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La mia imbarazzante erezione per Nintendo Switch

Non ho mai fatto mistero del mio amore per Nintendo. Vendermi una console con la promessa che prima o poi uscirà roba con su scritto Mario o Zelda è molto facile. Miyamoto e soci hanno un approccio ai videogiochi che mi fa sentire bambino, mantiene vivo lo stupore e mi dà sempre qualcosa da aspettare. È proprio per questo che il Wii U è stato una cocente delusione. Era un oggetto brutto, con uno schermo che sembrava strappato al sedile di un aereo, sul quale persino i giochi first party di Nintendo si sono rivelati sottotono (con un paio di eccezioni, per fortuna). Il Wii U era un elettrodomestico: faceva il suo mestiere senza regalare grandi emozioni.

Con Switch è tutto diverso. È un oggetto bellissimo, che unisce il peso e il metallo di una fighetteria Apple alla leggerezza colorata dei Joy-Con. È un design a cavallo tra l’età adulta e l’infanzia, proprio come il mio amore per i videogiochi. Mi piace l’idea di averlo nello zaino. Mi fa venire voglia di lavarmi le mani prima di usarlo, come quando avevo preso il mio primo GBA SP.

Negli ultimi anni sono tornato ad essere sempre più PC gamer, come ai tempi dei 486, perché il mondo delle console Microsoft e Sony è sempre meno tarato sulle mie esigenze. Ci sono alcune esclusive che mi gioco con gran gusto, ma in generale il 90% della roba a cui voglio giocare arriva su PC, in un modo o nell’altro. Quello che faccio con Switch, invece, su PC non lo posso fare.

Non mi riferisco solo al giocare ai first party di Nintendo, ma a tutti gli scenari d’uso che si sono creati grazie alla natura un po’ fissa e un po’ portatile della nuova console. Il fatto che Switch possa essere il mio compagno di giochi tanto a casa quanto in giro per il mondo lo rende un oggetto estremamente personale, al quale mi sono affezionato all’istante. È l’equivalente trentacinquenne della action figure di Raffaello che mi portavo sempre dietro a sette anni.

Anche andando oltre ai sentimenti, Switch si comporta esattamente come promesso dalle prime pubblicità Nintendo. Qualche settimana fa, prima di andare a Chieti a trovare Fotone, ho finito il quarto colosso di Zelda, stravaccato sul divano con Marta. Il pomeriggio dopo l’ho passato bestemmiando dietro ai gusci rossi, in una brutale sessione di multiplayer locale con Nabu e Fotone: tre console, una sola grande violenza competitiva. Il giorno dopo sono stato a un matrimonio, quindi ho scaricato Gonner, che avevo adocchiato sin dai tempi della GDC. Mentre la mia dolce metà si preparava alla cerimonia, io ero sul letto, in trance totale da roguelike. Sul volo del ritorno abbiamo ingannato il tempo con una sessione coop a Snipperclips, con lo schermo appoggiato al vassoietto e un Joy-Con a testa. L’altro ieri, invece, ho sfidato Nabu a Mario Kart, in spiaggia (i bambini dell’ombrellone a fianco sono ancora traumatizzati).

È la console multigiocatore definitiva, ma non solo: è una console nel cui DNA è scritto a caratteri cubitali che è bello giocare insieme, ed è bello farlo in locale. Anche l’online è bello, per carità, ma il brivido di un partita a Mario Kart con una birra e qualche amico buono è impareggiabile. Per quanto mi riguarda, Nintendo Switch è già una vittoria. Se è questa la nuova Nintendo, ben venga.