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Acceleratore a manetta ai tempi dell'Amiga

I videogiochi e le automobili sono sempre stati due mondi che si sono cercati e, spesso e volentieri, si sono amati. Non me ne vogliano i fan di Turbo e di Rally-X ma il primo gioco di guida che mi si è stampato a fuoco nel cuore è stato Pole Position (come ho più volte ribadito in questi lidi). E proprio il coloratissimo e velocissimo gioco Namco ha mostrato grazie alla sua magnificenza grafica, che i racing game avevano bisogno di grafica, di fluidità, di una potenza hardware superiore, necessaria a ricreare su schermo l’emozione della velocità.

Ed è proprio per questo motivo che l’avvento dei computer a 16-bit nella fine degli anni Ottanta è stato per i giochi di guida una sorta di salto quantico rispetto ai tentativi fatti su Commodore 64 e simili.

Finalment,e grazie alla potenza grafica e sonora di home computer come Amiga e Atari ST, era possibile vivere a casa emozioni che a volte neanche le sale giochi si potevano permettere, con titoli che sono rimasti leggendari o che addirittura hanno portato fino ad oggi la loro onda lunghissima.

Ci sarebbero decine e decine di giochi da citare, ricordare e osannare, ma visto che come sempre cerco di parlare delle cose che mi hanno colpito, formato, emozionato, e dato che non è il caso di fare un listone lungo come la fame, voglio riportare cinque titoli per Amiga su cui ho passato più ore che un fan dei soulslike su Elden Ring.

Stunt Car Racer

Partiamo da una pietra miliare su Amiga, Stunt Car Racer, capolavoro assoluto del mitico Geoff Crammond, sviluppato da MicroStyle e pubblicato da Microprose nel 1990. Anche se fu poi portato su una sequela di piattaforme infinita (anche ZX Spectrum, incredibile), l'ammiraglia Commodore era la sua casa perfetta. Gioco iper adrenalinico, ci vedeva impegnati in una gara contro un avversario (controllato dal computer) su tracciati che definire folli era poco: in stile ottovolante con salti, paraboliche, discese ripidissime un continuo rischio di disintegrare il nostro mezzo per un atterraggio riuscito male o di finire malamente fuori pista e ovviamente perdere la gara. 

La progressione prevedeva dei campionati in cui si gareggiava su quattro tracciati, se ci si posizionava bene si passava a quello successivo, altrimenti c’era il rischio di tornare alla lega inferiore e rifare tutto da capo. 

Stunt Car Racer era quel genere di gioco che ti lasciava a bocca aperta per la velocità con cui si muoveva, un 3D non ancora maturo ma entusiasmante, una fisica “made in Crammond” che non ti lasciava neanche uno spazietto per un errore. Quante ore ho passato davanti a Stunt Car Racer? Impossibile dirlo, perché non era solo il vincere (le prime volte anche solo finire un giro era una vittoria), ma una volta assimilati i tracciati, si andava per fare il tempone, migliorarsi, per portare quella sorta di dune buggy là dove (forse) non era mai stata.

Gioco immenso, difficilissimo con bestemmie assortite, ma quanta gioia quando si atterrava su tutte le ruote dopo un salto di quaranta metri.

Indianapolis 500: The Simulation

Se Geoff Crammond è stato sicuramente il pioniere dei simulatori di guida “europei” (oltre a Sunt Car Racer, tra i suoi gioielli ci sono REVS e ovviamente il franchise di Formula One Grand Prix con i suoi quattro incredibili capitoli), dall’altra parte dell’oceano non è possibile non citare David Kaemmer e Omar Khudari, fondatori di Payprus, un duo che ha dato luce probabilmente al più incredibile simulatore di auto da corsa mai visto fino ad allora : Indianapolis 500: The Simulation.

Il gioco, uscito nel 1989 su PC e Amiga 500, aveva solo un tracciato, il catino di Indianapolis, ovviamente, ma questa, più che una limitazione, era una feature, perché i programmatori si sono potuti concentrare nel riprodurre i quattro chilometri dell’ovale più famoso del mondo in un modo maniacale. Trentatrè auto in pista, una fisica mai vista fino a quel momento, il primo gioco dove era necessario pensare alla pressione delle gomme, alla campanatura, all’aerodinamica e alle scie, tutto era una enorme e bellissima novità. Ovviamente, essendo un gioco così “duro e puro”, aveva un rovescio della medaglia non indifferente: era impossibile da domare con la tastiera, difficilissimo con il joystick. Anche solo compiere un giro senza andare a muro nelle qualifiche era un’impresa titanica, e questo ovviamente diventava ancora più complesso in gara con altri trentadue avversari.

L’iperferfezionismo simulativo è sempre stato il marchio di fabbrica di Papyrus, Indianapolis 500 è stato solo il primo esempio della passione della società americana che ha riportato la stessa meticolosità anche nei sucessivi giochi dedicati all’intero campionato Indycar e successivamente anche a quello Nascar. 

Una volta terminata l’avventura in Papyrus, David Kaemmer ha deciso di portare avanti la sua passione per le auto con un progetto che gli estimatori dei simulatori sicuramente conoscono. Sto parlando di quell’iRacing che ad oggi è considerato uno dei massimi esponenti del motorsport simulato e a cui per altro giocano varie celebrità, tra cui anche il campione del mondo di F1, Max Verstappen

Test Drive 2: The Duel

Le supercar sono da sempre il sogno di milioni di bambini (che abbiano sette o cinquant’anni, sempre bambini sono) che si immaginano di essere al volante di bolidi da centinaia di cavalli. Gli anni Ottanta sono stati un decennio di sperimentazioni per diversi marchi e hanno visto la genesi di due fra le auto più leggendarie della storia: la Porsche 959 e la Ferrari F40. 

Proprio queste due auto sono le indiscusse protagoniste del secondo capitolo del franchise Test Drive (anche questo arrivato sino ai giorni nostri con fortune alterne), dove scegliendo una delle due, è possibile sfidare l’altra (controllata dal computer) in una gara clandestina su una strada a due corsie aperta al traffico. Ecco, Test Drive 2 è stato il primo gioco che mi ha fatto “sentire” veramente alla guida di un’auto.

La necessità di essere attenti al traffico, calcolare il tempo necessario a chiudere un sorpasso , guardare nello specchietto per capire dove sia l’avversario e, quando accadeva, riuscire a sfuggire alla polizia che ogni tanto partiva all’inseguimento sono tutti aspetti che non si erano mai trovati in un gioco. Fino a quel momento si era sempre parlato di gare,circuiti, qualifiche. Qui, invece, ci si ritrovava ad inchiodare per evitare un frontale, o accelerare disperati sperando di rientrare nella corsia prima dello schianto.

E anche le due auto avevano le loro peculiarità: l’F40 era più veloce ma più difficile da controllare, mentre la 959, con la sua trazione integrale, aveva dalla sua una maneggevolezza migliore a discapito di una velocità di punta inferiore.

Purtroppo, come si accennava prima, negli anni il franchise ha conosciuto vette gradiose ma anche momenti molto difficili. Stiamo ancora aspettando, dopo molti rinivii, il unovo capitolo della serie: Test Drive Unlimited Solar Crown

RVF Honda

Pur non amando particolarmente le moto (sono una persona che vedrebbe anche una gara di carretti a pedali, basta che abbiano quattro ruote, ma mi annoio facilmente anche con le gare più emozionanti della MotoGP), nel corso degli anni non ho disdegnato certo i giochi di guida sulle due ruote, soprattutto in sala giochi, dove SEGA l’ha sempre fatta da padrona con super titoli come Enduro Racer, Hang On e Super Hang On, per arrivare a quel gioiello di ManXTT che poteva sfruttare dei cabinati con riproduzioni reali delle moto: era necessario imparare a piegare sul serio per poter affrontare correttamente i circuiti.

Ma su Amiga, per me, motocicletta era sinonimo di un solo gioco: RVF Honda.

RVF Honda, guardacaso sviluppato da quella MicroStyle responsabile anche di Stunt Car Racer, è una sorta di versione videoludica non ufficiale del campionato Superbike dell’epoca. Otto gare, un campionato: se si arriva primi, si gareggia l’anno dopo con avversari più forti. Tutto qui. Quello che colpiva di questo gioco (che per inciso aveva una visuale dietro la moto in stile Hang On) era innanzitutto l’aspetto grafico curatissimo: scrolling molto fluido, colorato con animazioni che potevano puntare su diversi frame per quanto riguarda le pieghe e gli incidenti.

Poi c’era il piacere della guida, con un impianto che oggi si chiamerebbe “simcade” e che per essere padroneggiato necessitava un po’ di tempo ma dava sicuramente molte soddisfazioni. Anche perché qui non si trattava di superare il numero maggiore di concorrenti, ma era necessario capire come e dove superarli, imparando i tracciati, le curve, e come usare al meglio le marce.

Probabilmente è meno famoso degli altri titoli presenti in questa piccola lista, ma un vero gioiellino che al tempo è stato un titolo che spiccava in mezzo a confersioni da coin-op decisamente poco riuscite

Lotus Esprit Turbo Challenge (1 e 2)

Chiudiamo questo quintetto (che poi, visto che parliamo qui di due titoli, diventa un sestetto) di driving game a me cari con uno dei franchise più importanti su piattaforma Amiga che, partendo da un genere assolutamente in voga al tempo, ne ha creato un’altro. Nella seconda parte degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, sempre grazie a SEGA, bisogna darle atto, i giochi di guida videro un boom enorme. Come Out Run insegnava, l’impostazione più utilizzata al tempo era visuale dietro il veicolo, grande fluidità del paesaggio, tante auto da sorpassare e possibilmente una colonna sonora accattivante.  

Il primo Lotus Esprit Turbo Challenge portò tutte questa caratteristiche in un impianto di gioco diverso dal classico “time attack” tipico di Out Run e soci. Il gioco sviluppato da Magnetic Fields era costruito su un campionato vero e proprio, con la bellezza di tredici circuiti, dove gareggiare non solo contro ben diciannove avversari ma anche con un altro giocatore umano. Infatti, una delle idee vincenti degli sviluppatori era stata di implementare un fantastico split-screen e portare la bagarre della competizione ad un livello decisamente più alto.

Pur trattandosi ovviamente di un titolo di impronta prettamente arcade, era richiesto comunque ai giocatori di essere precisi nella guida e soprattutto tenere sott’occhio il livello di carburante, dato che erano anche presenti i pit stop, che incidevano non poco sull’economia della gara.

Insomma, vero che era possibile scegliere solo un’auto, ma il gioco era talmente bello e piacevolmente divertente che non era certo un problema.

Il seguito, uscito l’anno dopo, era un more of the same molto riuscito, con tre grandi novità: il passaggio a una struttura a checkpoint in stile Out Run, la possibilità finalmente di giocare a schermo intero se si giocava da soli (nel primo lo split-screen era sempre presente, anche in solitaria), e l’introduzione della scelta dell’auto tra una Esprit e una meno famosa ma più esotica Elan. 

Non c’è bisogno di dire che i momenti più alti si raggiungevano proprio giocando con un amico dove la chiusura improvvisa, il sorpasso all’ultima curva o un’ostruzione un po’ sopra le righe potevano degenerare, come nelle migliori partite a Mario Kart, in violente e furiose discussioni.

Certo, vedere che un titolo del genere di trenta e passa anni fa ha una modalità due giocatori in locale eccellente ancora oggi, mentre il nuovo Forza Motorsport non l’ha più presa in considerazione “per motivi di tempo”, fa un po’ male, bisogna ammetterlo.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.