Outcazzari

Ori and the Blind Forest è molto bello ma è un po' una palla

Ori and the Blind Forest è molto bello ma è un po' una palla

C'è stato un momento (vedete voi se tragico) in cui Konami e Nintendo hanno deciso che non valeva più la pena di perdere tempo per star dietro ai Metroid e ai Castlevania tradizionali, quelli dalla grafica in 2D e dagli sviluppi retrò come si facevano una volta. È stato più o meno quando il mondo dei geek che contano ha deciso che chiamarli arcade adventure era fuori moda e s'è inventato il termine metroidvania. Verrebbe quasi da pensare che quei maledetti giapponesi si siano spaventati per la bruttura di questo nome composto, ma tant'è, a un certo punto s'è deciso che non valeva proprio più la pena, neanche su console portatile o sugli store digitali. Koji Igarashi is not amused.

La cosa ha provocato uno scisma spaziotemporale e orde di sviluppatori più o meno indie sono state colpite da improvvisa crisi d'astinenza, col risultato che, da qualche anno a questa parte, dovunque ti giri vedi spuntare un gioco più o meno piccolo che appartiene al genere, lo omaggia, ne trae spunto, varie ed eventuali. Del gruppone fa ovviamente parte anche Ori and the Blind Forest, altrimenti non mi sarei messo qui a buttar giù 'sta premessa. L'ha creato Moon Studios, un gruppo di veterani del settore con alle spalle carriere presso grossi publisher, lavorandoci su per quattro lunghi anni, tre dei quali “semplificati” dal fatto di essere stati accolti sotto il potente ombrello di Microsoft, che li ha spinti non poco alle fiere del 2014 in cambio di un'esclusiva. A inizio marzo il gioco è uscito su PC e Xbox One, con una versione Xbox 360 prevista per i prossimi mesi, e oggi, con la calma che ci contraddistingue, sono qui a scriverne. Sigla.

Ori and the Blind Forest, per come la vedo io, ha tutto quel che serve a un gioco di questo tipo, tranne un sistema di combattimento interessante. La cosa non è necessariamente un problema, perché in fondo le battaglie “spicciole” non sono mai state il quid principale dei metroidvania, ma rimane il fatto che se c'è un singolo elemento del gioco che mi ha lasciato perplesso, beh, è la discreta noia che ho provato mentre passeggiavo fra un momento clou e l'altro. Per fortuna, il lavoro svolto da Moon Studios, sotto praticamente ogni altro punto di vista, è una roba spettacolare, tant'è che sono comunque felicissimo di essermelo gustato, mi restano addosso dei gran bei ricordi e capisco perfettamente i motivi per cui a parecchia gente sia piaciuto più che a me. Epperò.

Epperò c'è il fatto che mentre si passeggia per le ambientazioni del gioco, vagando fra sezioni platform poco impegnative e inevitabili brani di backtracking, ci si trova inevitabilmente ad affrontare un sacco di piccoli nemici “base”, che fanno massa e stan lì per permettere di accumulare esperienza. Come li si affronta? Stando fermi e premendo X. Il principale mezzo d'interazione col mondo di gioco è infatti dato dal fratello scemo di Cursore, il cosetto che svolazzava in giro negli episodi di Automan (sì, sono nato nel 1977, fatemi causa). Questo simpatico affare ronza tutto il tempo attorno a Ori e funge da fonte degli attacchi che il nostro eroe può riversare sui nemici: premendo l'apposito tasto si scagliano dardi energetici e premendolo tante volte se ne scagliano a sufficienza per far fuori l'avversario di turno.

Il sistema di salvataggio permette di spendere l'energia di Cosetto per creare checkpoint. Una bella idea, sulla carta, un po' svalutata dal fatto che dovunque ti giri trovi ricariche di energia.

Chiaramente, avanzando lungo il gioco, le meccaniche di base si fanno un po' più articolate, grazie al fatto che è possibile potenziare gli attacchi e anche per mezzo di alcune mosse aggiuntive applicabili al combattimento. Ma la sostanza tende a rimane quella: raggiungi un nemico, inizi a premere X come un ossesso e lui dopo un po' muore. Nella maggior parte dei casi puoi serenamente farlo standotene fermo, ogni tanto devi prenderti il disturbo di schivare un paio di attacchi, ma fondamentalmente si gira sempre lì attorno: combattere, in Ori and the Blind Forest, vuol dire star lì a guardare mentre Cosetto spara addosso ai nemici. E non è che si combatta poco, eh. Ed è un po' una palla.

Per fortuna, come dicevo, quasi tutto il resto funziona a meraviglia. La struttura aperta della mappa è molto ben costruita, piena di zone interessanti e con un buono sviluppo delle classiche meccaniche intrecciate fra poteri da sbloccare, segreti da scoprire e barriere da superare. Il sistema di controllo è morbido, pulito, preciso, quasi nintendiano nella sua ottima gestione delle varie possibilità. E soprattutto, Moon Studios ha avuto la saggezza di spargere in giro parecchi momenti topici, i cosiddetti “set pieces”, in cui il gioco prende davvero vita. Qui si trovano tante situazioni specifiche che costringono a utilizzare questa o quella abilità, o che magari semplicemente divertono con trovate intelligenti, nemici un po' più fantasiosi del solito e altre amenità, alzando anche un po' il tasso di sfida. Pure su queste situazioni avrei qualcosa da ridire, perché i boss tendono ad essere un po' ripetitivi e ci sono due o tre sequenze all'insegna trial & error. Non che io abbia qualcosa di particolare contro il trial & error, ma diciamo che quelle sezioni mi sono parse abbastanza fuori contesto rispetto al resto del gioco. Però, insomma, si finiscono in fretta, senza neanche bestemmiare poi troppo, quindi ce le facciamo andare bene.

A Moon Studios, poi, non sono mancate le idee, alcune derivative ma comunque decisamente buone nel contesto, altre proprio originali. Lo sviluppo del personaggio si articola su due piani separati, con una serie di abilità “obbligatorie” che si ottengono semplicemente proseguendo lungo l'avventura e , in parallelo, un sistema di sviluppo delle skill lungo tre percorsi, che permette di decidere a piacere su quali aspetti spingere (difensivi, offensivi, di contorno… ), arrivando – se è il caso – anche a sbloccare intriganti abilità extra. C'è per esempio il salto triplo, si può aumentare la forza di armi e apparati difensivi e c'è anche l'opportunità di far apparire sempre più indicazioni sulla mappa riguardo agli oggetti collezionabili, per l'immenso piacere di chi, come il sottoscritto, non ha mai amato troppo le mappe nude e crude dei Castlevania.

Le abilità obbligatorie si dividono fra trovate abbastanza classiche e qualche “mossa” particolarmente accattivante, fra le quali svetta abbastanza il Bash, che permette di utilizzare lanterne, nemici e proiettili per lanciarsi in giro tipo fionda. Si direziona il getto e all'improvviso Ori vola da una parte, il nemico/proiettile dall'altra, con tante possibili conseguenze per entrambi. È una trovata azzeccatissima, attorno a cui sono costruiti alcuni fra i passaggi migliori del gioco e che, al contrario magari di un'altra abilità legata a zone specifiche della mappa, rimane disponibile in ogni ambito, arricchendo di parecchio l'esperienza. Quindi, insomma, nel complesso il gioco c'è eccome, nonostante i problemi elencati prima e nonostante il fatto che, ripeto, nelle sue fasi “spicciole” l'ho trovato abbastanza moscio.

E poi ci sarebbe l'aspetto più evidente anche solo a un primo sguardo. Ori and the Blind Forest è una gioia per occhi e orecchie. Dal punto di vista audiovisivo è semplicemente pazzesco, grazie a uno stile quasi pittorico che gli dona una personalità incredibile e che viene applicato per creare una lunga serie di ambientazioni una più bella dell'altra, tutte accompagnate da splendide (ma banalotte, diciamocelo) musiche orchestrali e popolate da personaggi pieni di carattere. In più, questi personaggi vengono utilizzati per raccontare una storia che sembra uscita per direttissima da un film d'animazione di quelli che ti fanno venire i lucciconi con uno sguardo e due ammiccamenti. La scena d'apertura, in questo senso, è davvero straziante e bisogna dire che il gioco riesce poi a mantenere una grande coerenza stilistica nel passare a più riprese dal gameplay alle sequenze narrative.

Certo, bisogna anche dire che il racconto esce inevitabilmente diluito dal modo in cui viene portato avanti, coi suoi rari momenti improvvisi di narrazione sparsi in giro qua e là, senza contare che, onestamente, non ho trovato lungo tutta l'avventura una singola sequenza davvero in grado di colpirmi come quella iniziale. E aggiungiamoci pure che le svolte finali mi hanno fatto abbastanza cadere le palle nella vasca di latte accumulatosi attorno alle ginocchia. Però, insomma, Ori and the Blind Forest è comunque un gioco molto solido, con alcuni guizzi strepitosi e che può dare grandi soddisfazioni, nonostante alcuni limiti a mio parere piuttosto evidenti gli impediscano di raggiungere l'eccellenza in cui speravo. Sicuramente chi ama il genere deve dargli una chance.

Ho giocato a Ori and the Blind Forest grazie a un codice Steam fornito da Microsoft e ho portato a termine l'avventura nel giro di otto ore scarse, sbloccando circa metà degli achievement (ma in diversi mi mancano solo due o tre ripetizioni) e raccattando circa due terzi dei vari elementi nascosti. Va sottolineato che l'intera mappa è sempre interamente esplorabile, ma quando si decide di andare ad affrontare la parte finale si perde la possibilità di tornare indietro. Il gioco ti avvisa, comunque, quindi sta a te decidere se vuoi metterti a raccattare tutto prima del gran finale o no.

Voto: 8

Old! #109 – Aprile 2005

Old! #109 – Aprile 2005

[NSFW] gli accoppiamenti divini di Oreshika: Tainted Bloodlines