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Backlog #14: Non riesco a capire quanto The Inner Friend mi sia piaciuto

Backlog è la rubrica in cui chiacchieriamo fuori tempo massimo di giochi che abbiamo recuperato nella nostra lotta infinita contro il cumulo di arretrati. Sono quei giochi troppo recenti per poter essere ammessi nell'ospizio ma già troppo vecchi perché possa ancora interessare a qualcuno una recensione classica.

Il 27 agosto 2018, mentre ero impegnato a palleggiarmi figlia, moglie e suoceri (e Sonic Mania su Switch) in quel di Bonassola, avevo ricominciato a scorrere la posta distrattamente, organizzavo cose per Outcast ma, in larga misura, avevo francamente altro a cui pensare (tipo, boh, provare a rilassarmi un pochino), mi è spuntato in mail, totalmente non richiesto, un codice Steam per The Inner Friend. Ora, ragazzi, voi dovete capire che l’inbox di chiunque bazzichi il giro delle riviste specializzate, abbia un pochino di contatti (non troppi: un pochino) e sia stato a qualche fiera è un maelstrom, un gorgo costantemente invaso da comunicati stampa, proposte di codici, inviti, richieste, preghiere, slanci d’amore. Io, tutto sommato, col fatto che ultimamente mi limito a sfiorare il lato “professionale” del settore, sono magari meno seppellito di altri ma comunque, nonostante tutto, è una valanga continua. E quindi, insomma, cerco di dare attenzione a tutti, anche perché tipicamente, chi la cerca davvero è chi sviluppa giochi indie, ma bisogna anche un po’ attirarla, l’attenzione.

Nel caso di The Inner Friend, ho dato uno sguardo al trailer, letto quel che c’era da leggere e visto un gioco di cui non sapevo nulla e che poteva essere interessante. Oberato come tendo ad essere, ho provato a cercare qualcuno che volesse occuparsene, scontrandomi col solito problema che abbiamo, da queste parti, quando si parla di giochi horror: sono circondato da cagasotto e/o i pochi non cagasotto non giocano su PC e/o non scrivono recensioni, partecipano solo ai podcast. E infatti, tutti quelli a cui ho proposto il trailer mi hanno risposto urlando dal terrore e sbattendomi la porta (virtuale) in faccia. Insomma, The Inner Friend, se lo si voleva coprire, toccava a me. Ovviamente, è finito nel gorgo del “ci butto un occhio appena riesco”. Tra l’altro, la cosa deprimente del gorgo del “ci butto un occhio appena riesco” è che, tipicamente, non solo chi ci finisce dentro non ne esce per mesi ma si tratta pure di roba a cui mi sarebbe bastato dedicare un paio d’ore per sbrigarmela. Ma, ehi, che ci vogliamo fare? Mi limito a portare avanti la mia personalissima walk of shame con questa rubrica e bene così.

The Inner Friend è un lungo metaforone che sembra viaggiare da qualche parte sul labile confine che separa il Silent Hill del discount dall’ICO del mercatino delle pulci. Ha idee, forza espressiva e voglia di fare qualcosa che non sia un trionfo di banalità, ma gli mancano forse un po’ di potenza, come dire, “monetaria”, e una certa cura per il dettaglio. Nella sostanza, è un gioco d’avventura in terza persona che ci vede impegnati a seguire un percorso largamente lineare, esplorando i diversi ambienti tramite cui il team di sviluppo ha provato a riprodurre i timori più profondi che possono attanagliare la mente di un bambino. Si parla di abbandono, di malattia, di drammi famigliari, di perdita, viaggiando fra contesti quotidiani trasformati in scenari da incubo, compresi i grandi classici, immancabili in qualsiasi videogioco horror del nuovo millennio che si rispetti, “la scuola” e “l’ospedale”. Non c’è molto di particolarmente nuovo ma c’è un discreto tocco nel trovare soluzioni visive interessanti, nell’omaggiare i classici del cinema e del videogioco, nel provare a sfiorare i temi presi in esame senza scivolare nel pedante. Tra l’altro, i cagasotto di cui sopra potevano anche stare tranquilli, dato che The Inner Friend propone timori superficiali, non va mai a fondo e, in buona sostanza, non fa particolarmente paura. Toh, giusto un pizzico di inquietudine.

Dove si fa un po’ più fatica è sul piano del gioco, soprattutto in quegli ambiti in cui The Inner Friend non ha il coraggio (o la voglia) di limitarsi al suo essere racconto e prova a spingere verso meccaniche più tradizionali. Ecco quindi che saltano fuori qualche puzzle, due o tre momenti stealth, perfino un passaggio puramente platform, ed è tutta roba abbastanza approssimativa nella realizzazione, nella rifinitura, nella risposta dei comandi, nella semplicità di design. Certo, la componente ludica più tradizionale ha scarsa importanza, la sfida è senza dubbio bassa e il punto rimane il desiderio di comunicazione ma, appunto, come spesso accade in questi casi, il risultato è che quei momenti finiscono per risultare fuori posto, impacciati, troppo lunghi pur nel loro essere indubbiamente brevi.

Insomma, The Inner Friend non è male, ha trovate interessanti, dura il giusto per ciò che ha da offrire, riesce a proporre qualche scorcio che ti resta dentro e ha il pregio di non farsi venire il braccino corto quando deve mostrare quel che serve. Allo stesso tempo, però, non sfiora nemmeno per sbaglio le vette maggiori del filone narrativo e ha la colpa di lasciarsi andare a “classicismi videoludici” che forse c’entrano poco e sicuramente non possono vantare una qualità sufficiente a giustificare la loro presenza. Sembra un po’ vittima del (comprensibile) timore di scrollarsi completamente di dosso elementi di gioco che, forse, nel 2018, chi apprezza questo tipo di produzione ha smesso di aspettarsi. O forse no. Forse sbaglio io e hanno fatto bene a infilarci dei collezionabili di cui non potrebbe fregarmene di meno. Vai a sapere.

Steam mi segnala che ho portato a termine il gioco in un’ora e mezza, sbloccando quattordici achievement su ventuno e lasciandomi dietro un sacco di collezionabili. Quindi, insomma, volendo, il gioco può durare significativamente di più. Come detto, ci ho giocato grazie a un codice ricevuto a suo tempo dallo sviluppatore e perso nel gorgo del delirio di fine agosto. The Inner Friend è disponibile su Steam a 14,99 euro, che alla fin fine è nella media per questo genere di giochi ma, allo stesso tempo, è anche un prezzo per il quale, forse, siamo abituati a valori di produzione un po’ più convincenti. Se il trailer vi intriga e lo beccate scontato, però, una chance se la merita.