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Quella volta che Zargon salvò il mondo

La seconda stagione di Stranger Things è arrivata e così, come le creature ancestrali del romanzo di Sutter Cain, "consumate dai secoli di innumerevoli maledizioni", nell'immenso e carpenteriano Il seme della follia, siamo oggi innocenti spettatori dello sfacelo all'insegna del pretestuoso, o testimoni diretti del reiterato successo di questa seconda stagione. 

Così ho pensato di farvi un altro omaggio. Un altro pellegrinaggio nel mondo nerdico dei giochi di ruolo, una immersione molto deep, affine certamente al mondo di Dungeons & Dragons, e solo marginalmente a Stranger Things. Preparate l'incanto "Respirare sott'acqua", perché qui siamo nei reami del fantasy più puro ed incontaminato, laddove un barbaro è rigorosamente a dorso nudo e con il perizoma in pelle barbarica, e non necessariamente con i mutandoni e stivali in coordinato blu. Sono certo che sarebbe offensivo spiegarvi meglio cosa intendo quando evoco certe magie arcade dal mio grimorio.

Dunque preparatevi perché questo è l'hardcore del nerd. Il Black Lotus delle Magic. 

Oggi vi voglio narrare dunque di un gioco da tavolo fantasy ambientato all’interno di un labirinto tridimensionale suddiviso in tre parti (o livelli). Avete a disposizione solo poche ore per mettere fine alla immonda esistenza di Zargon, il Mago della montagna di fuoco.

IL MAGO DELLA MONTAGNA DI FUOCO

Ci sono giochi da tavolo che nascono sotto una buona stella, giochi che nascono sotto un cattivo presagio e infine giochi che passano completamente inosservati. Non si sa esattamente il perché questo accada. Il mondo dei boardgame, ancora oggi come allora, è soggetto a correnti impetuose che spesso soffiano su giochi immeritevoli di ricevere attenzione (Dark Souls coff coff), e si smorzano improvvisamente su titoli meno fortunati ma molto più interessanti (Mage Knight aricoff coff). Nei tempi remoti, ormai inafferrabili, ove regnavano incontrastati Heroquest e Starquest, sui tavoli in tumulto di milioni di giocatori, ci fu un'azienda inglese, la Parker Bros Games, che assieme alle celebre e rinomata Hasbro cercò di strappare lo scettro a MB (Milton Bradley) proponendo sul mercato, all'epoca un'isola vergine e parzialmente inesplorata, una sorta di versione alternativa di Heroquest, The Legend of Zagor (in Italia La leggenda di Zargon, per non avere problemi con il noto eroe bonelliano).

Compito arduo e ingrato, quello di combattere contro un mostro sacro del genere, che a suon di miniature di orchi e goblin verdi, e rastrelliere di armi in plastica dura, ha segnato decine di pomeriggi domenicali della maggior parte di chi probabilmente sta leggendo.

Basato su un librogame mai edito in Italia e dallo stesso nome, scritto da Carl Sargent (anche se accreditato a nome Ian Livingstone), e illustrato da Martin MCKenna, originariamente pubblicato dalla Puffin Books nel 1993 e ripubblicato da Wizard Books nel 2004, La leggenda di Zargon è una nota serie fantasy di Steve Jackson che ha avuto un discreto successo, quando uscì nel lontanissimo 1982.

Il librogame The Legend of Zagor è un seguito di Return to Firetop Mountain (1992) e prima ancora The Warlock of Firetop Mountain (1982). In origine, Zagor/Zargon faceva parte della serie Fighting Fantasy una serie specifica di librogame britannici che contenevano una precisa mitologia, nonché capitoli collegati fra loro. Autenticamente saccheggiata e bistrattata da EL (Editrice Libri) e riproposta in Italia ed edita arbitrariamente come Dimensione Avventura, la serie inglese di librogame venne semplicemente proposta come facente parte di capitoli autoconclusivi, snaturandone completamente il gusto. 

In realtà, i librogame di questa nota e acclamata serie inglese, che contava ben oltre cinquanta titoli nella sua scuderia, tutti per la maggior parte scritti da Steve Jackson (da non confondere con lo Steve Jackson americano, omonimo e famoso game designer), erano considerati esponenti migliori come sfida, rispetto al resto della produzione dell'epoca. Ed erano autenticamente venerati in Inghilterra. Molti di questi libri interattivi furono pretestuosamente re-intitolati in Italia, come ad esempio The Cidatel of Chaos, da noi La Rocca del male, o La foresta maledetta (The Forest of Doom), e molti furono anche ripuliti, poiché avevano un eccezionale gusto bizzarro e del macabro. A ben vedere, la stessa sorte toccherà anche a Lupo Solitario, del resto, con le arbitrarie traduzioni italiche. Per citare il caso più noto, penso ai cavalieri Kai ribattezzati sul suolo italico Ramas.

Non si sa per quale motivo.    

Ad ogni modo, La leggenda di Zargon è un gioco da tavolo sontuoso, che proviene dalla stessa mente dei co-produttori della Games Workshop: visto il successo ottenuto, con i librogame, decisero di creare una controparte boardgame. Sebbene sia composto da una certa faciloneria di game design, tipica di quegli anni, La leggenda di Zargon è un gioco da tavolo in grado di rivaleggiare tranquillamente con il colosso della MB e, almeno esteticamente, è in grado di infliggere una sonora batosta all'intoccabile Heroquest

Come in Heroquest, avete la possibilità di scegliere tra barbaro, guerriero, nano o mago, ognuno di essi con la sua scheda personale. In realtà, i personaggi si differenziano solo per i costi dell’equipaggiamento (magico o no), ma per il resto hanno caratteristiche sostanzialmente uguali. La leggenda di Zargon era un gioco decisamente atipico: come Heroquest, mirava al giovane pubblico che da lì a poco sarebbe passato a giocare a Dungeons & Dragons, accompagnato da un valente dungeon master, quindi perché non realizzare un gioco da tavolo che narrasse ai giocatori l’avventura attraverso un signore del labirinto automatizzato? Il ruolo di master è dunque affidato ad un riproduttore vocale, che, rivolgendosi ad uno degli eroi, ogni tanto lo introduce alla sorte avversa. Eventi favorevoli o sfavorevoli saranno completamente casuali.

Il riproduttore vocale aveva ogni bottone dedicato ad ogni singolo avventuriero, il bottone al centro era invece dedicato agli eventi Zargon. Anche l'audio è completamente localizzato in lingua italiana.

L ’enorme scatola, una volta aperta, mostra una componentistica da far spavento. La plancia piatta di Heroquest, che offriva una planimetria dei sotterranei di Mordecar/Morcar, è stata sostituita da una convincente riproduzione del dungeon che dovremo attraversare. Uno stampo in rilevo in solida plastica dura componibile sarà il nostro tabellone. Eliminato dunque ogni cartoncino, resta solo un labirinto tridimensionale suddiviso in tre distinte aree: le stanze della morte, le stanze del terrore e la cripta di Zargon (decisamente nomi che fanno ben sperare)

I pezzi del dungeon sono tutti collegabili e non manca davvero nulla, compreso il classico ponte di corda sormontato da un minacciosa mandibola mostruosa alla Golden Axe, oppure il trono, ricavato nientemeno che dal teschio di un drago. La qualità delle miniature è incredibilmente dettagliata, conta meno pezzi di Heroquest (solo ventidue) ma più varietà e decisamente più capacità scultoria. Esteticamente siamo ad ottimi livelli e i materiali sono semplicemente superiori alla media attuale e dell'epoca. 

Oltre alle miniature, i classici mostri e persino un mercante, tanto bello quanto inutile, completano il quadro un mazzo di ventiquattro carte disegnato dallo stesso McKenna, che si è occupato di decorare i librogame della serie Warlock/Zargon. Lo stile di McKenna è assolutamente sconvolgente, dettagliato e minuzioso, e impreziosisce il gioco enormemente. Le carte, che illustrano oggetti, incantesimi, o armi, sono autentici capolavori, almeno tanto quanto le carte di Gary Chalk, ilustratore di Heroquest (tranne la magnifica cover della scatola di Les Edwards), Lone Wolf, Fantasy Warlord e decine di altre opere magne, tra cui la mitica rivista White Dwarf, di Games Workshop.

La vera novità del gioco di Parker Games è la voce dello stregone Zargon, intrappolata dentro un apparecchio parlante dalle fattezze di dungeon che riproduce la voce del potente negromante tramite pressione di appositi tasti ed indica agli avventurieri il percorso da seguire. In realtà, la minacciosa voce dello stregone è necessaria solo nei combattimenti, per decretare l’inizio del turno, e nelle battute finali per fronteggiare il Warlock stesso (assai ostico da abbattere). Tuttavia, spesso offre nel mezzo del turno di qualcuno gustosi imprevisti, come trappole, o eventi a sorpresa.

Per esempio nei combattimenti, ogni giocatore deve premere un piccolo pulsante sul riproduttore vocale e seguire scrupolosamente le indicazioni dello scontro, annotando sulla propria scheda personaggio - anche questa superiore esteticamente a quella di Heroquest - i colpi subiti e i colpi inferti. Ma non mancano effetti sonori, come il cozzare di lame, i lamenti degli esseri falciati o i mugugni dell’eroe di turno ferito. Forse parrebbe eccessivamente ridicolo affidarsi ad un riproduttore automatico, ma oggigiorno hanno preso piede giochi da tavolo da giocare con tanto di tablet alla mano e non è molto diverso dal riproduttore vocale della Parker Games.

Può sembrare poca cosa ma è incredibilmente esaltante udire la voce di Zargon: “Chi osa sfidarmi?” “Nano, perdi un oggetto!” “Difenditi Barbaro!” “Preparati a Morire!” e così via. L’unico appunto è che bisogna immedesimarsi nello scontro e nell'atmosfera, lasciarsi cullare, tra i sorrisi, in un game design ingenuo e che ha tempistiche leggermente soporifere per gli standard moderni. Giocatelo con giocatori che provengono da Dungeon Quest, Talisman, Dungeon o Dark World e l’atmosfera sarà elettrizzante a dir poco.

Le regole sono semplici ed immediate, anche se è un peccato che certi aspetti di game design che hanno reso Heroquest un grande classico, qui, non siano stati sottoposti a maggiore cura. I mostri restano "incollati" dentro le stanze, senza diventare mai un reale problema per i quattro eroi (Nano, Barbaro, Stregone e Guerriero). Mancano, al nutrito bestiario di Zargon, anche dinamiche di movimento. Gli eroi non possono mai morire e i tasselli da piazzare nelle stanze e nei corridoi non hanno descrizioni, anche se sono corredati da splendide illustrazioni. I valori casuali dei mostri sono imprevedibili, seppur dettati dalla perfida voce dello stregone. La caratterizzazione assente dei protagonisti e la loro immutabilità non forniscono un grande stimolo al replay value. Le monete d’oro non servono a molto. La dinamica di gioco è fuori da ogni tempo massimo, insomma, ma la componentistica eccezionale garantisce almeno qualche serata di autentica magia anni Novanta.

Se volte scoprire di più sui reami fantastici di FF e sul Warlock della montagna di fuoco, potreste considerare di acquistare You Are The Hero: A History of Fighting Fantasy Gamebooks di J. Greene, tomo indispensabile e finanziato in tempi record su Kickstarter.

Bella anche l’idea di potersi scontrare con gli altri giocatori rubando loro i tesori e interessante la dinamica di poterlo giocare pure in solitario.

La leggenda di Zargon ha solo un grande difetto: la longevità è minata da una sola campagna e anche se sono presenti una qualche variante e qualche regola opzionale, non è sufficiente a garantire una varietà ed una longevità in grado di vedersela con Heroquest.

Come Dark World, ennesimo gioco da tavolo in stile Heroquest, anche La leggenda di Zargon soffre di una sindrome acuta da copycat, senza curarsi troppo di cosa e come offrire. Da comprare essenzialmente per collezionismo o devoto culto.

L'immagine di apertura viene da qui. Questo articolo fa parte della Cover Story "Stranger Things e gli anni Ottanta", che trovate riepilogata a questo indirizzo