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Sons of Anarchy: moto, sangue e proiettili come stile di vita

Durante la famosa scena dell’interrogatorio del Joker ne Il cavaliere oscuro, l’iconico clown criminale interpretato dal compianto Heath Ledger, sosteneva che “L’unico modo sensato di vivere è senza regole”.

Ogni tanto, quando vedo ciò che accade in questo mondo, mi chiedo se davvero la civiltà non sia già venuta meno in una buona fetta di persone e penso che, forse, i protagonisti di Sons of Anarchy avevano già capito tutto.

Creata nell’ormai lontano 2008 dalla penna di Kurt Sutter, uno degli autori di The Shield, la serie narra le vicende dell’omonima banda di motociclisti, basata su un fenomeno realmente esistente soprattutto in America nel secondo dopoguerra, quello delle gang criminali formate principalmente da ex soldati dell’esercito, i quali, una volta dismessa la divisa, non avendo famiglia o altri punti di riferimento, si aggregano a queste bande che vivono al di fuori delle regole della società. Valori come onore, rispetto e fratellanza sono alcuni dei capisaldi sui quali si basano queste bande, le cui entrate finanziarie derivano da attività criminali. Non a caso, alcuni aspetti delle bande ricordano, in maniera forse un po' distorta, situazioni di stampo militare, come diversi gradi di importanza e di ruolo da parte dei membri, una sorta di divisa da indossare quotidianamente, come una seconda pelle (in questo caso un gilet di pelle con il logo della banda), e il fatto che guidino rigorosamente un certo tipo di Harley Davidson.

Protagonista indiscusso della serie è Jackson “Jax” Teller, figlio di John Teller, uno dei fondatori del club (termine con cui i membri identificano la loro particolare associazione) e vicepresidente dello stesso. Jax, pur essendo di base un criminale, ha determinati valori e principi. Preme il grilletto solo se è necessario e cerca sempre di trovare soluzioni razionali e, per quanto possibile, pacifiche, ogni qual volta che il suo club si trova in situazioni difficili. Il ritrovamento del diario del padre, che aveva fondato i Sons of Anarchy con l’idea di dare una sorta di famiglia a chi non l’aveva e, appunto, di vivere al di fuori delle regole imposte dalla società, fa capire a Jax che la deriva violenta e criminale presa dal club non farà altro che portarlo un giorno alla distruzione.

Spinto dal sogno del padre, il ragazzo tenta di inizialmente di cambiare le cose ricoprendo il ruolo di “voce della ragione” all’interno del suo club, cosa che lo porta spesso e volentieri a scontrarsi con il Presidente, nonché suo patrigno, Clay Morrow, uomo malvagio e senza scrupolo alcuno.

Jax rappresenta il classico esempio di antieroe, un personaggio che compie una evoluzione molto simile a quella di Walter White di Breaking Bad: una volta assunta la guida del club, l’iniziale volontà del ragazzo di cambiare le cose, orientando il club verso attività legali per vivere più tranquillamente, cederà gradualmente il passo alle stesse cose che Jax voleva cancellare per sempre. La strada violenta intrapresa dal club continuerà anche sotto la sua gestione, e lo stesso Jax si renderà protagonista di crimini e nefandezze indicibili, e la morte improvvisa di persone a lui molto care causerà in lui la perdita di qualunque tipo di moralità residua, trasformandolo di fatto nello stesso patrigno che lui tanto odiava.

Nonostante una superficie fatta di violenza, conflitti e sesso, Sons of Anarchy trae ispirazione – chi l’avrebbe mai detto – da opere shakespeariane come Amleto e Macbeth, con un protagonista perennemente tormentato e alla costante ricerca di sé stesso, che trova pace solo durante lunghi tragitti in moto, con il rombo del motore che fa magicamente sparire, almeno per un po', tutti i problemi. Centrali anche i temi della vendetta, vista come la risposta naturale a un torto o a un’offesa, e mai come alternativa al perdono, un concetto che in un contesto simile non può nemmeno esistere, dell’inganno (Clay Morrow ha assunto la presidenza del club e sposato la madre di Jax dopo aver ucciso John Teller, proprio come accadeva in Amleto) e dell’ineluttabilità del destino. Superfluo sottolineare quanto, in una serie di questo tipo, sia dominante anche la morte, rappresentata, oltre che da numerosi ed espliciti omicidi, dal logo del club (la mietitrice con falce e fucile) e l’ambigua figura di una senzatetto che compare in alcune puntate della serie, che secondo le teorie più note rappresenta l’incarnazione della morte stessa.

Altro punto forte della serie è la caratterizzazione dei personaggi: nonostante siano tutti moralmente discutibili, i membri del club viaggiano sempre in una sorta di zona grigia, non essendo mai totalmente buoni o cattivi, e soprattutto le loro storyline non vengono trascinate all’infinito, ma terminano il loro percorso all’interno della serie una volta esaurito il loro ruolo. In poche parole, muoiono quando devono morire, spesso in maniera brutale e totalmente inaspettata. Notevoli anche i vari villain con cui il club deve fare i conti lungo le sette stagioni che compongono la serie. Fra gli altri, Ethan Zobelle, leader di un movimento nazista che tenta di prendere il controllo di Charming, città in cui è ambientata la serie, il gangster irlandese Jimmy O’Phealan e l’ambiguo uomo d’affari Damien Pope.

Nonostante la lunga durata, la serie non ha mai vissuto fasi “di stanca”, anche se, come di consueto per serie con un ciclo di vita così significativo, picchi altissimi come la seconda e la quarta stagione hanno convissuto con stagioni meno potenti a livello narrativo, nonostante i numerosi e scioccanti colpi di scena, soprattutto verso la fine della serie. Sons of Anarchy fa parte di quelle serie che amo avere in home video per potermela riguardare quando voglio, anche perché è nata in anni in cui le piattaforme streaming non avevano preso piede e bisognava giocoforza affidarsi alla programmazione ballerina delle reti televisive tradizionali. Così come determinati film fanno parte del cosiddetto “cinema di menare”, la creatura di Kurt Sutter fa parte di un sottobosco di serie violente e dal taglio adulto, fra le quali, da parte mia, ricordo con piacere le altrettanto valide The Shield (i cui attori principali hanno fatto capolino in Sons of Anarchy, con ruoli più o meno significativi), Banshee e Justified.

Non posso non menzionare la meravigliosa colonna sonora, composta da ballate country e pezzi rock come Day is Gone di Noah Gundersen, Come Join to the murder dei White Buffalo ed Eighteen di Scott Shriner & The Forest Ranger.

Dopo la serie originale, terminata nel 2014, lo stesso Sutter ha dato vita allo spin-off Mayans MC, la cui ultima stagione arriverà qui da noi entro la fine dell’anno.

La serie ha avuto una modesta trasposizione videoludica sotto forma di gioco per smartphone Android e ha ispirato anche la creazione dello sfortunato Days Gone di Bend Studio.

Se volete recuperarla, Sons of Anarchy è disponibile su Disney +.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.