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Post Mortem #40: La creazione di Sonic the Hedgehog

Una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, sulla loro esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Il Post Mortem Classic dedicato a Sonic the Hedgehog durante la Game Developers Conference 2018 è stato particolarmente interessante perché a raccontare la creazione di quel gioco e quel personaggio non c’era chi lo fa di solito. Erano infatti presenti sul palco Hirokazu Yasuhara (game designer, oggi impiegato con lo stesso ruolo presso Unity Japan) e Naoto Ohshima (character designer, oggi vicepresidente e produttore presso Arzest Corporation). Durante la lavorazione di quel classico del platform gaming a 16 bit, punto di svolta fondamentale nella leggendaria rimonta operata da Sega ai danni di Nintendo (perlomeno negli USA), Yasuhara si occupò prevalentemente di level design, della creazione delle mappe, mentre Ohshima studio il design visivo del gioco.

Negli anni degli otto bit, raccontano i due, Sega non riusciva assolutamente a competere con Nintendo, ma il passaggio ai 16 bit offrì la chance di ripensare strategie e approccio. Un punto focale venne identificato nella necessità di ideare una nuova mascotte e, soprattutto, di impegnarsi nel valorizzarla e nel curare la vendibilità del personaggio, cosa che Sega non aveva mai fatto negli anni Ottanta: li creava, li usava e li gettava. Ma la genesi di Sonic fu un processo lungo e laborioso, che passò per diverse proposte, idee: un porcospino, sì (“ottimo perché si arrotola e fa un macello”), ma anche un armadillo e un cane. Addirittura, per qualche tempo, prima di diventare il principale antagonista, Eggman/Robotnik venne preso in considerazione come possibile protagonista.

Sulla genesi del personaggio, comunque, è delizioso l’aneddoto raccontato da Ohshima. Durante il periodo in cui si stava cercando di decidere la natura di questa nuova mascotte, ci si era focalizzati su tre possibilità: un vecchio uomo coi baffoni (Eggman/Robotnik, appunto), che sembrava godere dei favori aziendali, un cane e un porcospino. Ohshima si trovava nel bel mezzo di un viaggio a New York e decise di trascorrere qualche ora a Central Park, disegnando bozze di quei tre personaggi. Si mise a mostrare i suoi disegni ai passanti, chiedendo cosa ne pensassero, e il più amato fu il porcospino. Il meno apprezzato? Il cane. La leggenda narra che quel sondaggio scientifico fu sentenza.

Ma d’altra parte il porcospino rispondeva a un po’ tutti i requisiti: trascendeva qualsiasi tipo di categorizzazione, era politicamente corretto, andava al di là di etnie, diversità, nazionalità… aveva un appeal universale. Inoltre, era visivamente semplice, con un taglio da cartone animato, facile da disegnare per un bambino. Seguiva, insomma, quell’impostazione un po’ da Topolino che volevano inseguire in Sega. Era riconoscibile e familiare. Partirono quindi da alcuni punti fermi (gli occhi uniti, il colore blu di Sega… ) e proseguirono a svilupparlo, rendendosi velocemente conto che aggiungere dettagli era inutile: serviva un personaggio semplice ed essenziale. Serviva un personaggio che “fosse” Sega, che risultasse riconoscibilissimo e legato indissolubilmente a quel marchio, capace di trasmettere i valori del publisher giapponese, utilizzabile nel marketing, come base per il merchandise. Un peso enorme, da portarsi su quelle piccole spalle acuminate.

I punti fermi attorno a cui venne sviluppato il personaggio furono identificati con tre caratteristiche che ritenevano indissolubilmente legate a Sega: cool, challenger e history. Sonic avrebbe avuto uno spirito da eroe che va contro il sistema, il suo essere cool non si sarebbe limitato all’estetica, doveva integrarsi con la sua personalità. Un eroe che fa ciò che ritiene giusto, senza dare retta agli altri, lottando e facendo qualsiasi cosa per difendere i propri principi. Bisognava riuscire a trasmettere questi concetti attraverso l’estetica, attraverso – per esempio – lo sguardo carismatico di Sonic.

L’elemento “challenger” veniva identificato con quello di una sorta di nuovo Davide, un eroe che avrebbe sfidato avversari più grandi e potenti di lui, bene o male come Sega stava facendo con Nintendo. Per trasmettere questo messaggio, si decise di agganciarsi a un tema molto sentito nei primi anni Novanta, quello ecologico, quindi Sonic divenne l’eroe della lotta contro lo sviluppo scientifico incontrollato, il simbolo dei giovani che volevano rispettare l’ambiente.

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Quanto a “history”, beh, il modello di riferimento erano i personaggi creati da Disney, Marvel, Hanna & Barbera, Sanrio: caratterizzazioni familiari, nostalgiche, ma allo stesso tempo immortali, capaci di durare in eterno. Una parte importante di questa caratterizzazione risiedeva nel background narrativo del personaggio, che nacque da un’ispirazione forse un po’ bizzarra. Sega, all’epoca, importava jukebox e flipper dall’America, paese a cui attingeva quindi spesso per le sue ispirazioni. E Ohshima era appassionatissimo delle giacche di pelle e degli emblemi dei piloti di aerei americani. Questo rapporto stretto con gli USA fece quindi da base per la storia di Sonic e per alcuni elementi di design.

Ohshima scrisse il racconto di un pilota, soprannominato Hedgehog per il suo taglio di capelli particolare, e Sonic era un disegno che decorava la scocca del suo velivolo. Nella storia, il pilota si sposava con un’autrice di libri per bambini, che decideva di scrivere di un porcospino ispirato al marito. E sebbene questa storia sia poi stata abbandonata, alcuni suoi elementi rimangono, per esempio nella particolare schermata del titolo, basata sull’emblema della giacca di quel pilota.

L’idea alla base del progetto Sonic the Hedgehog era chiara: cavalcare la potenza del Mega Drive per mostrare roba impossibile sulle console a 8 bit. L’avanzamento tecnologico permetteva di fare un sacco di cose nuove, in termini di velocità, gestione delle mappe, fluidità, dimensioni degli oggetti in movimento… e le idee venivano gettate sul piatto senza tregua. Uno fra i cardini della differenziazione tra Mario e Sonic, comunque, era nel tipo di approccio alla sfida. Mentre Mario e i suoi imitatori si basavano sulla ripetizione per migliorare la propria abilità, Sonic the Hedgehog venne pensato più come un parco di divertimenti da godersi ed esplorare, con Sonic che ti aiutava a farlo.

Yasuhara ricorda che non c’era un vero e proprio documento di game design, si procedeva a braccio: prendeva appunti, disegnava bozzetti, poi discuteva con il programmatore e il level designer e si definivano look, comportamento e altro. Era un continuo lavoro di sperimentazione su carta, prima di riprodurre poi le animazioni un pixel alla volta, utilizzando una specie di scatolone enorme su cui si “accendeva” ogni singolo “puntino”, controllando i risultati su uno schermo a lato. Ohshima, fra l’altro, confessa che non aveva alcuna esperienza in materia, non aveva studiato per diventare animatore e si era costruito un bagaglio culturale sul tema semplicemente guardando e studiando quantità immani di film e cartoni animati.

“Lavorai un sacco su questa animazione di ballo, ci tenevo tantissimo. Ma non riuscimmo a infilarla nel gioco.”

Chiaramente, il gran successo di Sonic the Hedgehog non venne ottenuto solo grazie al lavoro di Hirokazu Yasuhara e Naoto Ohshima. C’era un team di sviluppo capace di lavorare assieme verso un obiettivo comune nonostante la forza delle personalità coinvolte. Fra di loro si trovava ovviamente anche Yuji Naka, un genio della programmazione con cui Ohshima desiderava da tempo di poter lavorare. La sua presenza fu fondamentale anche per questo, perché catalizzava il talento altrui, spingeva gente di valore a unirsi alla squadra. Inoltre, la sua abilità sembrava non avere limiti e di sicuro lui era convinto di non averne: qualsiasi idea gli si proponesse, rispondeva con un “OK”, ci provava e, tipicamente, ci riusciva. Un grande rimpianto per Sonic CD, ricordano i due, fu non averlo avuto a disposizione per risolvere alcuni problemi. Per esempio, le transizioni fra le epoche vennero appesantite da lunghi caricamenti che, probabilmente, Naka sarebbe stato in grado di evitare.

Ma alla serie di Sonic the Hedgehog lavorarono anche altri nomi importanti. Yasuhara, per esempio, ricorda con grande affetto l’opportunità di collaborare con Mark Cerny, che definisce un “genio venuto da un altro pianeta”. E poi ci fu la collaborazione con Masato Nakamura, che compose le musiche secondo un processo piuttosto bizzarro. Il team lo incontrò solo una volta, dopodiché iniziarono a procedere inviandogli degli screenshot del gioco, da cui lui traeva ispirazione per comporre le musiche, che poi consegnava sotto forma di audiocassette. Il fatto, raccontano i due, è anche che temevano che, vedendo solo il personaggio, Nakamura si sarebbe immaginato un gioco per bambini, mentre l’idea era di raggiungere un pubblico più ampio e variegato, per esempio anche composto da donne adulte. Per questo gli inviavano delle immagini di gioco e lavorarono a lungo per convincerlo che firmare la colonna sonora di Sonic the Hedgehog non avrebbe svilito il suo status di autore.

Nel 1991, finalmente, la guerra tra formati esplose senza pietà. Super Mario World si lanciò sul campo di battaglia con tutto il suo senso di novità, inserito nella confezione della nuova console Nintendo a un prezzo di 199 dollari. Sonic the Hedgehog, viaggiava su un hardware vecchio di due anni ma aveva dalla sua un prezzo migliore, 149 dollari, e una campagna marketing tutta giocata sulla freschezza, sull’essere cool. I risultati diedero ragione a Sega, dimostrando che era possibile affrontare in maniera efficace un avversario teoricamente imbattibile.