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Star Wars: Shadows of the Empire, la mia prima volta | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

La memoria fa brutti scherzi, specie quando riguarda i più dispersi ricordi d’infanzia; nulla di così sconvolgente: c’è un’ampia letteratura al riguardo e in generale si tratta di una tematica affrontata in miriade di salse. Proprio per questo, ho fatto fatica a contestualizzare quale fosse, per davvero, il mio primissimo videogioco. Negli anni, fra gli scatoloni a prendere polvere in soffitta in cui chiunque di tanto in tanto si imbatte, ho trovato reperti che hanno messo in dubbio quelle che reputavo invece delle solide certezze, facendo al contrario affiorare lampi di memoria di cui avevo perso ormai ogni ricordo. Mentre sfilavo un tastierone con la scritta Commodore 64, ad esempio, all’improvviso ha iniziato a ricomporsi nella mia testa l’immagine di un me bambino, età imprecisata, a picchiettare quella stessa tastiera che stava a stento sul tavolo del seggiolone posto all’altezza, perfetta, del televisore. Cosa girasse su quel macchinario, in quei momenti, mi viene difficile dirlo, anche se i déjà-vu provati durante sessioni di retrogaming con Super Mario qualche idea me l’hanno fatta venire.

A livello istintivo, ma anche e soprattutto affettivo, non ho invece grossi dubbi su quale sia stato il mio primo videogioco, seppur si tratti, come già detto, di ricordi contaminati e idealizzati negli anni. Avevo circa sei anni e, dopo una lunga trattativa, ricevetti per Natale la mia prima console: il Nintendo 64. Non rimasi deluso, nonostante già diversi fra i miei amichetti avessero già la prima PlayStation; un po’ stranito, ecco, quello sì. Una sensazione dissolta dopo una manciata di minuti, quando cioè scartai il secondo e ultimo regalo, fondamentale: un gioco per la mia prima e scintillante console, Star Wars: Shadows of the Empire.

Difficile dire se all’epoca fossi già un piccolo fan della saga: non ne ho memoria alcuna e i miei genitori non hanno mai accennato ad alcuna mia precoce passione per jedi, sith e spade laser. Fatto sta che, con ogni probabilità, il mio primo approccio con la saga di George Lucas è stato con un capitolo oggi definito apocrifo; col senno di poi, il miglior approccio possibile. I ricordi sono frammentati ma intrisi di sentimenti fino ad allora a me inediti. Star Wars: Shadows of the Empire, per la sua formula da action-adventure ibrido che pesca a piene mani dal campionario dall’universo di riferimento, era a tal proposito perfetto: il protagonista era Dash Rendar, contrabbandiere, dunque figura che si inseriva sulla falsariga di Han Solo, di cui era peraltro amico e ricalcava le gesta, più o meno. Pronti via, la prima missione ci buttava infatti nel bel mezzo della battaglia di Hoth, a bordo di un snowspeeder a dir poco iconico, con tanto di filo in dotazione da ingarbugliare attorno alle gambe degli AT-AT: figata assoluta, vent’anni e due generazioni prima che DICE riproponesse la stessa dinamica in Star Wars: Battlefront. E poi ancora battaglie spaziali a bordo dell’astronave di Dash, gare in moto sul deserto ma, soprattutto, le fasi più da action-adventure in senso stretto, da affrontare col nostro protagonista a esplorare mappe lineari ma ricche di riferimenti e dettagli e misteri e tranelli. Le parti più difficili, per il me stesso di vent’anni fa; specie perché, dettaglio non indifferente, il gioco era completamente in inglese, obbligandomi di fatto a chiamare, di volta in volta, mio padre alla ricerca di una traduzione che riuscisse a restituire senso alle mie sconclusionate sessioni di gioco.

Non è di certo questa la sede adatta per parlare di questioni del genere, ma ho sempre avuto un rapporto particolare, diciamo, con mio padre, sin dall’infanzia. Vengo da una famiglia tradizionale, forse fin troppo: madre a occuparsi di tutto e padre che porta la pagnotta a casa, auto-esentandosi di fatto da tutte quelle responsabilità collaterali che, di norma, dovrebbero comunque permanere. Per farla breve, non ho grossi ricordi di me bambino che fa cose insieme al suo papà. Un ricordo, però, ce l’ho ben fisso in testa, ed è di me che torno da scuola, accendo il Nintendo 64, faccio partire Shadows of the Empire per bloccarmi, di volta in volta, in un punto imprecisato di una missione altrettanto imprecisata; e mio padre, al ritorno dal lavoro, pronto a rispondere a ciascun mio sollecito: non solo per compiti di traduzione, ma anche per mettersi accanto a me, prendendo in mano il tricorno Nintendo per esplorare, insieme, ogni angolo d’universo – stellare, innevato, desertico, esaltante, marcio ma sempre e comunque epico. Ma come scritto in apertura, nonostante senta ancora i sentimenti vibrare fortissimi nei ricordi che pian pianino vanno ricomponendosi, faccio un’enorme fatica a distinguere ciò che è accaduto per davvero e quello che, invece, è frutto di una miscela di nostalgia, amore e risentimento.

In tutto ciò, se c’è una cosa che ricordo con limpida chiarezza è la boss fight con Boba Fett. Da lì l’interesse di mio padre scemò, e a ben vedere: restammo bloccati in quella sfida per un bel po’, col bastardo che, dopo essere stato sconfitto una prima volta, cambiava fase, per entrare in una navicella all’apparenza a prova di blaster. Poi, un giorno, da solo, riuscii a batterlo; non ricordo neanche come; tanta perseveranza, forse. Il mio primo pensiero non poté che andare a mio padre: ero riuscito laddove invece in due avevamo fallito. Lui ne fu contentissimo, e io anche di più, ma la sua avventura con Shadows of the Empire si concluse lì. Io continuai a insistere (una volta gli chiesi di tradurmi un trafiletto di inizio missione che sapevo già non contenere alcuna informazione rilevante), ma lui proprio non ne voleva sapere di continuare quell’avventura iniziata insieme. Me ne feci una ragione e proseguii in solitaria, fino a salvare la principessa Leia dal malvagio Xizor, espugnandone il palazzo e sacrificandomi infine per salvare Luke Skywalker e, con lui, tutto l’universo.

La prima volta non si scorda mai e la mia è stata bellissima.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Star Wars, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.