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Pixel Ripped 1989  – Quando la Realtà Virtuale incontra il Retrogaming

Pixel Ripped 1989 – Quando la Realtà Virtuale incontra il Retrogaming

C’è una certa ironia di fondo, nel proporre un’esperienza di retrogaming usando il più avanzato e sperimentale dei sistemi di gioco presenti sul mercato, ed è da questo contrasto che nasce molto del bello e del folle di Pixel Ripped 1989. Ricostruire e riproporre pixel art, sprite ma soprattutto esperienze legate al mondo 8 bit in un ambiente completamente tridimensionale, per giunta in realtà virtuale, non era affatto un compito semplice e quelli di ARVORE non solo ci sono riusciti, ma partendo dal creare quello che sembra un mero esercizio di stile, hanno finito per creare una delle migliori esperienze VR esistenti al momento.

Ma Pixel Ripped 1989 non è solo questo. È anche una storia di rivalsa, di quelle classiche da cinema anni Ottanta, magari un po’ scontate ma che tutto sommato scaldano il cuore anche al più convinto dei cinici. È la storia di Ana Ribeiro, ragazza brasiliana scimmiata che un giorno decide di prendere tutti i risparmi di una vita passata a vendere empanadas nel negozio di famiglia e partire per Londra a studiare game design. E Pixel Ripped 1989 è nato come suo progetto di tesi: un delirante, lisergico e incredibilmente accurato omaggio ai classici che hanno segnato la sua esistenza, e forse anche la nostra. Sarà riuscita a guadagnarsi il suo centodieci e lode, con questa tesi di laurea ben al di fuori degli schemi?

Pixel Ripped 1989, comunque, non si limita a piazzare un giochino a 8 bit in un ambiente virtuale ben ricostruito e a sperare che la magia del VR faccia il resto. Oltre all’elemento ludico in sé, ha l’ambizione di ricostruire la memoria collettiva delle giornate passate a giocare al Game Boy a scuola, nascondendolo sotto al banco quando passa la maestra. Ma soprattutto ha la pretesa di mostrare, grazie alla potenza metanarrativa del VR, l’immaginazione vivida di quell’età, in cui la quarta parete della console o della TV crollava sistematicamente, creando una mescolanza di mondi in cui il confine fra reale e virtuale era molto più labile di quello della maturità.

Distrarre la maestra per riuscire a finire il gioco, un amabile e a tratti frustrante mix di Mega Man, Alex Kidd e Ghost n’ Goblins, è lo scopo principale del primo livello.

L’eroina della storia è Dot, un chiaro avatar della sviluppatrice, che deve salvare il mondo dal cattivo fuoriuscito dal gioco 8 bit a cui stava giocando tranquillamente. Per farlo, sceglie una ragazzina, Nicola, genio dei videogiochi, che possa controllarla al meglio e portarla alla vittoria contro il malvagio re dei goblin. Ed è in quel momento che si entra nei panni di questa graziosa e nerdissima decenne, tranquillamente seduta in classe intenta a giocare al suo Gear Kid (geniale crasi di un Game Boy e di un Game Gear al riparo da rischi di copyright infringement) senza farsi beccare dalla maestra. Proprio come chiunque abbia abbia avuto una console portatile a quell’età, è necessario completare il livello di gioco rimanendo seduta al banco, cercando di non farsi sgamare oppure distraendo gli insegnanti, in questo caso sparando palline di saliva e carta con la penna BIC svuotata della sua anima a mò di cerbottana. E il mondo è così grande, visto con gli occhi di una bambina, e il gioco a cui giochiamo è così accattivante, anche se afflitto da alcuni fra i peggiori difetti di quell’epoca di videogiochi. Tutto è una scusa per far viaggiare la fantasia, anche una semplice sputacchiata che centra in pieno il cestino diventa un’occasione degna di celebrazione, manco fosse la finale dei mondiali. A volte, la realtà videoludica riesce perfino ad avere la meglio e a permeare la realtà, trasformandola in un festival di sprite coloratissimi ed esplosioni pixellose, come nei miei più fervidi sogni ad occhi aperti da bambino.

Spesso e volentieri, la quarta parete viene frantumata a cazzotti.

Sarebbe complesso e scorretto parlarvi di tutto quello che succede nelle circa tre ore necessarie a completare il gioco, perché il bello è che Pixel Ripped 1989 continua sempre a rinnovarsi e cambiare le modalità di gioco e di presentazione. È un viaggio non tanto nel retrogaming, ma proprio nei nostri ricordi. Quelli un po’ sbiaditi e sicuramente meno entusiasmanti di quanto crediamo, ma che possono essere facilmente rinnovati da una mano di vernice. Pixel Ripped 1989 è la nostra memoria collettiva, rimasterizzata e caricata direttamente nei nostri cervelli grazie a un comodo caschetto. Non rappresenta pedissequamente il passato, piuttosto lo rimodella per mostrarne i lati migliori, così come ci farebbe piacere ricordarli, non com’erano effettivamente. È una follia lisergica che imbriglia il meglio del VR per regalare un’esperienza che sembra così vicina a noi e al tempo stesso completamente fuori di testa, uno di quei giochi che nnoha tutto il diritto di entrare nel pantheon della realtà virtuale, perché riesce a sfruttarne appieno tutte le potenzialità.

Lo dico sempre, ormai come il cantilenare di un vecchio che ripete la stessa cosa vista l’età che avanza, che la nostalgia è un’arma pericolosa, che con la scusa dei ricordi può portare a sucarsi le peggiori fetenzie. Ma qui quel rischio è ben lontano. Ana e tutti gli sviluppatori di ARVORE ci hanno regalato un gioco pazzo e fantastico, pensato e sviluppato col cuore e la passione per quegli anni, senza alcuna intenzione di farne un mero pretesto per attirare clienti. È un’orgia nostalgica e metanarrativa dai continui cambi di direzione, degna delle migliori stagioni di Community, ed è proprio il genere di rielaborazione quasi irrispettosa della nostalgia che mi piacerebbe vedere più spesso. Centodieci e lode, Dottoressa Dot!

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Ho giocato a Pixel Ripped 1989 grazie a un codice Steam offerto dagli sviluppatori, ma il gioco è disponibile anche su PSVR e Oculus. In particolare, ho usato un HTC VIVE e un pad Xbox per completarlo. È possibile usare i controller del VIVE ma, per quanto sia bello poter muovere gli arti liberamente nel gioco, risultano molto scomodi all’utilizzo effettivo. Ho completato il gioco in circa tre ore, lasciandomi indietro qualche segreto.

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