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GT Sport e l'emozione di sentirsi un pilota

GT Sport e l'emozione di sentirsi un pilota

Se dovessi pensare ad uno slogan per Gran Turismo Sport, mi verrebbe in mente una cosa da pubblicità automotive tipo “Un viaggio lungo vent’anni”. Cinque lustri sono passati infatti dall'uscita del primo, incredibile, episodio della serie che tanti amano e tanti odiano. Veniamo subito al dunque: se non ci fosse stato The Legend of Zelda: Breath Of The Wild, il mio gioco dell’anno sarebbe stato proprio GT Sport, perché pur essendo stato il 2017 un’anno clamoroso a livello videoludico, mai mi sarei immaginato che un episodio votato così tanto all'online (cosa che a me non è mai interessata particolarmente) di una delle mie saghe preferite mi avrebbe coinvolto a tal punto.

GT Sport è un gioco non esente da difetti, certo. È comunque un Gran Turismo, cosa che in maniera quasi inspiegabile, dopo tutto 'sto tempo, continua a trascinarsi dietro magagne storiche come le collisioni assolutamente irrealistiche, la mancanza dei danni e un sonoro dei motori che, anche se migliorato, non rivaleggia certo con i suoi diretti avversari, come Project Cars 2 o Forza Motorsport 7. E non posso non ricordare che GT Sport è arrivato sul mercato con un’offerta certo non pantagruelica, visto che tutta la parte single player era una sorta di training per poi accedere in maniera “consapevole” alle gare online. Per ovviare a questa mancanza, a dicembre Polyphony Digital ha aggiunto con una patch la classica carriera offline, fatta delle tipiche gare di difficoltà crescente e per diverse tipologie di auto. Ma comunque l’anima di GT Sport sta appunto nel coinvolgere il giocatore nell'ottica del motosport educato, della competizione per gentlemen.

Da persona che non ha mai apprezzato moltissimo giocare online a titoli di guida, proprio per la difficoltà di trovare avversari che non facessero di tutto per sbatterti fuori strada, GT Sport, con tutti i suoi limiti, è stato una rivelazione. Come detto, il punto focale sono le gare online e, per poter dare una mano a chi vuole gareggiare decentemente e non partecipare ad un destruction derby, Polyphony ha ideato un sistema di classi: se si guida bene, si fanno traiettorie pulite e non si tagliano le curve, se si evita di fare a sportellate, ci si può fregiare di appartenere alle classi più nobili e quindi, teoricamente, di continuare a gareggiare con piloti “gentleman” come noi.

Certo, il sistema non è perfetto: a volte si viene retrocessi per scontri non provocati da noi, ma da personaggi che sfruttano il sistema per sbatterci fuori ed evitare la penalità. Ma insomma, visto cosa succede solitamente online (gente che va in contromano, personaggi che alla prima curva pensano giocare a bowling... ), qui siamo su un altro pianeta. E a mio avviso funziona, c’è soddisfazione a stare in scia a un tizio e fargli la staccatona sapendo che quello non solo non ci viene addosso, ma probabilmente farà in modo di sfruttare la cosa per incrociare le traiettorie e provare a ripassarci alla curva successiva. Ci si sente davvero in una gara, nella quale la bravura, la conoscenza della pista e l’astuzia possono permettere di portare a casa un piazzamento decente.

Questa è la vera anima di GT Sport. Non è un simulatore come Assetto Corsa, non è un gioco con milioni di auto o tracciati come lo erano i capitoli precedenti (spesso gonfiati artificialmente) o come lo è un peso massimo come Forza Motorsport 7. GT Sport è il piacere della guida, è il divertimento di sentirsi un pilota che fa cose da pilota, sia che si abbia un volante, sia che lo si giochi con il joypad, perché come cita il filmato d’apertura, “Driving is For Everyone”,  e Polyphony è riuscita a dare la sensazione di essere veramente in pista, di guardare negli specchietti cercando di capire dove quello lì dietro tenterà il sorpasso, di imparare a memoria ogni punto del tracciato per sfruttare ogni centimetro di asfalto e ottenere il tempo migliore.

Insomma, il bello di GT Sport è che, nel suo essere il solito ibrido arcade/simulazione, è riuscito a darmi delle sensazioni che altri giochi, più complessi e sicuramente più completi, non mi hanno mai dato. E poi OK, tecnicamente è una gioia per gli occhi, i replay sono inspiegabilmente sempre i più coinvolgenti rispetto a qualsiasi concorrenza (saranno le inquadrature? Gli effetti di post processing? Boh, non l'ho mai capito) e in questa occasione ho apprezzato moltissimo (cosa mai successa nei capitoli precedenti) anche la modalità Panorami, dove ci si può improvvisare esperti fotografi riprendendo la propria auto in decine e decine di location fotografate ad hoc.

Insomma, GT Sport, nonostante il suo immobilismo su certi aspetti (e posso capire le critiche di chi gli preferisce altri titoli), mi ha coinvolto, sorpreso ed emozionato. Dopo vent'anni, sinceramente, mi sembra uno fra i più bei complimenti che si possano fare a un videogioco, soprattutto di guida.

Un piccolo appunto finale sulla colonna sonora, sia di GT Sport che della serie in toto. Sin dal 29 dicembre del 2007, quando acquistai il primo Gran Turismo nella scintillante versione NTSC-J, ho amato alla follia il brano che accompagnava il filmato introduttivo, ovvero Moon Over The Castle di Masahiro Andoh. Ho giocato anche a GT 2 in versione nipponica e ancora una volta il brano che per me era diventato ormai sinonimo di velocità e di auto accompagnava ogni lancio del gioco. Passando a PS2 e ritornando nell'universo PAL, mi sono accorto che ahimè, in occidente Sony aveva deciso di sostituire Moon Over The Castle con pezzi su licenza, per la maggior parte poco azzeccati o a me non confacenti.

Anche su questo argomento, GT Sport si distingue, perché come soundtrack introduttiva troviamo un notturno di Listz, che è tutto il contrario di quello che ci si attende da un pezzo musicale che accompagna un gioco di guida: è dolcissimo, pacifico, quasi contemplativo e non a caso è chiamato Sogno d’amore, proprio per enfatizzare, se necessario, quanto Kazunori Yamauchi e il suo team amino visceralmente le auto. Poi, se si vuole, durante il gioco, si può tranquillamente  silenziare la colonna sonora alquanto dimenticabile e utilizzare Spotify, facendosi accompagnare durante le staccate dai Carcass o dagli Slayer. Però, insomma, quanto amore.

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Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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