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Il labirinto di Theseus è bello, ma si trova l’uscita troppo in fretta

Come ho già scritto altrove, e come ha scritto altra gente prima e senz’altro meglio di me, non esiste forse uno spazio che sia allo stesso tempo più sacro, ludico e intrinsecamente problematico del labirinto: labirintici erano spesso i luoghi adibiti ai riti di passaggio rielaborati dai miti più antichi; labirintici erano pure i percorsi di purificazione e preghiera delle cattedrali medioevali, così come labirintici erano - per ragioni di diletto - i giardini rinascimentali. Chiaramente, anche la dimensione spaziale di moltissimi videogiochi è costruita a mo’ di labirinto.

Su un piano simbolico, per non dire esoterico, all’origine dell’idea di labirinto ci sarebbe la spirale tracciata dai serpenti lungo il suolo (avete presente Prisoners?), quella stessa spirale che, probabilmente, è pure all’origine dello zampirone che ho attizzato lo scorso sabato per tenere a bada le zanzare mentre, nella quiete notturna, infilavo il visore di PlayStation VR e lanciavo Theseus, l’esperienza in realtà virtuale sviluppata dallo studio milanese Forge Reply (lo stesso dietro a Joe Dever’s Lone Wolf).

Lo spazio sacro del labirinto.

Theseus prende il mito classico di Teseo e Arianna e lo rielabora una chiave più moderna e oscura, persa tra l’horror psicologico e suggestioni alla Alien (che poi sono un po’ la stessa roba, ma vabbé), come raccontato dagli sviluppatori in un’intervista pubblicata qualche giorno fa. A rendere inconsueto il gioco è la sua visuale in terza persona, che è un po’ una mosca bianca in ambito VR, dove solitamente si va a parare sulla prima. Comunque, dicevo: calato il visore e infilate le cuffie, l’impatto è stato davvero buono. Già durante la passeggiata introduttiva che mi ha accompagnato fino all’ingresso del labirinto, ho potuto apprezzare la qualità del lato visivo di Theseus, probabilmente uno fra i migliori che mi sia capitato di incrociare su PlayStation VR. Anche il commento sonoro si difende piuttosto bene e genera una buona atmosfera, ma è stata soprattutto la scorrevolezza dello spazio a farmi contento: la visuale in terza persona è stata gestita alla perfezione, l’ambiente di gioco a livello prospettico e cromatico è davvero funzionale e, cosa più importante, non ho avvertito la minima traccia di motion sickness (lo stomaco ringrazia).

Per quanto riguarda il level design, Theseus è stato gestito “a blocchi”, alla maniera dei primi Resident Evil, dai quali prende a prestito anche la gestione delle camere e un certo gusto per il montaggio. Stanza dopo stanza, il labirinto si fa sempre più umidiccio e angosciante e il giocatore lo attraversa appoggiandosi a un sistema che alterna la libertà di movimento a una serie di interazioni contestuali, che saltano fuori soprattutto a ridosso degli spostamenti verticali (salti, arrampicate, etc.). Nel complesso, la gestione del personaggio principale ricorda abbastanza da vicino The Last Guardian e in generale i giochi di Fumito Ueda (citato tra le fonti di ispirazione). Oddio, devo ammettere che, sulle prime, questa faccenda delle interazioni contestuali mi ha lasciato un po’ così, ma alla fine ci ho fatto il callo: immagino che in fase di sviluppo la ricerca di una grammatica di gioco adeguata a un ambiente virtuale sia stata una roba piuttosto complicata, soprattutto avendo a che fare con la terza persona e, conseguentemente, con pochi esempi alle spalle. Tutto questo per dire che ci sta, che è normale cedere a qualche compromesso quando si stanno prendendo le misure. Eppure, alla luce dell’eccellente leggibilità spaziale raggiunta da Theseus, credo sarebbe valsa la pena osare un pochino di più e, magari, sciogliere i movimenti del personaggio.

La caratterizzazione grafica di Teseo non sarà particolarmente originale, ma di certo non fa brutta figura.

Proseguendo, il gioco alterna qualche enigma semplice semplice, evidentemente messo lì giusto per muovere un po’ il ritmo più che per offrire una reale resistenza, a due chiacchiere col personaggio di Ariadne, la cui voce si fa carico della componente narrativa, indicando la strada al protagonista attraverso delle bricioline di testo che sottotitolano una lingua immaginaria à la ICO. Poi, dopo circa una ventina di minuti di esplorazione abbastanza lineare, partono le prime mazzate tra Teseo e i servitori del Minotauro: degli schifissimi ragnoni assenti nel mito originale, predisposti dagli sviluppatori per ovviare ai vincoli spaziali del gigantesco semibovino.

Il design dei ragni è particolarmente "alla Giger".

Il sistema di combattimento è abbastanza semplice: si utilizza la spada (che alla bisogna aziona anche determinati meccanismi incastrandocisi a mo’ di leva), alternandola alla torcia, che allontana e brucia le orribili bestie. Volendo, Teseo può pure esibirsi in in una capriola, ma devo ammettere di averla usata pochissimo, ché alla fine, una volta presa la mano, gli scontri si rivelano tutti piuttosto docili, e la loro difficoltà aumenta più per l’addizione di avversari, che per un’evoluzione dell’intelligenza d’attacco degli stessi.

Il sistema di combattimento gioca sull'alternanza torcia-spada.

Comunque, anche in questo caso vale lo stesso discorso fatto riguardo al sistema di controllo: quello che c’è, alla fine funziona, i ragnoni virtuali fanno scena e - quando ti piombano alle spalle - pure abbastanza paura. Tuttavia, anche in questo caso avrei preferito un tocco meno pesante sul freno a mano, in favore di una maggiore complessità. Per intenderci: si potrebbe tranquillamente prendere lo spazio di gioco di Theseus, trascinarlo pari-pari in un picchiaduro alla God of War o addirittura in un soulslike, e funzionerebbe alla perfezione.

Ad ogni modo, i mostriciattoli fanno la loro bella scena e, scontro dopo scontro, riescono a far montare la tensione del giocatore fino a farla esplodere davanti a Asterion, il Minotauro, francamente uno dei bestioni più belli che abbia mai visto in VR. Enorme e poderoso, il mostro riempie benissimo la scena e mette davvero paura, incombendo lungo una serie di sequenze stealth fino a combattimenti che il giocatore è chiamato a risolvere attraverso un mix di astuzia, tempismo e lettura dello spazio, più che tramite la forza bruta (“alla Bowser”, per intenderci).

Il più grosso sulla piazza.

Eppure, nonostante la sua presenza scenica, non è Asterion il principale nemico di Theseus. Questo ruolo spetta purtroppo alla brevità del gioco: dopo aver incrociato per la prima volta il Minotauro, avere imparato a dribblarlo durante le sequenze stealth, alternato qualche momento di esplorazione a qualche sequenza di raccordo e a qualche altro combattimento, mi sono trovato abbastanza in fretta davanti alla sfida finale e da lì ai titoli di coda. In tutto, l’esperienza di gioco è durata circa un paio d’ore.

Prima di essere preso a sassate, desidero premettere che ho sempre detestato il concetto di longevità un tanto al chilo applicato ai videogiochi (e alle opere di intrattenimento o d’arte, in via generale). La longevità poteva forse - ma forse - avere un briciolo di senso sulla tabellina dei giudizi di Zzap!, quando i giochi venivano fatti in una certa maniera ed erano definiti da un certo tipo di meccaniche e obiettivi. Oggi, alla luce della scena indie, dei drammi interattivi, dei servizi di gaming on-demand, dei millemila dispositivi nei quali è possibile infilare videogame e della frammentazione della massa dei videogiocatori, la longevità è una categoria che lascia il tempo che trova: durante gli ultimi anni ho consumato esperienze di gioco fantastiche nel giro di una sola serata. Penso a Virginia o a Gone Home, che nelle loro due orette mi hanno saziato senza farmi minimamente rimpiangere il prezzo del biglietto, così come non me lo fanno rimpiangere, quando meritano, i film che guardo al cinema (dieci euro per due ore circa di intrattenimento), i concerti che ascolto (qui si va dalla tessera ARCI con consumazione fino ai sessanta euro o più, in genere in cambio di un paio di orette di musica ad andar bene), le mostre che visito (anche venti euro per due o tre ore di deambulamento a casaccio) o i pasti che consumo (prezzo variabile, ma quasi sempre sopra i dieci euro per nemmeno dieci minuti di fruizione). Quindi, davvero, datemi una roba ben fatta capace di esprimere tutto il suo potenziale in poco tempo e mi farete felice.

Detto questo, pur venendo via al medesimo prezzo di Gone Home - una ventina di euro - e durando tanto quanto, Theseus non riesce a risolversi nel tempo a sua disposizione, non dà modo alle sue meccaniche di crescere, non riesce a generare un adeguato senso di sfida, finendo col procedere sul piano orizzontale, piuttosto che su quello verticale, (forse) bloccato dalla paura di non esagerare o di non stancare gli utenti alle prese con la realtà virtuale. Le cose non vanno meglio sul versante della narrazione, con il finale del gioco che sembra piuttosto la chiusura di un prologo.

L'aspetto del labirinto è senz'altro il punto forte di Theseus.

Il labirinto di Theseus è senz’altro un bellissimo spazio da guardare, da ammirare e, a modo suo, con cui giocare. Eppure è impossibile perdercisi, e finisce con lo svelare la natura un po’ amorfa del progetto: troppo superficiale a livello di meccaniche, troppo breve per poter accedere pienamente alla dimensione di gioco-gioco, troppo poco strutturato a livello narrativo per poter raccontare una storia soddisfacente. Nessuna delle potenziali vocazioni di Theseus viene approfondita adeguatamente e così rimangono lì, nel limbo. Forse una maggiore densità narrativa sarebbe riuscita a sbloccare l’esperienza ma, allo stato delle cose, la storia risulta un po’ sospesa e incide troppo poco sul ritmo, consegnando il grosso del godimento all’esplorazione e allo sguardo. OK, non è poco, ma non è nemmeno abbastanza. Almeno, a me non è bastato.

Insomma, Theseus riesce evidentemente a trovare quella grammatica ricercata dai designer, ma per qualche ragione non la esprime alla massima potenza. Resta pur sempre un bellissimo giro in VR dove tutto fila via liscio senza traccia di motion sickness: che sia stata proprio questa efficienza a fregarmi, considerato che non ho avvertito quel senso di dilatazione temporale tipico della realtà virtuale? Vai a sapere. Quello che resta è senz’altro un buon vademecum di design per tutti gli sviluppatori intenzionati a mettere la realtà virtuale al servizio di esperienze di gioco “classiche”. Di mio, auguro a Forge Reply di non mollare la posizione e di utilizzare l’esperienza, gli strumenti e la grammatica acquisiti attraverso Theseus come punto di partenza per un’opera più strutturata.

Ho giocato a Theseus su PlayStation 4 Pro grazie a un codice fornitomi da Forge Reply. L’ho iniziato lo corso sabato, verso mezzanotte, e mi sono levato il visore sui titoli di coda attorno alle tre del mattino: nel mentre, ci sono state due visite al bagno (ormai sono incontinente) e un sandwich prosciutto e formaggio condito col Farcitoast. Quando ho spento lo zampirone, poco prima di andare a letto, ne era rimasta intatta almeno la metà.