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Post Mortem #5 - Fallout: come tutto ebbe inizio

Una rubrica in cui vi raccontiamo i post mortem dei principali videogiochi, vale a dire le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, su cosa abbia funzionato e cosa no durante il lungo processo che porta alla nascita di un videogioco.

Quando, lo scorso marzo, mi sono infilato nella sala della Game Developers Conference che avrebbe ospitato il post mortem classico dedicato al Fallout originale, ero piuttosto emozionato. Perché si tratta di uno fra i miei giochi preferiti di sempre, ma anche perché avevo da poco finito di giocare il secondo episodio e nella mia testolina era quindi fresco il modo in cui quei due GdR di quell'epoca lì erano riusciti a fare cose avanti nei tempi di svariati anni e che per certi versi rimpiango ancora oggi. Quando poi, una volta entrato e seduto, mi sono reso conto che davanti ai miei occhi campeggiava un'enorme illustrazione originale e nelle orecchie mi frullava, sparata dagli altoparlanti, una delle musichette vintage che componevano la colonna sonora del gioco, beh, ho avuto un mezzo svenimento. Poi, per fortuna, Timothy Cain ha avviato il suo racconto.

Lo sviluppo di Fallout ha avuto inizio nel 1994, lo stesso anno di Friends (Phoebe il personaggio preferito da Cain), e si è concluso tre anni dopo, con il gioco che si è ritrovato quindi ad affrontare la concorrenza sugli scaffali di roba del calibro di Total Annihilation, Quake II e Ultima Online. Realizzato da un team di trenta persone, con un budget mai precisamente definito ma che secondo Cain si aggirava sui tre milioni di dollari, per gli standard di Interplay era un gioco abbastanza particolare, soprattutto perché non basato su una licenza. A conti fatti, se Fallout finì per vedere la luce, fu soprattutto grazie all'insistenza di Tim Cain, che ci credeva tantissimo e voleva realizzarlo. Non a caso, nel corso dello sviluppo, per ben due volte si rischiò la cancellazione del progetto. Ma come spesso accade, è proprio dalla testa dura di chi crede in quel che fa che nascono i capolavori.

Fra le influenze citate da Cain, anche Crusader: No Remorse, uscito a sviluppo già avviato.

Il team responsabile di Fallout, spiega Cain, era formato da gente che assorbiva ed elaborava spunti e idee da qualsiasi fonte possibile e immaginabile, si trattasse di videogiochi, GdR, libri, film. L'ispirazione videoludica arrivava da diverse fonti, per esempio la serie di Ultima. Cain ancora ricorda la sensazione, davanti a Ultima III, che quello fosse il modo giusto per realizzare un gioco di ruolo. Ma se l'ìdea iniziale per Fallout traeva grande ispirazione anche da X-Com, soprattutto prima che entrasse in gioco l'utilizzo della licenza del GdR GURPS, tutto cambiò quando venne messo davanti a Tim Cain Wasteland. Il seminale videogioco di Brian Fargo, che presto godrà di un seguito grazie a Kickstarter, fulminò la mente del programmatore. Così doveva essere realizzato un Gioco di Ruolo, all'insegna della piena libertà, sfuggendo alla stretta moralità che ormai veniva proposta dagli Ultima. Fallout, insomma, sarebbe dovuto essere un successore spirituale di Wasteland.

Chiaramente le fonti d'ispirazione andarono ben al di là del solo mondo dei videogiochi. Dal punto di vista del giocare di ruolo, GURPS rappresentò una grande influenza, dato che inizialmente, e per i primi due anni di sviluppo, Fallout venne pensato per basarsi sulla licenza ufficiale. Ma ebbero una forte influenza anche il wargame Wiz-War e il GdR Gamma World, che Tim Cain definisce come non molto bilanciato ma spettacolare per ambientazione e idee. E poi ancora libri come A Canticle For Leibowitz di Walter M. Miller Jr. e Io sono leggenda di Richard Matheson, e un sacco di cinema. Da Mad Max a The Day After, passando per La città dei bambini perduti (film adorato dai grafici che lavorarono su Fallout) e, ovviamente, la pesante ispirazione alla tecnologia "vecchio stile" di pellicole come Il pianeta proibito. Tutto doveva avere uno stile retrò, in Fallout non c'era spazio per Terminator, ci voleva Robby il robot.

L'influenza di Mad Max su Fallout si percepisce vagamente da questa fotografia.

Il primo anno di sviluppo fu una vera sfida. Sei mesi di lavoro del solo Tim Cain, poi sei mesi con "addirittura" uno scripter e un grafico a dargli una mano. Poi, però, Cain riuscì a trovare i margini per assemblare un team all'interno di Interplay, raggiungendo addirittura quota quindici persone per il secondo anno di sviluppo e assicurandosi il talento di Chris Taylor, in precedenza al lavoro sull'ottimo Stonekeep. Il terzo anno, al lavoro su Fallout c'erano trenta persone, anche se la vera e propria Black Isle venne ufficialmente creata nel corso degli ultimi sei mesi. Il gioco, nel 1994, era ancora un prototipo assolutamente rozzo, assemblato con un patchwork di elementi grafici pescati dalle fonti più disparate (e che, attenzione, si trova nella cartella extra del CD originale). Stanti anche le condizioni di sviluppo, non era semplice spiegare ai nuovi assunti o al reparto marketing in cosa consistesse il progetto.

Provateci voi a convincere qualcuno con un prototipo del genere.

A convincere l'amministrazione che i lavori potevano proseguire, però, ci pensò Chris Taylor, con un documento che descriveva la visione alla base del gioco in quindici punti. Il primo parlava di "livelli mega di violenza". E un punto fondamentale, ovviamente, era "gioca come vuoi". Chiaramente, le idee che Cain voleva portare avanti rappresentavano una sfida di design non da poco. E in più c'era anche da definire l'ambientazione nei dettagli. La scelta di non salire sul carro di Dungeons & Dragons e delle sue mille imitazioni, per il semplice fatto che "lo facevano tutti", fu una scelta saggia per diversi motivi, non ultimo il fatto che, dice Cain, salvò il progetto dalla cancellazione. E nelle prime fasi di sviluppo vennero gettati sul piatto gli spunti narrativi di partenza più folli: un balzo nel tempo per uccidere la scimmia che si evolverà nella razza umana, un viaggio spaziale per incontrare i dinosauri su un altro pianeta, un'invasione aliena. L'idea dell'invasione aliena, che a Cain, fan di X-Com, piaceva molto, prevedeva che gli invasori conquistassero l'intero pianeta tranne una singola città, da cui sarebbe iniziata l'avventura dell'eroe. E questo concetto ha finito per sopravvivere in Fallout, con il protagonista che abbandona il suo villaggio natale per darsi all'avventura.

Il "vision statement" di Chris Taylor. Per qualche tempo si valutò anche la possibilità di realizzare un vero e proprio Wasteland 2, acquistandone la licenza.

Il successo nella creazione di uno tra i più bei GdR della storia, ovviamente, è figlio anche dell'amore e dell'impegno profuso dai suoi sviluppatori. C'erano persone che lavoravano dalle dodici alle quattordici ore al giorno e che, nei sei mesi di "crunch finale perenne", se ne restavano in ufficio nel weekend e lo facevano a titolo gratuito, nonostante da contratto potessero chiedere stipendio doppio. Eppure, come detto, il gioco rischiò la cancellazione. A fine 1994, Interplay acquistò la licenza di Forgotten Realms e Planescape e i boss valutarono di porre fine al progetto di Tim Cain, considerato un gioco di serie B il cui team, al termine dei lavori, sarebbe dovuto essere smantellato e riciclato su altri progetti. Interplay cominciò a temere che Fallout avrebbe fatto concorrenza ad altri loro giochi più importanti. In questo momento decisivo, Tim Cain arrivò a pregare Brian Fargo di non bloccare tutto, mostrò un prototipo, cercò di spiegare le proprie idee... ed ebbe successo.

Tutti volevano infilare citazioni delle loro opere preferite.

E allora lo sviluppo andò avanti, fra problemi, soluzioni, idee geniali, trovate bizzarre. Il sistema di movimento a esagoni, per esempio, venne utilizzato perché permetteva di risparmiare risorse nella gestione degli ambienti, nelle rotazioni, nel calcolo delle distanze, anche se complicava il movimento dei personaggi in verticale. Il timer, che poneva un limite di tempo entro cui salvare il villaggio del protagonista, venne inserito per aumentare il senso d'urgenza, ma era un'idea controversa, molto discussa, e alla fine venne eliminato con la prima patch. Le mille citazioni sparse nel gioco venivano dalle fonti più disparate: il perk Slayer venne inserito perché Brian Fargo era un fan di Buffy l'ammazzavampiri, mentre il gizmo, che molti pensano essere un riferimento a Gremlins, era in realtà un inside joke legato al team. In generale, il criterio utilizzato per accontentare tutti quelli che volevano inserire citazioni fu piuttosto semplice ed efficace: non devono dare fastidio, ti devi accorgere della loro presenza solo se conosci quel che viene citato.

E poi ancora i nomi. Il titolo del gioco arrivò dalla capoccia di Brian Fargo. Inizialmente si pensava a Vault 13, ma poi, Fargo, dopo aver giocato a un prototipo per un intero weekend, suggerì Fallout. La sigla SPECIAL (Strength, Perception, Endurance, Charisma, Intelligence, Agility and Luck) per indicare il sistema di skill fu invece proposta da Jason Suinn. All'inizio avevano pensato ad ACELIPS, ma forse non era il caso.

1996: esce Diablo ed è subito dramma. 

Nel 1996 spuntò sul mercato un gioco che si rivelò gran spina nel fianco per il povero Tim Cain: Diablo. Improvvisamente la dirigenza di Interplay voleva che Fallout sfruttasse un sistema di combattimento in tempo reale e supportasse il multiplayer. Cain oppose fiera resistenza, dopo tre anni di lavoro non era concepibile buttare via tutto, ma la richiesta finì per rallentare enormemente i lavori. Del resto era un periodo di forti cambiamenti nel settore dei videogiochi e, per esempio, per un certo periodo si valutò la possibilità di passare a un motore grafico tridimensionale. E poi il dramma di Windows 95. Interplay voleva poter mettere sulla confezione il logo del nuovo sistema operativo Microsoft, ma Fallout non centrò il processo di certificazione perché funzionava anche su Windows NT. Esatto, perché funzionava: le specifiche di Windows 95 richiedevano che il software non funzionasse, ma "con eleganza", su NT. E allora Cain modificò il file d'installazione per rispettare la richiesta, anche se in realtà il gioco poteva ancora essere installato a mano su NT e, per inciso, questo è il motivo per cui è ancora possibile giocare abbastanza tranquillamente a Fallout su sistemi operativi nati in seguito e basati proprio su NT.

Feature fortemente volute che probabilmente hanno usato in quattro: i salvataggi erano compatibili fra le versioni Mac e PC.

Un grosso problema, e un grosso rischio di vedere cancellato il progetto, emerse quando improvvisamente non fu più possibile utilizzare il sistema di GURPS nel gioco, perché la violenza di Fallout non era considerata adatta alla licenza. A quel punto, improvvisamente, Cain si trovò davanti a un baratro: Interplay voleva chiudere tutto e dirottare il team sui lavori di Planescape: Torment. Ma Cain non si diede per vinto, eliminò ogni traccia di GURPS e riscrisse da zero l'intero sistema di combattimento in due settimane. Due settimane. Cioè, ci capiamo? Il sistema di gioco, di statistiche, praticamente tutto ciò che "muove" Fallout, tranne i perk, è stato creato in due settimane. Roba da matti.

Con il gioco sostanzialmente pronto, c'erano ovviamente altre faccende a cui pensare. Per esempio, non fu possibile ottenere un rating T, dato che il gioco era pieno di violenza (e prostitute), e si puntò su M. Il fatto che il gioco permetteva di uccidere bambini, situazione un po' controversa, venne presentato in maniera più accettabile facendo in modo che quel genere di uccisioni generassero un crollo verticale nel karma, con cittadini che finivano per spararti a vista. Il problema è che era troppo facile farli fuori per sbaglio quando si sparava una raffica, e infatti i bambini vennero rimossi dalla versione europea del gioco, dato che dalle nostre parti i rating erano più fiscali in termini di violenza ("Negli USA, invece, puoi mettere tutta la violenza che vuoi, basta che non ci siano nudità").

Un giorno Brian Fargo disse che voleva vedere nel gioco più skill e in una maniera diversa rispetto a semplici upgrade. Due giorni dopo, Chris Taylor si era già inventato il sistema dei perk.

Finalmente, il 21 novembre 1997, Fallout esce nei negozi. E si presenta al mondo come un titolo strepitoso, figlio di uno sviluppo molto rischioso, ma che pagò ottimi dividendi. Il gioco di Timothy Cain proponeva un "open world" anni prima che il termine sandbox finisse sulla bocca di tutti, senza alcuna restrizione di sorta, con solo i pericoli che lo popolavano a limitare il movimento del giocatore. Un sistema di combattimento molto raffinato, basato sulla possibilità di "mirare" parti specifiche del corpo degli avversari, con rischi e conseguenze di vario tipo, perfettamente integrate nell'immaginario da humour nero del gioco. Una storia non lineare, che si svelava piano piano e che proponeva tonnellate di soluzioni diverse e possibilità, che ti permetteva di sparare, parlare, lettera, testamento, rubare, usare un approccio stealth che non fosse solo limitato al muoversi nell'ombra, che creava un mondo organico e articolato e non una serie di bivi narrativi circondati da colori ed effetti speciali. Un sistema che tracciava il tuo comportamento andando a generare tanti possibili finali, alcuni talmente negativi da farti sentire in colpa e spingerti a rigiocare tutto da capo. Nessun limite di moralità, anzi, una totale apertura alle possibilità di comportamento del giocatore, che poteva agire come meglio credeva e proseguire nella propria vita virtuale affrontando le conseguenze delle proprie azioni. Un gioco capace di influenzare una marea di cose che sarebbero venute poi (Cain cita la terza edizione di Dungeons & Dragons, World of Warcraft, Oblivion e Skyrim). Un capolavoro senza tempo. Punto e basta.