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SteamWorld Build ci fa capire che i robot non sono così diversi dagli umani

Sono sinceramente rimasto spiazzato dall’annuncio di SteamWorld Build.

Se il primissimo Steamworld Dig non mi fece affatto impazzire, finendo di fatto sul “più bello”, ogni altro gioco della serie per me è stata una vera hit. In particolare il magnifico SteamWorld Heist (un tattico a turni in due dimensioni fighissimo di cui ho scritto qua) e SteamWorld Quest, godereccio deckbuilder story driven con meccaniche semplici ma intriganti di cui ho scritto qui. Persino Dig 2 riusciva nel suo essere un metroidvania molto più convincente, rotondo e completo del primo. 

Per questo, quando il nuovo SteamWorld si è rivelato essere un city builder, ammetto di esserci rimasto un po’ male. Ma subito dopo è entrata una sensazione di sfiziosa curiosità, di vedere ancora una volta dove sarebbero andati a parare gli Image & Form Games.

E quindi, quando il buon Maderna contatta, rispondo con un pizzico di entusiasmo. E proviamolo ‘sto Build, nonostante tutto.

Quel “tutto” è il mio gusto, che corrisponde a quella sensazione di “bello sto city builder ma dopo due giorni mi scoccio e rifaccio le città all’infinito fin quando non trovo la giusta ispirazione oddio mi sento frustrato basta”.

Il mio villaggio robotico è iniziato così.


Sì, io con i city builder ho un rapporto un po’ conflittuale. Parto benissimo ma poi scatta sempre qualcosa e lascio andare via tutto, in una serie di partite mai portate davvero avanti fino all’abbandono più totale. Volevo quindi capire se questo SteamWorld Build avesse qualcosa in grado di spezzare, o quantomeno allentare, questo strano circolo.

Il gioco inizia con un breve filmato animato che, udite udite, pone all’inizio delle attività di costruzione una trama da dipanare e misteri da scoprire. Il tratto comune dei vari SteamWorld è proprio la scoperta e, in questo caso, l’obiettivo è ambizioso: combinare la narrativa dell’esplorazione della “frontiera”, quello del selvaggio west a stelle e strisce, con la meta finale di raggiungere lo spazio costruendo un razzo. I componenti di questo, però, sono sepolti nelle profondità della terra al di sotto della pianura (o altro scenario di inizio partita) del territorio di frontiera prima citato e sul quale costruiremo la prima capanna che darà vita al nostro insediamento.

Sulla superficie, infatti, SteamWorld Build si comporta come un city builder piuttosto canonico: case da costruire, strutture in grado di sostenere le necessità degli abitanti e strade a collegare il tutto. A queste solide basi si aggiunge la presenza della stazione, un vero e proprio centro di interscambio in cui, dopo un determinato ammontare di tempo, giunge un treno carico di merci da ritirare e pronto a prelevarne altrettante: insomma, un vero e proprio centro per scambiare risorse, magari quelle in surplus per ottenere quelle invece di cui abbiamo più bisogno.

Il mio piccolo villaggio robotico non più tanto piccolo.


Come ogni city builder che si rispetti, infatti, anche Build è tutto una questione di equilibri: generare risorse per creare strutture, che a loro volta attraggono cittadini che pagano tasse ma solo se ne soddisfiamo i bisogni… che spesso si basano su risorse o strutture. Un circolo che, se inizialmente è molto facile da gestire, più grande diventa la città e maggiore è la difficoltà nel riuscire non solo a far quadrare tutto, ma a garantire quello scarto necessario a far proseguire ulteriormente il tutto. Perché le risorse non sono infinite.. e soprattutto non lo è il terreno su cui costruire, inserendo così anche a sistema proprio l’elemento di “ingombro” delle suddette strutture da considerare. Pena trovarsi in situazioni piuttosto ingarbugliate a partita avviata.

Ben presto, però, giocando ci si rende conto che certe risorse, nella nostra bella cittadina, non ci sono proprio. Mancano dei minerali, non ci sono fonti d’acqua (eh sì, anche i robot antropomorfi ne hanno bisogno, pare..), e soprattutto non c’è alcuna traccia dei componenti del razzo che dovrebbe condurre la nostra civiltà robotica nello spazio. Fortunatamente, dopo qualche minuto in SteamWorld Build si sblocca la possibilità di esplorare il sottosuolo… e qui le cose diventano diverse ma, al contempo, familiari. Perché sì, c’è sempre da costruire strutture ed estrarre risorse, ma più che un city builder tradizionale sembra di essere tornati ai tempi di Dungeon Keeper. Se in superficie trovano spazio operai, ingegneri e aristocratici nel sottosuolo minatori, costruttori e guardiani si alternano all’opera, permettendo all’utente di esplorare il sottosuolo scavo dopo scavo, tunnel dopo tunnel e… mostro dopo mostro.

In SteamWorld Dig ho scoperto che la plastica si crea da fattorie sotterranee. Sapevatelo!

Perché se in superficie si forma la civiltà robotica, nel sottosuolo c’è la vera e propria frontiera da esplorare. Con tanto di specie autoctone che difendono il territorio prontamente sterminate… come nella tradizione del West USA! Oh, l’ironia! C’è da dire che però l’esplorazione dei vari livelli del sottosuolo è davvero godereccia, con sezioni create in maniera semicasuale tutte da esplorare: a ogni “piano” non solo c’è un pezzo di quel famoso razzo che ci porterà tra le stelle, ma anche degli interruttori da scovare per poter poi proseguire ai livelli di profondità successivi. 

Ed è forse l’insieme di questi due gestionali simili ma diversi nel ritmo e nelle intenzioni il vero pregio di SteamWorld Build. Sebbene infatti singolarmente le due anime possono risultare un po’ all’acqua di rose, il poter alternare i due “piani di gioco” rende il tutto più dinamico, disinvolto e anche malleabile. La crescita in superficie, come accennato, dopo il decollo iniziale subisce presto una forte decelerazione, anche un po’ ansiogena visto che rendere contenti i tre diversi tipi di abitanti obbliga a salti mortali e continui approvvigionamenti di risorse mica da ridere. L’esplorazione del sottosuolo, necessaria per le suddette risorse, è in grado di dare invece sempre qualche micro-obiettivo: vuoi perché sbuca un insetto e va sistemato prima che riesca a distruggere i nostri robot, vuoi invece perché l’abbattimento di alcune mura porta a una nuova sezione… insomma, come già accennato, la parte “Dungeon Keeper” del gioco aggiunge un dinamismo e un ritmo che probabilmente nella parte più assimilabile ai vari “City Skyline” finisce ben presto.

Quelle vibes da Dungeon Keeper fortissime..

Ho trascorso una dozzina d’ore, finora, più che piacevoli su SteamWorld Build. E per imitare la doppia dimensione del gioco, l’ho provato sia su PC fisso che su Steam Deck: sulla console portatile di Valve si difende alla grandissima, tutto funziona alla perfezione anche senza mouse e tastiera e la UI si adatta facilmente a uno schermo di dimensioni minori. Me lo potevo aspettare da un gioco che sarà disponibile anche per Nintendo Switch, certamente, ma fa comunque piacere avere questo tipo di conferme.

Insomma, se i city builder vi hanno sempre intrigato e ne volete uno che abbia un twist diverso dagli altri, SteamWorld Build può dire la sua. Complice anche il suo stile un po’ western un po’ steampunk ma tutto bislacco e la sensazione, un po’ agrodolce, di rivedere in forma robotica la storia dell’espansione socioeconomica umana fatta tanto di scoperte e miglioramento delle condizioni di vita di alcuni quanto di colonizzazione di territori altrui. 

Un po’ tanto, troppo, umani. Questi robot.