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Cronache dal mondo virtuale

Cronache dal mondo virtuale

L’avvento di una nuova tecnologia è da sempre giustamente accompagnata da un’aura di misticismo e diffidenza. Ricordo quando i primi Oculus Rift fecero la comparsa in fiere e video su YouTube di ragazzini famosi proporzionalmente al numero di decibel in grado di emettere durante gli esagerati spaventi che mostravano in camera. Non c’era nulla di particolarmente entusiasmante nel guardare queste persone, armate di ingombranti caschi à la Johnny Mnemonic, dimenarsi nella realtà virtuale mentre un piccolo e sgranato video nell’angolo mostrava cosa vedevano. Mi affrettai a bollare la tecnologia come l’ennesima costosa trovata di marketing destinata a morire di lì a breve, al pari del 3D che sul mio amato 3DS è rimasto attivo per esattamente dieci minuti netti. Mi sbagliavo.

Qui sorge la principale difficoltà nello scrivere di VR: è un’esperienza particolarmente difficile da trasmettere attraverso parole o immagini, va provata in prima persona.
 
La prima volta che ho indossato un HTC Vive è bastato il menu dell’interfaccia, che ti piazza in un cupo ambiente infinito con lune e pianeti inquietantemente appesi nel cielo, a farmi cambiare idea. Quello che è venuto dopo non ha fatto che rafforzare la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa che, se ben sviluppato, potrebbe cambiare drasticamente il nostro modo di intendere l’intrattenimento in generale. Parliamoci chiaro, al momento è una tecnologia piuttosto sperimentale e costosa ma dal potenziale infinito, provare per credere.

Folgorato sulla via di Damasco, sono “misteriosamente” venuto in possesso di un HTC Vive allo scoccare dei miei trent'anni. Nei mesi scorsi, ho passato molto tempo dentro al caschetto, provando in rapida successione molti giochi, o meglio esperienze, tutte diverse l’una dall’altra. Sì, perché anche se al momento la tecnologia sembra mirata ai nerd allo stadio terminale, potrebbe rivelarsi altrettanto adatta a un pubblico molto più ampio di quello che normalmente impugna un joypad davanti a uno schermo. Molti dei contenuti che ho provato presentano una scarsa interattività, a fronte di una esperienza immersiva soddisfacente. Ho visto amici, parenti e passanti, che si sono alternati in questi mesi dietro le spesse lenti di Fresnel del visore, rimanere rapiti e folgorati dalla tecnologia e dal livello di coinvolgimento che essa propone, anche se non avevano mai giocato a nulla di più complicato di Candy Crush Saga.

Così ho deciso di chiacchierare un po’ di alcune fra le migliori esperienze in realtà virtuale che ho avuto il piacere di provare. Al momento, dal punto di vista dei contenuti, la gran parte dei giochi per VR è piuttosto limitata: si va dalla tech demo all’esperienza arcade dal gameplay semplice, in cui c’è solo un high score da battere. Ma uno dei grandi punti di forza del VR sta nel riuscire a valorizzare proprio le esperienze più semplici. In questo modo, anche le attività che risulterebbero becere e ripetitive su altre piattaforme possono diventare estremamente divertenti nel mondo virtuale.

The Lab

Eventuali legami fra uso del Vive e calvizie incipiente non sono al momento supportati da alcuna pubblicazione scientifica.

La demo gratuita confezionata da Valve per mostrare le potenzialità del suo Vive riesce perfettamente nel proprio intento. Ambientata nell’universo di Portal (che, chissà, forse è lo stesso di Half-Life), The Lab ci catapulta nei laboratori Aperture con la possibilità di provare una buona quantità di piccole attività e giochi. In generale, è già solo un piacere esplorare l’hub principale dell’applicazione, ma Robot Repair è una chicca che ogni fan di Portal dovrebbe provare, e Longbow ha incollato più insospettabili amici e parenti al visore di quasi ogni altra attività in realtà virtuale.

Superhot VR

Nonostante i numeri à la John Woo, nel gioco avrete le manine di Donald Trump.

Già il gioco originale era quanto di meglio l’industria videoludica avesse sfornato negli ultimi anni, ma SUPERHOT VR riesce a superare il suo predecessore a schermo in praticamente ogni ambito. Le premesse sono le stesse: un puzzle game travestito da sparatutto dalla grafica quasi vettoriale, in cui il tempo si muove solo quando noi ci muoviamo. Il tutto in VR funziona magnificamente, benché bloccati nella ristretta scatola di interazione del Vive e senza potersi muovere liberamente come nel gioco originale. Vivere in prima persona queste brevi scaramucce, schivare proiettili col proprio corpo, afferrare al volo armi (ovviamente in questa versione ne avremo una per mano), bloccare improvvisamente ogni movimento fisico per studiare al meglio la situazione in cui ci si è cacciati è una goduria totale. SUPERHOT VR è senza dubbio un ottimo esempio di quanto questa tecnologia possa fare per i videogiochi.
Anche se il gioco è un’esclusiva Oculus, è possibile giocarlo senza alcun problema usando ReVive, eccellente programma gratuito. Tutto legale, tutto open source, non c'è niente da vedere.

Audioshield

Dentro vi sentirete come in Tron. Fuori mostrerete vette inespresse di scoordinazione motoria.

Se anche voi, come me, non siete risultati immuni al periodo di intossicazione collettiva da Guitar Hero/Rock Band, allora Audioshield toccherà subito le corde giuste. Sviluppato sulla base dell’algoritmo del più famoso Audiosurf, Audioshield è un rhythm game in cui dobbiamo respingere delle palline colorate di due colori diversi (rosso e blu) con gli scudi che sono saldati alle nostre mani nel mondo virtuale. Non c’è molto altro in termini di gameplay, ma il tutto si rivela un’esperienza estremamente divertente e appagante, nonché spesso fisicamente impegnativa. La possibilità di affrontare qualsiasi canzone dal nostro hard disk o da YouTube rende le possibilità di gioco virtualmente (ah ah) infinite. Le vostre feste non saranno più le stesse, dopo aver visto amici e parenti dimenarsi come cretini nel soggiorno mentre respingono sfere virtuali.

Lucky’s Tale

l grosso problema è non distrarsi con gli ambienti di gioco e non violare troppe proprietà intellettuali.

Non avrei mai potuto immaginare che un genere come quello dei platform potesse adattarsi così bene al mondo VR. Lucky’s Tale è essenzialmente un collectathon alla Banjo-Kazooie trasposto in realtà virtuale e dal respiro molto più limitato. La Lucky del titolo è una volpina che, oltre a vivere la vita sul filo del rasoio del copyright infringement del personaggio di Tails, deve viaggiare attraverso una buona quantità di mondi cartooneschi per salvare il suo migliore amico, un maiale salvadanaio. No, la trama non è esattamente un pozzo di originalità e anche il gameplay è molto vicino a quelli dei suoi illustri ispiratori, ma il gioco è un autentico splendore da guardare, con ambientazioni molto rifinite, piene di dettagli e dai colori vibranti. La sensazione che si ha è quella di controllare col joypad un personaggio all’interno di un diorama realizzato con infinita cura. Ah, ed è anche un gioco gratuito in esclusiva Oculus, ma pure in questo caso il buon ReVive verrà in vostro soccorso.

Job Simulator

Io 'sto schifo non lo pulisco!

Se qualcuno sei mesi fa mi avesse detto che avrei passato gran parte delle feste natalizie a giocare e far giocare un simulatore di vari lavori, quali commesso, cuoco, impiegato e meccanico, probabilmente avrei dato per certo il mio internamento in un centro psichiatrico. Invece, Job Simulator dimostra che apparentemente tutto riesce ad essere divertente in realtà virtuale, se ben fatto. Il gioco in sé è molto semplice (riuscite a vedere una linea comune a tutti questi giochi?) e i nostri controller sono sostituiti da due enormi manone, grazie alle quali interagire con gli oggetti circostanti, usando il grilletto posto sul retro dei telecomandoni Vive. Utilizzando questi buffi sostituti virtuali delle nostre mani, dovremo portare avanti una serie di piccoli incarichi relativi alle varie professioni. Inutile dire che il tutto finisce in caciara dopo pochi minuti, una volta assodato che il gioco non punisce in alcun modo il libero cazzeggio negli ambienti di gioco. A parziale riprova della insospettabile deriva anarchica e liberatoria che il gioco può prendere, l’ho fatto provare a mia madre. Dopo tre minuti di insopportabile precisione da parte sua, finalmente fa cadere un uovo sul bancone virtuale della cucina. “E ora come pulisco?” “Non devi pulire nulla, è tutto finto! Non ci sono questi problemi qui!”. A seguire, dieci minuti netti di rispettabile genitore che spalma uova e bottiglie di vino sul pavimento senza dignità e con un ghigno malefico sul volto.

Questo e altro, nel fantastico mondo della realtà virtuale.

Una recensione un po’ disallineata su Una serie di sfortunati eventi

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The Strain poi migliora

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