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Un sassolino nella scarpa

Di solito sono io quello che, forte del rispetto che nutro per gran parte delle sue fila, ha belle parole da spendere in favore della critica videoludica. Beh oggi no.

Sono abbastanza sicuro di avervi spiegato (almeno otto milioni di volte, scusate) quanto per me sia importante la persona, i suoi gusti, il suo vissuto e di come una critica debba anche tenerne conto, ma proprio non ce la faccio a passare per quello “radical chic” solo perché non riesco a tollerare una zozzeria (le parole sono importanti, lo so) come Hogwarts Legacy.

Non mi interessa dei giocatori, molti di loro sono convinti che la qualità di un prodotto vada misurata solo ed esclusivamente in base al proprio gusto, è una battaglia che non combatterò oggi, ma dal critico io mi aspetto di più. Nella mia testa, e magari è crederlo l’errore, il critico è un Ego Anton de noialtri (Ratatouille e non Shakespeare oggi, accontentatevi), burbero e infelice, costretto dalla sorte a masticare e rimasticare tutto quello che ha in bocca in cerca di difetti che nessun altro vede. A volte cieco, fallibile, ma mai accondiscendente.

Se rispettate la critica videoludica, e io lo faccio, non potete credere che Hogwarts Legacy sia archiviato alla storia come un buon prodotto perché, molto banalmente, non lo è. Poco importa che, dentro Hogwarts, riesca anche nel suo intento (è un fatto, seppur di ludico ci sia ben poco), fuori dalle mura del castello c’è un open world che puzza di vecchio, senza carattere e pure infarcito di strati su strati di tempo rubato alle vostre vite.

“84!”.

È evidente, è sfacciato, senza vergogna come un Gotham Knights qualsiasi che, infatti, non viene perdonato dalla stessa critica, pure se è divertente. È più banale e scritto peggio di Far Cry 6 che, giustamente, viene messo in croce e punito, forse anche con troppa veemenza rispetto al capitolo precedente. Ma allora perché Hogwarts Legacy è invece un mezzo capolavoro?

Le cose sono due: 1) Qualcuno ha pagato per una prova alle Hawaii (è solo una gag, e una metafora, non ho provato Sonic Frontiers, non prendo posizione); 2) Si vuole accontentare il proprio pubblico. Un pubblico che il gioco lo aveva già prenotato e che, quindi, aveva già deciso di aver speso benissimo i suoi soldi, sia mai, e tutto vuole meno che sentirsi dire da un critico di aver speso male i suoi soldi.

Ma se il critico non critica, a chi serve?

Se il suo lavoro è quello di impilare un capolavoro dopo l’altro, un capolavoro sempre più capolavoro di quello prima, non è meglio un balletto su TikTok? Se si può criticare solo quello che il pubblico è disposto a sentir criticare, non è meglio un video di gattini?

E quella critica esiste, non è un miraggio, basta essere un gioco indie per accorgersene, ma per fortuna degli indie non frega niente a nessuno.