda in quel periodo). Un altro motivo che rendeva l’estate un periodo particolarmente atteso dipendeva dal fatto che ci cadeva il mio compleanno, con conseguente videogioco in regalo.

Avevo da poco visto Predator 2 in VHS - il film era stato bollato “V.M. 18”, e per questo ancora più invitante - e volevo assolutamente il tie-in per Mega Drive. Quando è arrivato il momento di scartare il tanto atteso regalo, mi sono invece ritrovato fra le mani Alien Storm. Per farla breve, Predator 2 non era disponibile presso il negozio praticato dai miei, con conseguente ripiego su Alien Storm perché “ci hanno detto che tanto è uguale a quello che volevi”.

Fortunatamente l’iniziale delusione si trasformò in soddisfazione dopo i primi minuti di gioco. Alien Storm permetteva di scegliere fra tre personaggi: Garth, un nerboruto omaccione che indossava una specie di zaino protonico simile a quello dei Ghostbusters; Karen, armata di lanciafiamme, e il robot Scooter, che utilizzava una sorta di frusta elettrica. Lo scopo del gioco era, semplicemente, quello di ripulire le strade della città da vari invasori alieni che non brillavano certo per originalità: si trattava principalmente di creature ispirate ai gremlins o strani ammassi rosa con i tentacoli, ai quali avevo dato l’appellativo di “calamari gommosi”, oltre a qualche lumacone verde e arancione che spuntava da sotto i bidoni dell’immondizia o dalle cabine telefoniche. Dopo tot. livelli era possibile raggiungere la classica astronave madre con conseguente capo alieno da debellare.

Se troppo vicini, i “calamari gommosi” cercavano simpaticamente di masticare il personaggio giocabile.

Come gli altri titoli dello stesso genere usciti in quegli anni, Alien Storm offriva un divertimento “mordi e fuggi”: lo si poteva completare in un’oretta, anche se l’esiguo numero di vite a disposizione (solo tre) e il rischio di rimanere con le armi scariche (oltre alla barra della vita ne era presente una seconda, quella dell’energia) ne allungava la longevità, che aumentava ulteriormente in caso di completamento con tutti i personaggi, peraltro piuttosto bilanciati fra loro. Inutile aggiungere che un titolo come Alien Storm era molto più divertente se giocato in compagnia, ma anche in singolo era discretamente appagante: bisognava semplicemente cercare di non farsi circondare dagli alieni, che nei livelli finali diventavano più resistenti, e centellinare l’energia delle armi; tra l’altro, gli alieni più deboli potevano essere eliminati anche con una sorta di “tuffo” in avanti. La monotonia dei livelli a scorrimento veniva spezzata di tanto in tanto da sezioni in prima persona ambientate all’interno di negozi e magazzini, e nello stage finale si era chiamati a scegliere tra una strada piuttosto che un’altra, allungando eventualmente il percorso fino all’ultimo boss.

Le sezioni in prima persona erano brevissime, utili per ricaricare le barre della vita e dell’energia.

Alien Storm, la cui versione arcade spegne trenta candeline proprio quest’anno, purtroppo non ha avuto nessun seguito né ha goduto della stessa fama di altri titoli simili come ad esempio Golden Axe o Streets of Rage. Tuttavia, è costantemente presente sia nelle varie raccolte di titoli Sega (compresa la recente collection pubblicata per le console della generazione appena terminata), sia nei roster dei vari Mega Drive Mini e versioni AT Games; ed è un classico che bene o male si rispolvera sempre con piacere.

Tra l’altro, ora che ci penso anche Predator 2 compie trent’anni. In questo caso i sequel non sono mancati, ma non sono sicuro sia stato esattamente un bene.