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Returnal potrebbe essere l’inizio di una bella amicizia

Prima di premere il tasto “X” sulla dashboard di PlayStation 5 e far partire Returnal ricordo di aver pensato che i roguelite sono un genere di nicchia e che questo, essendo più commerciale nel look e nelle ambizioni, sarebbe stato di certo ammorbidito nelle meccaniche. Venti minuti più tardi, col culo a terra dopo il primo midboss e gli occhi grandi come due piattini da tè, ho capito che mi ero sbagliato. Che anzi, come lo direbbe un Montemagno qualsiasi, il gioco non è solo difficile, è pazzesco.

Andiamo con ordine e partiamo dall’inizio. Dal mio inizio, da quando nell’ottobre 2011 il mio cuore ha trovato l’altra metà della mela in The Binding of Isaac. Da allora, come in un mito greco, ho vagato per anni alla ricerca di un’altra fiamma come quella accesa dal gioco di Edmund McMillen. Non l’ho trovata, ma nel percorso che va da Isaac a Returnal qualche scintilla c’è stata: Rogue Legacy, Dead Cells, Hades, tanto per citarne tre. Ho scoperto che mi piace morire, migliorare, ricominciare da capo e arrivare ogni volta un po’ più lontano. Che è un po’ il meccanismo masochistico alla base di ogni roguelite: ogni volta un pezzettino più in là inseguendo la chimera di una build “rotta” capace di devastare ogni nemico. 

D’altronde è proprio su questo equilibrio precario che si regge il genere, sulla sensazione di essere sopraffatti dal sistema e di riuscire a incastrare una combo tra i potenziamenti abbastanza folle da rompere il loop. Accumulando esperienza nel corso degli ultimi dieci anni, moltissimi concetti tipici del genere sono entrati a far parte del mio modo di vedere il videogioco e di quello di chi ha amato Isaac ed epigoni: il concetto di run, tanto per dirne una, l’assenza di checkpoint, il sistema di salvataggio che ragiona in macro preservando status e bonus permanenti (pochissimi) e quasi mai la partita in corso, l’idea che ogni partita sia diversa dalla precedente grazie alla creazione procedurale del mondo di gioco. Questa è la grammatica dei roguelite. La conosciamo bene. Noi.

Ecco, spazzate via tutto quanto. Perché i miei amici che non giocano agli indie hanno messo gli occhi su Returnal. Ci vuole poco, basta accendere PlayStation 5, spostarsi sulla scheda dello store e te lo ritrovi sbattuto in faccia. Basta fare un giro per i siti specializzati per essere vittime dell’hype che ti approccia col suo impermeabile infeltrito da pervertito pronto ad aprirlo e a mostrarti il batacchio a tradimento. D’altronde si tratta della prima vera esclusiva next gen e come fai a resistere? Inevitabilmente ha generato curiosità anche nei giocatori che di solito non si avvicinano a questo tipo di gioco. Da qui arriva la mia baldanzosa sicurezza prima di avviare il gioco: tanti soldi, tanto marketing, primo capitolo di una nuova IP, sarà sicuramente un roguelite per il grande pubblico. E poi la sorpresa: una grande, gigantesca, cippa. 

Se la narrazione in effetti rispetta i canoni del genere ed è ridotta all’osso con la protagonista intrappolata in un loop che la vede morire e ritentare, in mezzo c’è un sacco di ciccia dura da masticare perfino per chi bazzica l’ambiente. Armi generate casualmente con statistiche generate casualmente e poteri generati casualmente, potenziamenti per la tuta, parassiti che ti conferiscono bonus e malus allo stesso tempo, avarie, manufatti, consumabili, bonus passivi. Il gioco ti lancia in una mappa piena zeppa di possibilità che direzionano la partita in modo anche più spietato di quanto non facciano gli altri roguelite.

Prendiamo appunto il sistema dei parassiti: quando ne trovi uno puoi decidere di raccoglierlo approfittando del bonus ma allo stesso tempo ti becchi anche una bastonata dietro al collo. Aumenti l’integrità della tuta? Fantastico, subirai più danni dai nemici. I mostri ti lasciano più soldi e risorse quando muoiono? Ecco bravo, vai a raccoglierli nella pozza di sangue acido che si lasciano dietro. Esistono moltissime combinazioni che costringono ogni volta il giocatore a prendersi una pausa, fare mente locale con le robe che ha già installato e i rischi che si è già preso e decidere se accollarsi l’ennesimo azzardo. Si tratta di un ulteriore scalino di difficoltà in un sistema già bello infame, che premia il gioco pulito, senza che si subisca alcun danno per stanze e stanze piene di nemici e ti bacchetta le dita quando ti permetti di farti colpire. 

Se questi picchi di sfida non vi hanno già scoraggiati, sappiate che a differenza di tutti gli altri roguelite una run di Returnal è anche dannatamente lunga. Ma lunga, lunga. Solitamente il genere è l’esponente perfetto per le classiche partite “mordi e fuggi” da fare in un’ora. La run tipica di Isaac dura così e anche quella di Hades. Ovviamente posto che riusciate ad arrivare al boss finale e a tirarlo giù. Returnal no, proprio no. Quasi come se ogni bioma, ogni mondo, fosse un roguelite a sé, esplorare la mappa con tutti quei passaggi tipici dei metroidvania vi impiegherà tanto tempo. E non potete salvare la partita, niente pausa, non potete riprendere se dovete scappare perché vi esce la bimba da scuola, se è finita la pausa pranzo e dovete tornare al lavoro, o semplicemente se logga il vostro amico che vi chiede di andare a fare due schioppi a COD. Scordatevelo. A meno che non decidiate di suicidarvi nel gioco e perdere la run in corso. Una scelta estrema, pazzesca come si diceva in apertura. Esistono soluzioni laterali per evitare la soluzione definitiva, come mettere in sleep mode la console e riprendere quando potete, ma anche così quell’amico giocherà a Call of Duty da solo. Sempre poi che gli sviluppatori, a cui state palesemente sulle palle, non decidano di farvi saltare la run attraverso le patch kamikaze come quella della scorsa settimana che vi corrompeva definitivamente i salvataggi del gioco. Esatto: kaboom, motherfuckers. 

E dopo tutto questo penserete: cavolo, Fabio, lo odi proprio ‘sto gioco! Macché, lo adoro, maledizione. Ha quel loop magico da cui non riesci a scollarti. Lo trovo semplicemente irresistibile nel dosare bastone e carota e darti l’illusione di accumulare esperienza come giocatore per spingerti un po’ più in là, partita dopo partita. D’altronde è di questa illusione che sono fatti i roguelite e ad Housemarque hanno spinto il pedale sull'acceleratore in questa direzione per regalarti significative parentesi di onnipotenza, salvo poi sfilartele da sotto i piedi. La sensazione di vuoto che ti prende allo stomaco durante lo scontro uno contro uno con un boss che può annullare le ultime due ore della tua vita è un brivido che solo una formula ben calibrata può regalarti. Ogni tanto sfocia nella frustrazione, lo ammetto, e penso ancora che il sistema di checkpoint e di salvataggi sia estremamente punitivo, ma per me il canto della sirena è irresistibile. Sono Ulisse legato all’albero della nave che godo di non poter raggiungere ciò che bramo. Pensa che scemo.

Tutto questo sproloquio per dirvi che Returnal mette in grossa difficoltà anche un veterano del genere come me, perché prende una formula e la piega alle sue esigenze. Fa cose che nessun roguelite aveva fatto prima, le fa con eleganza e con sprezzo del pericolo. Ergo vi farà incazzare da morire ma non riuscirete a uscire dal loop di “un’altra partita e questa volta arriverò più lontano di prima” che è la benzina di tutti noi masochisti che amiamo Isaac e soci. Per tutti gli altri, per quelli che non sanno in che guaio stanno per cacciarsi, citando un grande film posso dirvi che se tutto va bene potrebbe essere l’inizio di una bella amicizia.