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Kingdom Hearts: Final Fan Fiction

Kingdom Hearts: Final Fan Fiction

È con un certo imbarazzo che mi appresto a parlare di Kingdom Hearts, con la stessa leggerezza nel cuore di un pentito di mafia che vorrebbe poter modificare voce e connotati per non farsi riconoscere. Lo confesso, la saga di Kingdom Hearts è il mio piacere proibito, il mio I Will Survive ballato e cantato di nascosto sotto la doccia col bocchettone in mano a mò di microfono. L'imbarazzo nasce dal fatto che la serie di Square Enix pare creata apposta per farsi prendere per il culo e per far prendere per il culo i suoi fan: è un concentrato denso e melenso della peggiore fan fiction à la Twilight. Se dovessi dare un'idea della sua trama complessiva, sarebbe più o meno una roba del genere: "In un universo fatto di pezzi di mondi Disney, schegge di esistenze e frammenti del tempo, solo un ragazzino di quindici anni con uno strano feticismo per le chiusure zip e le scarpe di tre taglie troppo grosse possiede la chiave per la salvezza e la speranza di un intero universo." E più spiego la trama ingarbugliata e barocca di Kingdom Hearts, più sembra che lo stia solo prendendo per il culo, come se fosse la parodia di sé stesso. In fondo è una storia fatta di guerrieri (oscuri e potentissimi) che imbracciano armi a forma di chiavi, in cui Topolino è un Re leggendario (oscuro e potentissimo) e in cui ragazzini (oscuri e potentissimi) sull'orlo della prepubescenza fanno fatica a rimanere amici, mentre una lunghissima e metaforica estate giunge alla sua conclusione. 

Va quanto è tamarro!

È innegabile: prendere per il culo Kingdom Hearts è facilissimo. L'ho fatto spesso in passato e continuerò inevitabilmente a farlo, perché è veramente la cosa più naturale del mondo, parliamoci chiaro. Pare costruito apposta. La sua trama contorta e impossibile è ormai diventata un meme essa stessa e ogni gioco ha la densità di informazioni che trovi in almeno una decina di altri giochi messi insieme. A volte, queste informazioni sono essenziali, a volte del tutto vestigiali, puro esercizio di world building. Salvo quando Nomura (creatore, unico dio e ormai attempato aspirante idol), decide di ripescare insignificanti trame e riferimenti a caso dalla pletora di giochi precedenti dando loro nuova importanza. Insomma, è un grosso, grossissimo casino di riferimenti incrociati, drammi esistenziali, battute buttate lì a cazzo di cane e tantissimo disagio.

Io, però, questo disagio che provo nel parlare di qualcosa che mi piace così tanto ma che allo stesso tempo trovo così profondamente imbarazzante voglio superarlo. Sono stanco di nascondermi nell'ombra, son stanco di non poter urlare al mondo che frigno come un ragazzino delle elementari ogni volta che sento Dearly Beloved, la musica del menù di accensione di Kingdom Hearts (composta tra le altre cose da Yoko Shimomura, di Capcom-iana memoria, mica una qualsiasi). Quindi eccovi solo alcuni motivi per cui, se non l'avete fatto, dovreste giocarci in qualsivoglia forma.

Ogni Kingdom Hearts è molto più di un semplice gioco. È un prodotto estremamente vario, che offre abbondanza. Di cosa? Di tutto! Pochi giochi offrono così tanti scenari, temi, minigiochi, ambientazioni e storie spesso radicalmente diversi e, per carità, anche di qualità estremamente variabile. Ma è un gioco sviluppato con una cura, un amore e una passione che raramente si vedono in giro. Ogni singolo poligono, ogni stupidissimo minigioco urla: "Potrai prenderci per il culo quanto vuoi ma no, crediamo in tutto questo fino in fondo!". Ad avercene...

Del tipo che questi qui sono tutti più o meno la stessa persona però anche no.

E sì, la trama è contorta, arravogliata, spesso scatena quella odiosa sensazione di profondo imbarazzo in terza persona ma, in fondo, è solo estremamente densa e a tratti infantile. Nascosto sotto strati di informazioni inutili, ridondanti ed eccessive, c'è uno sviluppo estremamente lineare degli eventi. In ogni caso, il sentirsi completamente persi è parte integrante dell'esperienza. È pur sempre un franchise che si basa su guerrieri oscuri che lottano per la salvezza di un universo fatto di mondi interconnessi basati su proprietà intellettuali Disney. Ci tenete davvero così tanto a capire ogni singola frase e ogni singolo riferimento? Inoltre, con tutti i personaggi Disney sparsi in giro, contiene sicuramente qualcosa che conoscete e molto probabilmente qualcosa che amate. Lasciatevi cullare da queste temporanee isole di familiarità, come se fossero il caldo abbraccio materno di una malvagia multinazionale che vi accompagna da anni.

Essendo andata avanti per lungo tempo a incollare le storie di quasi una ventina di giochi, dopo diciotto e passa anni, è ormai più fumo che arrosto: il materiale che fa da collante è molto di più della "carta". È un po' la cartapesta brutta fatta dai bambini dell'asilo, gli stessi che discuterebbero per ore di un mondo fatto di guerrieri oscuri in cui i personaggi Disney e quelli di Final Fantasy si uniscono per affrontare l'oscurità dell'universo. La saga di Kingdom Hearts è l'essenza stessa della fan fiction e ne costituisce la sua forma definitiva e migliore, pur con tutti i suoi limiti. Nomura sarà anche un bambinone troppo cresciuto e con una strana ossessione per le zip ma è soprattutto uno che è riuscito a rendere realtà i suoi deliri mentali e le sue personalissime e barocche fan fiction fatte di Paperino Mago, Pippo Cavaliere e ragazzini disagiati che combattono insieme a Cloud di Final Fantasy VII per la salvezza del cosmo.

Quando i personaggi si adattano ai mondi di gioco è puro amore Disney.

Kingdom Hearts è a suo modo il videogame moderno per eccellenza. Anzi, è l'intrattenimento moderno per eccellenza. Anni prima dei successi di universi cinematografici interconnessi (vedi alla voce Marvel), Nomura creava mondi interconnessi i cui riferimenti incrociati sono tanto criptici e assurdi quanto fiduciosi che lo spettatore riesca a mettere insieme i pezzi poco alla volta, se proprio vuole. E magari che possa riempire i vuoti con le proprie fan fiction mentali. Il tutto senza togliere ai giocatori meno attenti il divertimento derivato dal grandissimo spettacolo di luci, colori, botte, statistiche e nostalgia che è ogni gioco della saga. Oggi l'intrattenimento di massa è un po' quello che Kingdom Hearts è stato per anni.

Quindi, andate in pace, lasciate in pace i suoi fan e dategli una chance, specie nella sua incarnazione più recente, ovvero Kingdom Hearts III. Lasciatevi trascinare in questo labirinto infantile, pirotecnico, cringissimo e appassionato. Chissà che alla fine non riusciate a trovare il vostro cuore.

Questo è il modo in cui ho accettato di adorare questa saga a tratti imbarazzante, almeno nel modo in cui l’ho sempre vissuta: queste considerazioni sono la mia personalissima seduta di auto-analisi. Uff… mi son tolto un bel peso dalla coscienza.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Disney Club", che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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