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(Non) ricordando Wonder Boy III: The Dragon's Trap | Racconti dall'ospizio

(Non) ricordando Wonder Boy III: The Dragon's Trap | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

“What a drag it is getting old”, dicevano i Rolling Stones nella splendida canzone Mother’s little helper. Certo, meglio invecchiare che essere una di quelle persone che chiamano “Rolling Stone” il gruppo e “Rolling Stones” la rivista. Insomma, meglio vecchi che rincoglioniti. Ma che succede, quando si è sia vecchi, sia rincoglioniti? Non chiedetelo ai Rolling Stone.

Chiedetelo a me, piuttosto, che nella mia mezza età comincio già a perdere pezzi di passato, di presente e di futuro per strada. Quando Andrea Maderna mi ha commissionato un racconto sulle mie memorie in merito a Wonder Boy III / Monster World II in occasione del trentennale, me ne sono dimenticato subito. Che dovevo scriverlo, proprio. Perché la verità è che non ricordavo granché del lancio di Wonder Boy III / Monster World II di trent’anni fa; pertanto, in un fiotto inconscio di difesa, finivo anche col non ricordare il compito inerente l’articolo. Questo è stato nove mesi, sei, tre mesi fa. E ieri. Puntualmente, Maderna me lo ricordava. E io dimenticavo. Per fortuna, il mio analista, il mio padre confessore o lo spirito di un mio antenato (scegliete narrativamente quello che più vi aggrada) mi ha rivelato la ragione. Ed è ora di svelarla al mondo. Probabilmente rinnegando qualche precedente racconto cialtrone. O no. Non ricordo.

Io, fan disumano di Wonder Boy e del seguito Wonder Boy in Monster Land, mi sono completamente pisciato l’uscita di Wonder Boy III su Sega Master System, all’epoca.

Cioè, sapevo che esisteva. Avevo letto una recensione su Mean Machines nell’estate del 1989, nascosto sotto un letto in una camerata nella Bedgebury Mansion, nel Kent, in Inghilterra. Era una di quelle vacanze studio in cui gli insegnanti vogliono inspiegabilmente coinvolgerti nelle attività per cui i tuoi genitori hanno speso un sacco di soldi, ma tu no, tu vuoi farti gli stramaledettisstimi stracazzi stratuoi in the UK. Quindi, io mi ero nascosto sotto il letto per evitare di fare la corsa dei sacchi o contare in inglese i fagioli in un barattolo o chissà quale pseudoputtanata pseudoeducativa e leggevo di straforo la rivista consolara Mean Machines con la bava alla bocca e, diciamolo, non solo.

La rivista me l’aveva prestata un ragazzo molto simpatico, figlio della segretaria della direttrice, che era sempre gentilissimo con me, passava un sacco di tempo con me, mi faceva giocare col suo Game & Watch di Super Mario Bros. che secondo me nemmeno poteva esistere, doveva essere un’allucinazione, tanto era figo. Non ho mai capito se volesse una virile amicizia, se volesse mettermi la lingua in bocca o più probabilmente entrambe le cose; in ogni caso, Mean Machines e il Game & Watch rendevano la sua compagnia pressoché intangibile (e chi se lo calcolava?); in più, essendo egli madrelingua nato a Pembury, Kent, capivo il 20% di quello che diceva, quindi non era poi ‘sta gran distrazione.

E insomma, Wonder Boy III: The Dragon’s Trap. Ritrovavo in quella recensione di Mean Machines l’aureo Julian Rignall di Zzappiana memoria, che così commentava:

This brilliant Sega game kept me up late for more than a few nights when I first got hold of it. The combination of adventuring, shooting and platform action results in one of the best games of its type available on any console. The graphics are simply superb - especially when the hero changes into one of his many guises - Dragon Man is my favourite, since you can roast everything in your path with your fiery breath. The game is huge and there’s loads to discover - one of the reasons why it’s so amazingly addictive. If you’re a new Sega owner, or simply missed out when this was first released, make sure you add this to your collection.
— Julian Rignall

Grazie, Jazza. Io ero un NON-possessore di Sega Master System e in più mi ero perso la release. Io. L’uomo ossessionato da Wonder Boy e Monster Land arcade. Ero riuscito a farmi piacere perfino Wonder Boy III: Monster’s Lair, l’arcade Sega System 16 che non c’entra nulla con il Wonder Boy III per console di cui si parla qua. Si parla per dire: sto cincischiando, perché mi sono pisciato la release di quello che sarebbe diventato in seguito uno dei miei giochi preferiti e che già allora, se il 95% di Mean Machines era vero, era il miglior gioco Master System in assoluto. Garantito al Rignall. Che è molto più che garantito al limone.

E bon. Io ero là a vivere un’adolescenza rosicona con l’Amiga, per carità, amatissimo e impareggiabile per le sue qualità come tool grafico e musicale, ma ludicamente lacustre. See, Psygnosis. Non cominciamo a flammare, dai. Vi piace Blood Money? Vi piace Agony? Come giochi, intendo? E vuol dire che ve li meritate, che vi posso dire. Almeno voi vivete un rapporto sereno coi vostri ricordi. Io invece avevo l’Amiga e basta (con quel che costava) e non potevo permettermi quello che volevo davvero: il Giappone. Tutto. Tutto intero, 8 bit, 16 bit, anime tragici, manga superzozzi e insomma tutto quello per cui la gente di nerda tende a sbroccare ancora oggi e cosa fai quest’estate vado di nuovo in Giappone e beato te ciao.

Nell’estate del 1989, non avevo né il Giappone, né una qualsivoglia console giapponese, né Wonder Boy III. E nemmeno quel numero di Mean Machines, ben stretto nelle mani del figlio della segretaria della direttrice di Bedgebury, che me lo avrebbe probabilmente regalato solo se avessi accettato di stringere ben altra mean machine.

Quindi no.

E qui finisce la storia dell’estate del 1989. Tristanzuola, invero.

E tutti quei ricordi non vissuti sarebbero andati perduti nel fosso dell’esistenza. Perché lo sapevo benissimo, l’obsolescenza tecnologica e la perenne incompatibilità tra una generazione ludica e quella successiva avrebbero cancellato i vecchi giochi dalla faccia della Terra e non avremmo potuto mai più giocarli. Ero intimamente convinto che sarebbe andata così.

Questo fino al 1996, in cui scoprì il Web, i progressi fatti dall’emulazione software e la preservazione videoludica. Cioè il fatto che come me c’era un sacco di gente preoccupata di non poter rigiocare ai classici videoludici. Solo che ‘sta gente su Internet era più scaltra, più organizzata, meno umanistica e insomma esistevano i dump pirata dei giochi vecchi che giravano su emulatori PC e io, con la velocissima rete dell’università, potevo scaricarli potenzialmente tutti. Mi ritrovai tra le mani altro che Mean Machines: brandivo il Durello Fiammeggiante dell’Immortale Emulazione Videoludica (acronimizzato d’ora in poi DFIEV, anche se lo nominerò solo ancora una volta).

Il signor Marat Fayzullin, un programmatore credo russo mai celebrato abbastanza, era una delle figure chiave. Quando misi mano a Internet, aveva già creato una serie impressionante di emulatori, tra cui quelli del ColecoVision, dell’MSX, del Game Boy. Tutti relativi a hardware originale con CPU Z80 come cuore pulsante. E cos’altro aveva lo Z80 come core? Braaav. Il Sega Master System. E infatti eccolo là, il Fayzullin, che a un certo punto del 1996, pam, tira fuori Master Gear, emulatore e di Master System e di (braaav combo X2) Game Gear. Macchine tra loro praticamente uguali, anche come grado di successo rispetto ai rispettivi competitor NintendAHEM. Immediatamente, i releaser schiantarono sul web una copiosa manciata di dump di ROM Sega a 8 bit. Sudore freddo, palpitazione azzerata. DFIEV over 9000. Cioè posso… lo metto… la carico… TUTTO? E sì, la prima cosa che provai, in quel 1996, penso fosse maggio, fu Wonder Boy III: The Dragon’s Trap.

Madonna.

Madonna santissima.

Incoronata, proprio.

Di candide rose.

Ricordavo vagamente di averlo letto, ma ora ci stavo giocando. Alle dieci del mattino, in un laboratorio d’Informatica dell’università di Bologna, senza pudore. L’incipit del gioco riprende il finale di Monster Land, ritoccandolo leggermente. Siamo nel labirinto finale, agghindati con tutti gli scintillanti pezzi che compongono la Legendary Armor, mentre la familiare, eterna musica di Shinichi Sakamoto riecheggia e rockeggia rocambolescamente riarrangiata. Il Mecha Dragon, mentre viene sconfitto, ci lancia una maledizione e ci trasforma in un drago. Cosa ci ricorda? Forse Super Metroid? Forse Symphony of the Night? Ma capite che stiamo qui a menarci il torrone con l’orripilante crasi metroidvania, quando il vero diamante in cui furono intagliati gli stilemi e i criteri del genere è qui, è Wonder Boy III?

Come Rignall, passai le due notti successive in acido videoludico, sconvolto dalla bellezza del gioco, dal character design, dalla qualità della partitura di Shinichi Sakamoto (è sempre bello ripetere il nome di un genio: Shinichi Sakamoto, no, non il mangaka, cristo)

Prego, considerate anche questo fatto: il gioco uscì nell’estate del 1989, io ci stavo giocando nel 1996. Si parlava già totalmente di retrogame, ma vivaddio erano passati… SETTE ANNI! Niente. Chiamereste retrogame un gioco del 2012? Veero, veero. I sette anni tra il 1989 e il 1996 sono, in termini di evoluzione videoludica, non paragonabili a un simile lasso preso a campione dai decenni successivi. Dagli otto bit alla PlayStation. Che sberla evolutiva! Ma, allo stesso tempo, il calendario umano gregoriano parlava di soli sette anni. Emotivamente parlando, non era passato così tanto, la mia rosicatio ludica per essermi perso, da amighista, tonnellate di titoli giappi meno di un decennio prima era ancora fortissima. Ero un vampiro che succhiava ROM a destra e a manca. Certo che negli anni avevo giocato, grazie principalmente ad amici e negozianti, gran parte delle pietre miliari videoludiche seganintendiane, but still, ora potevo succhiare tutto, avevo uno strumento di conoscenza - l’emulazione - apparentemente onnipotente. Non so se riesco a trasmettere il senso di esaltazione divina della situa. Una titillazione videoludica di proporzioni gargantuesche. Non sto a sciorinare infiniti esempi, anche perché il qui presente Wonder Boy III è un simbolo validissimo. Così come il seguito su Mega Drive, di cui avevo solo letto, e ancor più follemente Monster World IV, ulteriore sequel a 16 bit pubblicato solo in Giappone, che potei giocare tradotto grazie a una patch amatoriale già a fine ‘90s. Che roba era? Che arsura di conoscenza enorme che pian piano si placava (ma che comunque, come forse intuite, continua a tutt’oggi).

E tante erano le sorprese e le occasioni di approfondimento che l’emulazione offriva. Nel 1996, non potevo per esempio sapere che il Sega Mark III, ovvero il Master System giapponese, aveva goduto di un modulo hardware aggiuntivo in grado di convertire le musichine PSG in cristallina sintesi FM, trasformandone l’audio, pur con i suoi limiti, in qualcosa di molto più vicino al suono del Mega Drive. Con l’emulazione si poteva, appunto, emulare via software anche questo add-on, e Wonder Boy III ne beneficiava drasticamente, con i bassi che finalmente suonavano bassi (cosa molto apprezzabile, vista la partitura di basso funky estremamente articolata che caratterizza il gioco - possiamo dire ancora Shinichi Sakamoto?). Ah, già! Inoltre, gli emulatori permettevano di scegliere se giocare a velocità PAL o NTSC, il che ti faceva capire tante cose e odiare i 50 hz (che fino ad allora non è che fossero stati chissà che dramma, ma la conoscenza rende purtroppo anche un po’ puristi stronzi insoddisfatti).

Che tutto giusto, The Dragon’s Trap. Ryuichi Nishizawa riuscì in un impresa non da poco - estendere le geniali intuizioni arcade RPG di Monster Land senza dare l’impressione di allungare artificiosamente la broda. La serie di trasformazioni differenti crea un vettore ludico e narrativo potentissimo, che oltretutto alleggerisce il backtracking e dà la sensazione di visitare un mondo che reagisce ai nostri cambi di status (mentre sono i nostri cambi di status a permetterci di manipolare in maniera vieppiù rutilante gli spazi del level design - ma perché scrivo così?).

Ma non voglio entrare nel dettaglio - insomma, non lo voglio recensire, The Dragon’s Trap. L’ho già fatto proprio qui su Outcast (Edit: non è vero, ricordavo male, a riprova che non ricordo una mazza - mai recensito perché, avendo io revisionato la traduzione italiana del remake, mi sentivo in conflitto d’interessi a recensirlo. In compenso, Kenobit l’ha recensito su IGN, toh). Se veramente non ci avete mai giocato, fatelo subito. Magari l’avete anche recuperato gratuitamente su Twitch Prime il mese scorso, nella sua sconvolgente versione remastered disegnata a mano GRATIS con Twitch Prime e non dovete quindi manco fare la fatica di scaricare la ROM e imbrattarvi le mani con il sangue degli sviluppatori. Living in the world of free, proprio.

AssaporateThe Dragon’s Trap. Sbocconcellatelo. Commuovetevi a vedere quant’è invecchiato bene (tanto più col remake, che smussa alcune minime asperità). Ascoltatevi la colonna sonora. Riascoltatevi la colonna sonora. E poi, solo allora, potrete provare a fare un passo più in là e capire il predecessore, Wonder Boy in Monster Land, il più grande arcade RPG da sala giochi di sempre. Ma prima, la perfezione pop di The Dragon’s Trap.

Ve la ricorderete per sempre.

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