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Proteus e la corazzata Potëmkin

Al primo avvio di Proteus vengo accolto da una schermata minimale, con musica ambient e un'inconfondibile estetica retro, in bassissima risoluzione, con una palette ridotta all'osso. Non ci sono opzioni, menu, tutorial o introduzioni di sorta; solo una scritta che ti dice di afferrare un controller analogico o di affidarti al caro vecchio WASD. Basta. Incuriosito, clicco con fiducia, soffermandomi sul raffinato dettaglio della schermata di caricamento, che muove le lettere della scritta “Proteus” in accordo con gli spostamenti del mouse. Poi il gioco parte, con tutto il suo carico di colori e emozioni, e io sono colto da un'epifania. Sto giocando all'equivalente videoludico di un film cecoslovacco. “Ma ha i sottotitoli in tedesco,” cerca di giustificare una vocina nella mia testa. Eppure l'epifania non sbaglia: quando mi balocco con roba come Proteus sono un hipster, una creatura da cineforum anni '70, un intellettualoide artistoide outcastoide che gode come una mangusta quando si interfaccia con prodotti strani, ricercati, raffinati. Giochi (o in alcuni casi “non giochi”) che vanno nella direzione opposta dei Call of Duty, dei film dei Vanzina, e che cercano di comunicare a un pubblico più sensibile ed educato, che si diverte di più con un po' di cibo per il cervello che non con l'ennesima sparatoria su binari. E vi dirò, in alcuni momenti la consapevolezza di far parte di questo pubblico illuminato mi lusinga. Notare e apprezzare dettagli come gli stivali dei soldati e la ruota della carrozzina appaga il mio senso critico, mi fa riflettere sui massimi sistemi della mia passione, ispira conversazioni dotte con i miei illustri (lol) colleghi. Come in Fantozzi, però, il confine tra ricchezza culturale e sega mentale è pericolosamente sottile, e il rischio di passare per dei vecchi tromboni che si prendono bene per robaccia noiosa è sempre in agguato. Proteus è raffinato, intrigante, fuori dagli schemi, ma la vera domanda è: “è una cagata pazzesca?”

Proteus

Gli sviluppatori (e uso il plurale perché sono due), lo definiscono così: “Proteus è un gioco di pura esplorazione e scoperta, sviluppato da Ed Key, con una colonna sonora ambient reattiva composta da David Kanaga.” E ora, per la serie Parla come mangi, ecco a voi la traduzione dall'hipsterese all'italiano: “Proteus è una specie di gioco dove puoi solo andare in giro a caso, senza fare niente, e ogni tanto succedono cose. Ah, c'è anche una musica tranquillona, roba da islandesi, con degli effetti sonori dinamici.” La partita inizia in un mare pixelloso, con un sentore di Minecraft e un'isola in lontananza. L'unico modo per interagire con questo mondo digitale è muoversi, come in uno sparatutto in soggettiva, con l'importante differenza che non si spara, non si corre e non si usano oggetti. Non si fa niente, se non andare in giro a scoprire la bizzarra estetica del paesaggio, generata proceduralmente prima di ogni partita. Di tanto in tanto, camminando, ci si imbatte in qualche buffa creatura, come dei coniglietti che producono un musicale “boing” ogni volta che saltano, o si trovano luoghi surreali e affascinanti: montagne coronate da sinistri totem, radure con distese di lapidi senza nome e robe scimmiate assortite. Il tutto è renderizzato con una grafica in bassa risoluzione, volutamente cubettosa e stilizzata, con scelte cromatiche ardite e qualche deliziosa sorpresa. È uno stile inusuale, ma al tempo stesso coerente, che continua a regalare sorprese per tutta la partita.

Proteus

Il primissimo impatto, dunque, è stato di stupore totale. Nonostante le possibilità di gioco siano ridotte all'osso, l'istinto è quello di andare in giro, di esplorare, di scoprire. Si capisce subito che non c'è niente di particolare da fare, ma questo mondo pixelloso è così bello che andarci a zonzo è più che sufficiente. Dopo i primi cinque minuti, però, ho iniziato a temere le seghe mentali di cui sopra. Questo Proteus è proprio bello, sì, ma mi verrà voglia di giocarci per più di dieci minuti, superato lo sfizio iniziale? E soprattutto, se gli sviluppatori non mi avessero cortesemente omaggiato del codice, mi girerebbero le palle a elica per avere speso dieci dollari in un simulatore di solitudine? Pensavo, pensavo, pensavo. E poi, proprio mentre stavo per premere ESC, sono successe cose. Non ve le descrivo, anche perché sarebbe uno spoiler di quelli brutti, ma posso dirvi l'effetto che hanno avuto. Mi hanno incollato al monitor per una quantità di tempo non meglio precisata, con la bocca aperta, in contemplazione. È passata un'ora? Due ore? Tre? Non ne ho idea. So solo che la birra che mi ero aperto era calda e sgasata. Chiariamoci: Proteus mi ha preso così tanto che ho lasciato a metà un'ottima birra artigianale. A cosa ho giocato? Anzi, ho giocato? La risposta è che non lo so, e onestamente non mi importa. Proteus è tante cose, ma di certo non è una cagata pazzesca.

Proteus

Il modo più azzeccato per definire l'esperienza non è gioco, avventura o simulatore. Secondo me Proteus è un disco musicale interattivo, nel quale le note si fondono con la grafica, creando atmosfere che cambiano a seconda della zona dell'isola (un po' come quando si cambia pista su un vinile), ma con delle raffinate transizioni. Le azioni si concretizzano in nuovi layer di sintetizzatori e percussioni, gli eventi si trasformano in effetti sonori e in variazioni sui temi. È come trovarsi dentro un disco dei Sigur Ros o dei Mùm, con composizioni eteree, ultraterrene, rilassanti. È una questione di gusti, chiaramente, ma personalmente trovo che il lavoro svolto dal baldo David Kanaga sia di primissima qualità, sia per le sonorità, sia per l'implementazione degli elementi dinamici. Se i vostri ascolti bazzicano dalle parti del post rock o dell'elettronica in stile Autechre, Proteus sarà un gioco da avere a tutti i costi, anche se verrà a costare un po' più della media indie: dieci dollari non sono pochissimi, ma prenotandolo adesso ve lo potete portare a casa per qualcosa di meno. Oppure, volendo, se siete collezionisti nell'anima e volete “un vinile” del vostro download, con la modica somma di quaranta verdoni vi portate a casa un pacchettone fisico con gioco, scatola, artwork, build sperimentali e regalini assortiti, che vi faranno fare un figurone con i vostri amici hipster, giù al cineforum.

Se vi siete incuriositi, segnaliamo che cliccando qui potete leggere la nostra intervista a Ed Key e David Kanaga, mentre cliccando qua potete andare a curiosare sul sito del gioco.