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VGB - Vecchi Giochi Brutti #14

Tutti ricordano le vecchie glorie come il non plus ultra del divertimento, ma in pochi hanno il coraggio di criticarle. Forte del suo tasso alcolico e della voglia di farsi male, aleZ riprende in mano i giochi della sua infanzia e li insulta uno ad uno.

Episodio 14 – Mortal Kombat

Oggi che servirebbero vere regolamentazioni per la violenza nei videogame, come dimostra la diffusione di GTA tra i minori, quasi non se ne parla più. A inizio anni '90 era invece l'argomento “topico”, considerati i successi di Street Fighter II in sala giochi e l'imperversare del sangue simulato in alcuni titoli. Uno su tutti? La versione da sala di Mortal Kombat, poi riadattata sulle due principali console del momento: Mega Drive e Super Nintendo. Se quest'ultimo dovette sottostare alle severe regole della grande N, e uscire senza nemmeno un globulo rosso in bitmap, in casa Sega il discorso fu leggermente diverso – e divertente. Ricordate il codice da inserire all'avvio per sbloccare fatality e mutilazioni? Ormai è leggenda.

Come previsto, Mortal Kombat fu un successo commerciale pazzesco, grazie al fattore violenza e alle polemiche della stampa, sempre comode quando c'è da lanciare un nuovo brand.

Okay, finito il pippone mentale storico/didascalico, veniamo a noi: il sangue fu praticamente l'unico elemento distintivo di Mortal Kombat, altrimenti molto carente in quanto a sostanza per un qualsiasi picchiaduro a incontri. Ricordiamoci che allora c'era già Capcom in piena forma a indicare la strada, quindi le soluzioni adottate da Ed Boon e soci non hanno molte scusanti.

I bermuda del bambino sono da fatality, però a pubblicità è simpatica.

Animazioni legnose, collisioni ampiamente rivedibili, combo quasi del tutto assenti, per non parlare dei personaggi sbilanciati a livello di potenza e set di mosse. In molti casi, studiando a livello di pixel le distanze dall'avversario, si arrivava dritti all'ultimo combattimento usando una sola mossa. Segno della fretta intervenuta nella lavorazione o della volontà di puntare su altri elementi, come sangue e frattaglie. Non per niente, le fatality sono quanto resta di Mortal Kombat come eredità per gli episodi successivi e l'intero mondo dei videogame. Un'idea geniale, perfettamente eseguita e anche spassosa se si amava l'humour nero. L'annuncio “Finish Him!” era, in tal senso, un piccolo capolavoro di cattiveria simulata.

Ma si tratta di dettagli, alla fine, in quello che resta un picchiaduro divertente da giocare ma non all'altezza dell'illustre rivale targato Capcom, malgrado alcuni pareri opposti della stampa di allora (sopratutto americana, vista la rivalità con il Giappone). In molti, dopo aver imparato e visto varie volte le fatality, cestinarono Mortal Kombat a favore di altri titoli, primo fra tutti il seguito. Più curato in ogni settore, a cominciare dal sistema di combattimento, può essere considerato il vero inizio della saga.

Menu, ritratti e uniformi dei lottatori arrivavano probabilmente da Paint.

Oltretutto, per quanto originale, il design dei personaggi (cioé la scelta degli attori) era ed è quantomeno discutibile. Se gli immancabili ninja e la bellona di turno avevano ancora un senso, figure come Raiden restano piuttosto ridicole, mentre Goro svelava immediatamente le sue origini di pongo. L'audio, inoltre, era quasi assente, ad eccezione di una manciata di musiche e campionamenti, per quanto memorabili. L'urlo di Scorpion (“Get over here!”) divenne un classico, ed è un altro marchio di fabbrica del brand.

L'umorismo "cattivo" è un'altra eredità del primo episodio.

Però, al di là dei suoi limiti, la serie con protagonisti Sub-Zero e Scorpion è arrivata fino ai giorni nostri con varie divagazioni (talvolta orribili) nel mondo del cinema, dei fumetti e delle serie TV. Quindi l'idea di base rimane vincente, anche se la prima applicazione concreta non fu il capolavoro che molti ricordano. In questo caso, si può dire che i seguiti e lo sfruttamento continuo del marchio abbiano fatto bene a Mortal Kombat sulla distanza, basti ricordare l'ultimo reboot e prima ancora lo spin-off Shaolin Monks, picchiaduro a scorrimento rimasto purtroppo senza seguiti.

La lezione per i compiti a casa, in buona sostanza, è questa: un gioco può avere grosse lacune ma, se come concept funziona, non verrà dimenticato tanto presto. E, nel caso dei picchiaduro, l'arrivo di altri capitoli rappresenta quasi una necessità per limare tutte le imperfezioni di lancio.

Fattore nostalgia: 9

Valore reale: 5