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The Quiet Man è un simulatore di acufene

A volte, il videogioco prova ad osare. In barba al mercato e ai battle royale dominanti, qualcuno ha ancora il coraggio di ribellarsi allo stereotipo dell’eroe videoludico per abbracciare un’idea interessante e mettere in scena, con coraggio, un messaggio forte e capace di sorprendere. Ma oggi parliamo di The Quiet Man.

Nonostante la realizzazione fosse parsa sorprendentemente amatoriale fin dalla sua presentazione, The Quiet Man nascondeva davvero un’idea interessante. Vivere il mondo nei panni di un non udente, come un non udente, poteva aprire il gioco a diverse interpretazioni, poteva lasciare spazio ad una critica più o meno velata contro le barriere con le quali devono scontrarsi i portatori di handicap ogni giorno, poteva insomma far dimenticare il budget irrisorio con quello che aveva da dire. Il primo errore, però, è di non metterti davvero nei panni del protagonista ma in quelli di qualcuno che lo guarda. Anche quando lo stesso interagisce con gli altri personaggi, magari leggendo il labiale, al giocatore non è concessa nessuna possibilità di comprensione. Si è più sordi del sordo, quindi, rendendo di fatto impossibile capire quello che sta accadendo su schermo.

Dopo circa tre ore e mezza di gioco, l’unica certezza è che come se fosse antani anche per lei soltanto in due, oppure in quattro anche scribàcchi confaldina? Come antifurto, per esempio. Ho visto filmati peggiori da giocatore ma è il tono estremamente serioso, volutamente impiastricciato, a trasformare l’intera esperienza in una comica simulazione di acufene. Una simulazione di acufene con i super poteri, se ho ben capito.

A peggiorare il tutto, la scelta intollerabile di spingere progressivamente sempre di più sul picchiaduro più storto e impacciato degli ultimi venticinque anni. Se nelle prime fasi non è un problema picchiare sempre i tre stessi tipi vestiti di verde, col passare del tempo, la difficoltà di queste sezioni si fa meno accomodante e gli scontri diventano più lunghi. Costretti persino a tornare sui proprio passi, non si può non notare quanto il protagonista si incastri nello scenario, quanto il sistema di controllo sia al limite del tollerabile e come compenetrazioni e animazioni slegate la facciano da padrone. Quello che doveva essere solo un legaccio per l’orribile storia raccontata si trasforma allora in vera e propria tortura, quasi una punizione divina.

Non resta niente, niente, da salvare in The Quiet Man. In un mercato che ha imparato a cancellare i suoi orrori, questo gioco si erge fiero sugli altri ricordando quanto si possa cadere in basso. Tra quarant’anni, il mondo avrà il coraggio di rivalutarlo, forse, e insieme ai film di Vanzina verrà preso come esempio dei tempi meravigliosi anni che furono ma oggi no, oggi ho voglia persino di Crackdown 3.

Sono un sognatore, un ottimista, e mi piaceva pensare che in The Quiet Man ci fosse altro oltre, quella patina terribile con la quale si era presentato. E invece no, non c’è, ogni mia più bassa aspettativa è stata superata con un prodotto inspiegabile e imbarazzante. Non credo di saperne di più sul mondo dei non udenti ma è certo che, per gran parte del gioco, ho desiderato almeno di non vedere quello che girava su schermo. Storico, a modo suo.

Ho giocato a The Quiet Man su PC dopo averlo comprato di tasca mia. Dopo tre ore e mezza, il rimborso Steam non è stato neanche preso in considerazione. The Quiet Man è disponibile su PC e su PlayStation 4.