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Un trip (d’acido) a Pandora: Borderlands 2

Un trip (d’acido) a Pandora: Borderlands 2

Se in un mondo ideale prendeste Brother in Arms e lo metteste ammollo con World of Warcraft in un barile pieno di LSD, il risultato sarebbe sicuramente Borderlands 2. I ragazzi di Gearbox software hanno preso la parte migliore delle loro esperienze negli FPS, l'hanno unita a meccaniche GdR consolidate e ci hanno riempito una terra devastata popolata di pazzi e robot con uno strano senso dell'umorismo e decorata con vagonate di stile in uno squisito toon shading, che difficilmente avrei immaginato così bene a braccetto con l'Unreal Engine. Come se non bastasse, per la prima volta dall'introduzione della TV a colori, abbiamo un gioco post-apocalittico che non usa il trittico della morte Grigio-Verdone-Marrone, ma si presenta con una scala cromatica vasta, acida e con una saturazione che si attesta al di poco sotto al livello di guardia oculistica. Ma non è solo l'aspetto ad incantare in Borderlands 2: la sceneggiatura è accattivante e tutti i dialoghi sono scritti in maniera assolutamente geniale, recitati da personaggi mai banali e, anche se secondari, ricchi di personalità. Alcuni di loro, tra tutti Jack il Bello, sfoggiano una comicità irriverente e fuori di testa che arriva quasi a distrarre, perché non apprezzarla sarebbe un delitto. Menzione d’onore per l’adattamento italiano: nonostante la scelta di doppiatori inflazionati, la qualità rimane alta e non si perde troppo del pachidermico lavoro di Gearbox, che vive di metareferenzialità e citazioni più o meno borderline che chi scrive apprezza parecchio. Mai un calo qualitativo, ritmo sempre sostenuto, chicche qua e là e tempistiche perfette: un mix che conferisce a Pandora e ai suoi abitanti - siano personaggi non giocanti, nemici o creature assortite - un'anima che rapisce e difficilmente lascia andare via. Anche perché quando non ci pensano loro, ci pensa il gameplay.

Borderlands 2 propone un'infinità di quest principali e secondarie che portano il giocatore in giro per le vaste terre di Pandora e, con tutto questo peregrinare, al nostro personaggio non può che venire fame: una fame che può essere sedata solo attraverso un equipaggiamento sempre migliore. Ogni quest reward, ogni cassa aperta, ogni bottino raccolto dalle fredde dita del cadavere dell'avversario porterà ad aprire il menù e a controllare le statistiche in cerca di un'arma che superi quella in proprio possesso, e non solo per una questione statistica. Spesso mi è capitato di provare un'arma nuova, magari con qualche potere diverso dalla precedente come la corrosione o i proiettili infiammabili, e al primo colpo sparato col nuovo giocattolo è scattato immancabilmente un sorriso ebete e il “uah, figata!” d’ordinanza. L’aumento delle statistiche delle armi, così come nei personaggi, è tangibile e dà delle soddisfazioni immediate.

In apertura ho citato World of Warcaft non a caso: da ex drogato giocatore del MMORPG Blizzard, ho trovato questa sensazione analoga a quanto mi succedeva quando ottenevo un nuovo pezzo di armatura o un’arma più potente e, sebbene in Borderlands 2 questo succeda piuttosto spesso - mentre in Warcraft un buon equip può richiedere anche molto tempo - non si ha mai l’impressione che ci sia troppa roba, o che il tutto risulti ripetitivo. Anzi, più si va avanti, più si diventa in qualche modo avidi di novità, sicuri che il gioco saprà stupirci ancora e ancora. Tra i richiami più evidenti a Warcraft c'è sicuramente la parte relativa ai talenti di classe: tre scuole di specializzazione, un punto abilità da spendere per ogni avanzamento di livello e miglioramenti subito visibili in termini di gioco. Altra cosa che salta subito all’occhio da tossico ex giocatore, è la scala cromatica del valore degli oggetti: i bianchi occupano solo spazio nella borsa, i “verdini” fanno ridere, con i blu si ragiona e con i viola si domina. Se capita un arancione e il karma fa il suo lavoro, ti sei giocato un “sei” al superenalotto. Questi elementi, con altri più o meno palesi, pur essendo già visti, non risultano assolutamente fastidiosi in quanto messi in funzione di un gioco che, è bene ricordarlo, è un First Person Shooter solido e lapalissianamente diverso dalla sostanza gioco Blizzard. L'ispirazione è quella, e sarebbe difficile sostenere il contrario, ma nello spirito del gioco sembra più uno dei tantissimi omaggi sentiti che Gearbox ha disseminato nella sua creatura, che un'appropriazione indebita.

Per rimanere in casa Blizzard, il multiplayer online ricicla un po’ la meccanica vincente di DiabloIII, permettendo di iniziare una partita da soli e lasciare la possibilità ad altri giocatori di entrarvi, siano essi amici o sconosciuti abbinati tramite matchmaking, con benefici subito evidenti. Innanzitutto il divertimento viene amplificato esponenzialmente in base al numero dei partecipanti, anche solo mentre si apprezzano le diverse classi del gioco che si completano vicendevolmente in una simbiosi più o meno perfetta. Senza contare che più giocatori ci sono, più i nemici diventano difficili da battere, aumentando la sfida ma lasciando anche un bottino decisamente migliore. Inoltre, la vicinanza con altri giocatori controllati da umani offre, oltre all’ovvio vantaggio numerico - vitale in alcune circostanze - la possibilità di rianimare un compagno a terra: se in singolo si viene atterrati, il gioco ci dà un lasso di tempo risicato (e con movimenti limitati) per uccidere un avversario e ripristinare così scudo ed energia vitale e tornare operativi, mentre con qualcuno in party sarà anche possibile la rianimazione diretta. Piccola chicca: se a soccorrervi sarà Zero, l'Assassino cyborg, il grosso numero zero olografico che appare davanti al suo casco cambia con un ben più tenero “<3”, come a voler sottolineare la cura maniacale in ogni dettaglio, sia comico che tecnico, che quelli di Gearbox hanno impiegato nel gioco. Purtroppo il looting multigiocatore non è “privato” per ogni partecipante, quindi chi prima arriva si becca tutto, ma è comunque un difetto marginale che si può aggirare con gli scambi e che, molto probabilmente (e auspicabilmente), verrà risolto in una prossima patch. Magari con la release della Mechromancer, la nuova classe che il 16 ottobre si aggiungerà al Gunzerker (ho già parlato della cura dei dettagli, sì? guardate che nomi!) all’Assassino, alla Sirena e al Commando e che sicuramente andrà ad aggiungere longevità ad un titolo che, anche affrontato con una sola classe, offre un numero tendente all’infinito di ore di gioco.

Insomma, Borderlands 2 è tecnicamente validissimo, divertentissimo da giocare e da ascoltare, bellissimo da vedere e ogni elemento che lo compone è messo dov’è per tenerci sulle vaste terre di Pandora il più a lungo possibile, alla ricerca di un bottino che aspetta solo di essere trovato.

Nonostante il mio negoziante di fiducia abbia rotto il day one di Borderlands 2 con un paio di giorni d'anticipo, si è dimenticato di dirmelo. Così ho aspettato il day one, ma visto che l’amicone aveva già venduto tutto mi è toccato aspettare, cominciando a giocare al day two sulla mia PS3. Per recuperare il tempo perso ho stravolto un po’ le mie abitudini, andando a dormire ad orari che non sapevo neanche esistessero nella loro controparte "del mattino". Un po’ perché avrei dovuto scrivere questa recensione prima di quell’altra, un po’ perché, come ho scritto, il gioco ti rapisce e quando dici “solo un’altra quest” sono già le 03:45 e non puoi più tirarti indietro. In sostanza, c’ho giocato tantissimo, lasciandomi dietro molte side quest che spolperò adeguatamente da qui fino al 16 ottobre, quando ricomincerò tutto con la Mechromancer (scaricabile aggratis col codice fornito nella stupenda confezione cartonata della“premiere club” edition). Considerando che non vado matto per gli FPS convenzionali e mi sono disintossicato da tempo e con successo da World of Warcraft, capite bene che tutti i vari superlativi sparsi qui sopra non sono buttati lì con leggerezza.

Voto: 9,5

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