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Librodrome #10 - Steven Levy, Hackers e la bibbia tecnologica moderna, direttamente dal 1984!

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

L'etica hacker - oramai lo sanno anche i muri - è una "filosofia di socializzazione, di apertura, di decentralizzazione e del mettere le mani sulle macchine a qualunque costo, per migliorarle e per migliorare il mondo".  Sta scritto prevalentemente dentro Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica di Steven Levy, pubblicato per la prima volta nel 1984 e in Italia solo dodici anni dopo, ovvero nel 1996, da Shake.  Si tratta, in buona sostanza, dell'unico testo al mondo in grado di narrare – e senza tralasciare nulla! – la nascita dell'era informatica e lo sviluppo delle innumerevoli controculture da essa derivate, dal Mit del 1958 sino ai primi passi di Bill Gates e Steve Jobs giù nella Silicon Valley, per arrivare alle prime "ditte" di videogiochi, di quando non si capiva ancora bene a cosa potessero servire e oltretutto facevano versi strani, per non dire striduli. Un mastodontico reportage degli albori della tecnologia per uno strabiliante lavoro giornalistico, che risulta oltremodo meticoloso, minuzioso e infaticabile nel narrare ogni fatto realmente accaduto. Come la storia del fischietto dentro la scatola di cereali o la storia del melone amaro in agrodolce.

Lui è il bravissimo Steven Levy.

Il volume è praticamente suddiviso in ventidue capitoli, a loro volta organizzati in tre grandi periodi storici e un epilogo che si direbbe "romantico". Levy tiene traccia – lo fa sempre con somma maestria - dello spirito degli hacker di Cambridge negli anni cinquanta e sessanta, dei primi bestioni Tx-0 dell'Ibm, di Gosper, Greenblatt e Captain Crunch, dei "settanta" in California settentrionale, dell'Altair 8800 (il primo personal computer), dei folti baffi di Lord British, del mago di Woz della Xerox, innovatrice e sempre distratta, giacché lasciava puntualmente aperta la porta sul retro, permettendo che Apple e Microsoft sbirciassero senza ritegno. Dentro Hackers, insomma, c'è la storia dei tempi moderni e soprattutto di un manipolo di ragazzi che adoravano "computer grandi come una stanza e potenti come uno Swatch", quella che tutti noi borderline avremmo voluto studiare a scuola. E poi la genesi e lo sviluppo dei videogiochi, che erano indubbiamente "… il programma che traeva il maggior vantaggio dalla potenza della macchina, la mettevano sotto il controllo dell'utente, facevano di lui il dio dei bit e dei byte che stavano dentro la scatola (perfino se egli conosceva a stento la differenza fra un bit e un byte)". Si parla di Spacewar e di Pong, di Donkey Kong e Galaxian, di Dungeons & Dragons, di Frogger e, più in generale, delle fondamenta della cultura videoludica tout court.

Dietro le tre maschere, si riconoscono chiaramente i volti di Gosper, Greenblatt e di Captain Cruch. Beccati.

Quel che rapisce di Hackers, al di là dei temi trattati – fatti di circuiti stampati, equazioni di grado impossibile, scatole di cereali e trenini elettrici, è lo stile profuso da Levy. L'autore è straordinariamente bravo, è narratore perfetto, perché capace di tenere sempre il lettore sull'attenti, con un groppo in gola e la curiosità impostata al massimo. Forte di uno stile letterario invidiabile, il volume riesce ad incantare anche solo se sfogliato distrattamente, in uno scorrevolissimo ed esaltante tripudio di fatti, situazioni e vicende. Compratelo (che sia in versione tascabile, nell'originale inglese o nel maxi formato col prezzo ancora in lire non fa differenza alcuna) e divoratelo senza prender fiato, dalla prima pagina fino all'ultima e poi ancora daccapo, in un loop infinito che mai conoscerà stanchezza. Vangelo secondo Levy: "Sotto le loro apparenze, spesso dimesse, erano avventurieri, visionari, gente disposta a rischiare, artisti… quelli che riuscirono più chiaramente di tutti a vedere che il computer sarebbe diventato uno strumento veramente rivoluzionario".