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Resistance - La Seconda Guerra Ucronica | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Era il 1994 quando, nelle librerie statunitensi, fece la sua prima apparizione Invasione anno zero di Harry Turtledove; un romanzo in cui, ricorrendo all’espediente ucronico, una razza aliena dichiara guerra all’umanità mentre questa sta combattendo la Seconda Guerra Mondiale.

Questo romanzo, primo di una notevole tetralogia, poneva il lettore dinanzi a dinamiche e circostanze inusuali e iperboliche: ricordate l’ormai inflazionato esempio degli indios e dei conquistadores? Se sì, sappiate che in questo caso non sarà sufficiente per marcare un divario ben più accentuato.

Parlare di Turtledove e del suo Ciclo dell’invasione è il miglior modo per poter introdurre il topos dell’articolo, perché se c’è un videogioco che più di altri ha riassunto in sostanza ludica gli elementi sopra elencati, quello è proprio Resistance: Fall of Man.

PlayStation 3 era ancora chiusa in sala parto, quando Insomniac Games mostrò Resistance – con il titolo di lavorazione I-8 – all’E3 2005. Il concept gravitava attorno a premesse piuttosto elementari: uno shooter in prima persona ambientato in una Seconda Guerra Mondiale alternativa, ove al posto dei nazisti c’erano gli alieni. Quando poi, l’11 novembre 2006, questo fece la sua apparizione fra la lineup di lancio della console, quello che fu mostrato era qualcosa che esulava dalla banale approssimazione di uno shooter sci-fi in prima persona. Procediamo per gradi.

Il setting che ci viene presentato è innanzitutto da puro manuale ucronico: in un’Europa della prima metà del Novecento, rigorosamente priva di totalitarismi, lo zarismo era riuscito a reprimere il crescente pensiero socialista. Poi qualcosa accadde. Il colosso uralico sigillò tutti i suoi confini terrestri, lasciando spazio a congetture e preoccupazioni su potenziali pianificazioni militari. Niente di più lontano dalla verità: esseri terrificanti, impossibili da razionalizzare, brulicarono in tutt’Europa nel giro di poche settimane. Chimera, così il vecchio continente li ribattezzò; nascosti nelle viscere del gigante dell’est, in attesa della forza sufficiente per poter dichiarare guerra all’umanità. La Gran Bretagna, forte della sua natura insulare, credette di essere stata risparmiata, tuttavia era questione di tempo prima che i Chimera, attraverso un tunnel scavato sotto la Manica, approdassero nella terra di sua maestà. La guerra era persa prima ancora di cominciare.

Comprendiamo quindi che il palcoscenico della nostra storia sarà proprio la Gran Bretagna (con un focus sull’Inghilterra), che solcheremo vestendo i panni del sergente Nathan Hale; eroico soldato americano e indiscusso protagonista dei primi due capitoli del franchise. Ciò che però mi interessa realmente sottolineare è la composizione stilistica che anima il videogioco. L’estetica anni Cinquanta permea ogni singolo fotogramma, pur tuttavia lasciando spazio a quelle naturali componenti ucroniche, essenziali per poter suffragare la mitologia che il gioco ci propone: dai convertiplani a carri armati di concezione ben più contemporanea. Al di là dell’estetica umana, ciò che risalta particolarmente è senz’altro il complesso di estetismi e tecnologie aliene. La dicotomia visiva che questi costituiscono quando vengono mimetizzati nell’urbanistica anni Cinquanta è meravigliosa e altrettanto impattante. Vedere un’Errante (piattaforma d’arma mobile) muoversi fra vecchi duplex e qualche berlina old school offre quel simpatico retrogusto di anacronismo che soltanto l’ucronia può offrire.

Uno Stalker (o Errante).

Alla carabina terrestre M5A2 con un classico corpo in legno d’acero e acciaio, si oppone una vasta gamma di armamenti Chimera decisamente più avveniristici, come il Bullseye MKI o l’Auger, quest’ultimo in dotazione esclusiva alle forze d’élite dell’orda Chimera, le Teste di Cuoio. Ma torniamo a noi. Dov’è la distopia, in tutto ciò? Partiamo dall’assunto che l’ucronia è il più delle volte retroattivamente distopica; ma se è l’estetica catastrofica che cercate, vi basti sapere che oltre a muovere guerra all’umanità, i Chimera parassitano e convertono l’uomo. Cosa compone il loro esercito? Chimera non è soltanto il nome con il quale identifichiamo l’invasore, ma è anche il patogeno che progressivamente muta l’organismo umano in quello alieno. Un processo che culmina con una conversione dai tratti industriali: umani oramai completamente addotti e assemblati all’interno di impianti colossali, strutture che la voce narrante ci tiene a specificare non essere state costruite nell’immediata post invasione, ma disseppellite. Altro segno indistinguibile di una certa fantascienza apocalittica.

Molti fra gli elementi più catastrofici vengono proposti al giocatore a partire prevalentemente da Resistance 2, in cui la scena si sposta negli States; non prima però di aver fatto un salto in Islanda, sede delle SRPA, ricordate? Quei tizi in uniforme nera e maschera antigas muniti, che di tanto in tanto trovavamo cadaveri in giro per l’ambiente?

In Resistance 2 apprendiamo che la guerra con le Chimere si è intensificata. Se in Fall of Man ponevamo fine alle ostilità nel Regno Unito, nel secondo capitolo assistevamo allo sbarco Chimera oltreoceano. Qui la regia post-apocalittica cresce d’intensità, mostrando un territorio stravolto nel profondo, le cui cicatrici di guerra faticano a smettere di sanguinare. Le Chimere applicano la pratica della terra bruciata, distruggendo e quindi uccidendo qualunque cosa e chiunque. Bisogna a questo punto idealizzare l’immagine in prospettiva del mondo nel 1953. Il quadro clinico che ne viene fuori è una versione esacerbata di quella che fu la Seconda Guerra Mondiale. Perché cos’altro vuole parafrasare Resistance se non la mestizia vissuta dall’umanità in quei sei anni di conflitto? D’altronde, fu proprio la Seconda Guerra Mondiale a ridefinire i paradigmi della narrativa catastrofica. La sperimentazione di una guerra molto più grande della precedente, un nemico ideologico e l’introduzione di armi dalla potenza incomparabile. Elementi come questi non fecero altro che corroborare un rinnovato senso di distruzione e catastrofe: non a caso, con l’introduzione dell’era atomica, le riviste pulp del periodo cominciarono a pubblicare storie in cui venivano narrati olocausti radioattivi e amenità varie. Ma torniamo a Resistance.

I primi due capitoli della serie non fecero altro che farci vivere il conflitto come soldati, uomini impegnati in una guerra che, per quanto inumana e poco ortodossa, presentava ugualmente dei tratti convenzionali. Con Resistance 3 cambiò tutto.

Il finale al cardiopalma del precedente capitolo portò a un cambio radicale di registro: via Nathan Hale e dentro Joseph Capelli. Quest’ultimo venne introdotto nel secondo capitolo come membro della stessa squadra di Hale, quella composta da soli individui infettati dal virus Chimera, ma non ancora mutati, alla Blade, “tutte le loro capacità e nessuno dei loro punti deboli”.

Il buon Joseph Capelli, molto italo e molto americano.

Come accennavo qualche riga fa, Resistance 3 cambiò la forma (ma non la sostanza) del franchise, mostrando il volto più desolante e post-apocalittico della serie. Mai come in questo terzo – e alquanto sfortunato – capitolo, il sostantivo “resistenza” assume un valore così esplicativo: niente più eserciti che si oppongono alle Chimere; e per quanto gli sforzi siano stati inumani e nonostante le numerose battaglie vinte, alla fine, la guerra l’hanno vinta loro, gli invasori. Il mondo intero ha apparentemente smesso di combattere, nascondendosi e abbassando la testa nella speranza di non doverla mai più rialzare. Non più una guerra, ma uno sterminio.

I ruderi di una nazione. L’impronta umana sulla terra sta avvizzendosi giorno dopo giorno, sempre più. Le vecchie glorie urbanistiche crollarono sotto il peso del cambiamento apportato dai Chimera. New York City, “la città che non dorme mai”, appare come una gigantesca bara di ghiaccio. Note scritte e articoli di giornale raccontano gli ultimi giorni dell’uomo nella Big Apple. Racconti di disperazione, miseria e dolore, aspetti che appaiono ricorrenti nell’immaginario distopico e che, molto spesso, sembrano avere una funzione ammonitrice.

Resistance 3, come ogni vera grande storia di RESISTENZA (caps lock dovuto), si conclude con una vittoria; la vittoria dell’umanità e per l’umanità. Valori sacrosanti.

Questo articolo fa parte della Cover Story (post)apocalittica, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.