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Maggio 1980: Rogue e Pac-Man, proprio un mese da nulla | Old!

Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".

Maggio del 1980 è il mese in cui i mainframe delle università americane, a cominciare da quelli californiani, iniziano ad ospitare Rogue, il gioco seminale ispirato a Dungeons & Dragons con cui Glenn Wichman e Michael Toy costruiranno un'eredità ben più longeva di quanto possano immaginare. Nel gioco si controlla il classico avventuriero che deve esplorare un dungeon alla ricerca di un amuleto ma le caratteristiche innovative sono numerose: movimento a caselle, azioni sancite dai turni, permadeath e e generazione procedurale dei dungeon. Non tutte queste funzionalità si vedono per la prima volta in Rogue ma è il mix a risultare eccellente e generare, nella sostanza, quasi un nuovo genere. E insomma, non credo di dover spiegare quanto e come queste cose godranno di popolarità nei decenni a seguire. La versione originale di Rogue ha un impianto grafico molto spartano, con simboli ASCII utilizzati per rappresentare i vari elementi (il giocatore è una @), ma questo non le impedisce di riscuotere un grande successo e diventare un gioco di culto, tant'è che ne nasceranno diverse imitazioni piuttosto popolari, per esempio Moria e Hack, e otto anni dopo verrà portato da Mastertronic sui vari computer a 8 bit. Ma la vera eredità del gioco, a decenni di distanza, va da sé, è il genere/filone dei roguelike.

Contemporaneamente, in sala giochi esce la solita pattuglia di sparatutto più o meno ispirati a Space Invaders e più o meno di successo. Stratovox, noto in Giappone come Speak and Rescue, viene pubblicato da Taito e sviluppato da Sun Electronics (che poi cambierà nome in Sun Corporation e quindi in Sunsoft) e nella sostanza non è un gioco particolarmente originale o innovativo, anche se ha dalla sua il fatto di essere il primo videogioco a poter vantare l'utilizzo della sintesi vocale. Mentre si gioca, quindi, si viene inondati da richieste d'aiuto da parte degli umani da salvare e da valutazioni di vario tipo.

Sega ci prova con la doppietta, spedendo in sala giochi Invinco e Deep Scan, infilandoci la trovata di proporli sia separati che "allegati" nello stesso cabinato. Invinco è l'ennesimo clone spudorato di Space Invaders, che prova a cambiare un pochino le carte in tavola assegnando comportamenti diversi alle varie file di alieni da abbattere. Deep Scan, invece, recupera una tradizione portata avanti da Sega e Gremlin Industries fin dal 1977, coi vari Depthcharge e Depthbomb: il simulatore di sottomarino in cui bisogna bombardare i nemici mentre se ne schivano i siluri. Moderatamente divertente, al gioco bisogna riconoscere di aver anticipato l'utilizzo di un radar nella parte bassa dello schermo, che avremmo ritrovato un paio d’anni dopo in Defender.

Più interessante, anche se non proprio riuscitissimo, è Mad Alien di Data East, che infila a calci un clone di Space Invaders in un gioco di guida con visuale dall'alto: si sfreccia lungo una strada che viene ripetutamente assalita da alieni e sta a noi fare piazza pulita. Lo si ricorda, però, più per l'idea bizzarra che per altro.

Ma chiaramente, la bomba termonucleare del mese è Pac-Man, che finalmente, dopo essere stato in sviluppo dal 1979, arriva a conquistarsi il suo status di icona dirompente, forte del suo totale portato innovativo, all'interno di un settore dominato, come detto, dai cloni di Space Invaders. Pubblicato in Giappone da Namco come Puck-Man, ottiene il suo nome definitivo quando Midway lo porta in America, perché l'assonanza con quell'altra parola che inizia per effe preoccupa un po'. Inizialmente, il gioco di Toru Iwatani fatica a scalfire il dominio degli alieni di Taito ma l’uscita americana gli spalanca definitivamente le porte della popolarità e tanto il protagonista quanto i fantasmi diventano sostanzialmente delle figure pubbliche amate da grandi e piccini. Il fenomeno targato Namco dimostrerà che, nonostante il “dominio alieno”, è ancora possibile avere un successo enorme con giochi non violenti, accalappierà un pubblico femminile fino a quel momento abbastanza inesplorato, renderà popolarissimo il genere dei labirinti a schermata fissa e, grazie al successo del suo merchandise, spingerà i vari produttori di videogiochi a investire sulla creazione di mascotte. Sarà, per altro, il gioco arcade più remunerativo della storia.