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Alan Wake è diventato più giovane di me | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Quello che durante un pomeriggio del luglio di dieci anni fa si magnava con passo sicuro il corridoio del centro Centro Commerciale Mirabello (Cantù) era oggettivamente un Peduzzi al massimo della forma. Per capirci, stiamo parlando di uno splendido trentaduenne pieno di capelli e senza un filo di grasso in eccesso, ma soprattutto senza traccia di calcoli renali, al netto di una dieta a base di merda di McDonald’s e bevande gassate.

Lucido, reattivo e sul pezzo, il nostro si trovava in zona per recuperare via GameStop (catena ancora al massimo della forma, sul pezzo, eccetera) una (lucida e decisamente reattiva) Xbox 360 Slim, che era stata presentata giusto qualche settimana prima da una Microsoft in testa al campionato e lontana dagli sfottò della concorrenza.

Quella che il nostro trentenne rampante e fascinoso stava per comprare non era soltanto la prima console Microsoft della sua carriera di videogiocatore™, ma addirittura la prima roba prodotta e/o in qualche modo collegata a Bill Gates da, boh, una decina d’anni a quella parte. Più o meno da quando il sé stesso ventenne, e a dirla tutta un po’ sfigato, aveva abboccato ai “think different” di Jobs e compagnia cantante e li aveva mescolati con certi pipponi giapponesi tipo Final Fantasy VII e Metal Gear Solid.

In più, se aggiungiamo al pasticcio tutti quegli strati di Peduzzi compresi tra il 1988 e il 1991, pieni di PC Engine lumati sulle rivistine, misteri della pietra azzurra e repliche censurate di Orange Road, dire che è abbastanza logico ritrovarsi ad avere a che fare, nel 2010, con un tizio decisamente più incline alle robine di Sony e Nintendo, piuttosto che a quelle di Microsoft, no? Per questioni di esclusive, sì, ma soprattutto di atmosfera.

Nonostante ciò, il suddetto trentenne figo e sul pezzo, che aveva sempre guardato con spocchia i vari Xbox esposti alla Fnac di Via Torino (oggi tutt’altro che in forma) liquidandoli come roba da redneck, quel pomeriggio estivo aveva una gran voglia di giocare alla migliore versione di Bayonetta sul mercato, ma soprattutto di mettere le mani su ‘sto benedetto Alan Wake che, in fin della fiera, stava facendo parlare di sé dal 2005.

Il Sam Lake del 2019 mentre fa il simpa con le robe di Kojima.

Più o meno, cioè, da quando un Sam Lake ancora nel pieno dei trent’anni e (lui sì) veramente sul pezzo spiegò alla stampa che aveva intenzione di esplorare da un nuovo punto di vista le atmosfere noir di Max Payne. Un punto di vista che aveva in mente da un pezzo, addirittura - pare - dall’infanzia, quando, durante una vacanza nella campagna di Raseborg, nel sud della Finlandia, trovò un vecchio interruttore della luce che qualcuno aveva gettato nella spazzatura e si mise a giocarci immaginando cose matte.

Detto questo, l’Alan Wake in fieri del 2005 era molto diverso da quello effettivamente uscito cinque anni dopo, ché all’inizio l’idea era di sviluppare un survival horror dalla struttura open world, che fosse una specie di mix tra Grand Theft Auto e Silent Hill.

Il progetto portò il team di Remedy a raccogliere una fitta documentazione (si parla di sessantamila foto, oltre a video e registrazioni audio) tra l'Oregon e lo Stato di Washington. Venne addirittura sviluppato un prototipo, ma nel giro di qualche mese lo studio si trovò a far fronte a tutta una serie di difficoltà di natura organizzativa, tra personale insufficiente e problemi di budget, ma soprattutto creativa. A quanto pare, la visione di Lake non ci azzeccava con la struttura open world, e a lungo andare la libertà concessa al giocatore cozzava con l’elaborazione della tensione e, soprattutto, con la vocazione narrativa prevista dall’opera.

Lo studio finì per abbandonare l’idea di partenza, indirizzando tutti i materiali già sviluppati verso un design più lineare. Ora, non sapremo mai, credo, se quella scelta sia stata un bene o un male in senso assoluto. Quello che sappiamo per certo è che l’Alan Wake effettivamente uscito nel 2010 deve una fetta del suo fascino alla genesi tribolata.

La presenza di un sottofondo aperto e, soprattutto, di un motore acconcio, al di là di un level design contestualmente flessibile, donano al mondo che si srotola attorno ad Alan (trentasei anni, allora come ora) un tiro che difficilmente si incrocia in progetti del genere. Anche perché, diciamocelo, una roba così o nasce di culo/sfiga o non ha senso, almeno sulla carta, e per certi versi siamo nello stesso campo da gioco di un Visconti che infarciva le sue scenografie di dettagli apparentemente ininfluenti o addirittura invisibili (tipo cibi nelle credenze chiuse e cose così) solo per tirare su atmosfera.

Ambienti che danno un tono all’ambiente.

Del resto, credo sia stato proprio quel fascino strano, mescolato a un sistema di combattimento molto figo e a un sacco di trovate “meta” sparse tra King, Carpenter e Lynch, a non far pentire di una briciola il Peduzzi trentenne. Oltre al fatto che, OK, comprare una console nella fase calante del suo ciclo di vita è quasi sempre una buona idea.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle esclusive, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.