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Pac-Man è il simbolo più cristallino dei videogiochi, anche dopo quarant'anni | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Il mondo dei videogiochi ha molte icone, alcune più famose, altre meno. C’è Super Mario che è sicuramente conosciuto universalmente, soprattutto dai più piccoli, c’è Kratos, idolo di chi ha una PlayStation ed è in una fascia d’età un po’ maggiore, e ci sono anche brand come Doom e GTA, che sono riconoscibilissimi anche in mezzo ad altri mille loghi. Ma c’è un personaggio che è anche un simbolo se vogliamo,  che è veramente conosciuto da praticamente tutti, videogiocatori e non, in maniera trasversale, Pac-Man.

Le ormai leggendarie origini della sfera gialla golosa di pillole (che, detta così, fa molto trip allucinogeno) sono note a molti, ma è sempre divertente ricordare come un fenomeno di massa di queste proporzioni sia nato quasi per caso. Si narra che (anche se non fosse vero, ormai è talmente radicato nell’immaginario comune che lo è diventato) durante una cena con amici, Toru Iwatani, allora già in forze a Namco, dopo aver tagliato una fetta della sua pizza, abbia avuto un’illuminazione: quella forma che, senza lo spicchio tolto, sembrava una sorta di bocca con intorno un cerchio fu l’idea fondante di Pac-Man.

Era il marzo del 1979 e poco più di un anno dopo, nel maggio 1980, il mondo non fu più lo stesso: il simpatico essere giallo iniziò a conquistare sale giochi, bar, ritrovi per ragazzi, grazie anche al fatto che si discostava decisamente dal classico videogioco in cui bisognava distruggere cose (Space Invaders era del 1978, Asteroids e Galaxian del 1979, giusto per citare i pesi massimi di allora). Questo, all’inizio, non gli diede i favori di alcuni analisti ma il gioco si dimostrò invece sin da subito un successo commerciale pazzesco.

Pac-Man è stato al tempo un gioco popolarissimo anche presso il pubblico femminile; non a caso, infatti, l’anno dopo vedrà la luce Ms. Pac-Man, uno fra i primissimi titoli ad avere una protagonista di sesso femminile.

Altra vicenda abbastanza nota è che il nome originale del gioco doveva essere Puck-Man, tratto dall’idioma giapponese “pakupaku”, forma onomatopeica del suono che fa la bocca aprendosi in maniera molto ampia e rinchiudendosi di colpo. Come è facile immaginare, la parte iniziale del nome Puck-Man era troppo simile alla parolaccia che inizia per F in inglese, quindi Namco decise di cambiare il titolo in un molto più tranquillo Pac-Man.

Il gioco di Iwatani, che a una prima vista, rispetto ai titoli del tempo, sembra molto semplice e abbordabile, in realtà nasconde una serie di meccaniche decisamente più complesse. Se ne accorsero anche gli sviluppatori, quando notarono che i giocatori assimilavano gli schemi che i quattro fantasmi utilizzavano per andare in giro per il labirinto dando la caccia a Pac-Man. 

Questa scoperta rese il gioco molto più semplice per chi sapeva e allora gli sviluppatori resero le traiettorie dei quattro fantasmi meno prevedibili, in modo da rendere ogni singola partita una sfida più interessante per chi metteva la monetina nel cabinato.

In realtà, i quattro nemici non sono uguali, ma si comportano ognuno in maniera specifica. Blinky, per esempio, è quello più diretto, che insegue il suo nemico giallo quasi senza sosta, mentre Clyde ha un comportamento molto più casuale, in modo da disorientare il giocatore. Il fatto che i quattro fantasmi abbiano regole di comportamento diverse rende il gioco molto più complesso, interessante e anche avvincente. 

Personalmente non ricordo se Pac-Man sia stato veramente il primo gioco in cui ho messo una monetina, ma sicuramente, insieme a Pole Position e Galaga negli anni successivi, è stato uno fra i titoli che hanno fatto pensare ai miei genitori che i videogiochi potevano essere un buco nero per le spese di famiglia.

La cosa che però stupisce veramente è come questa icona videludica sia arrivata ai giorni nostri in una forma a dir poco strepitosa. L’attenzione che Namco (ora Bandai Namco) ha dato alla sua gallina dalle uova d’oro degli anni Ottanta è stata quasi commovente, con decine di titoli anche molto diversi tra loro (basti pensare a Pac-Mania o Pac-Land, per arrivare a strepitose perle come Pac-Man Championship Edition DX+ o Pac-Man 256 per dispositivi mobili, che rielabora il glitch che colpiva il 256esimo livello del gioco originale facendolo diventare una sorta di endless runner, sempre con il nostro simpatico protagonista alla caccia di pillole colorate.

E poi c’è ovviamente di tutto il merchandise che il franchise di Pac-Man è stato in grado di generare in questi decenni: oltre che l’oggettistica varia, tra magliette, tazze, zaini etc… parliamo anche di serie animate, non sempre riuscitissime, ma comunque quasi impossibili da immaginare, pensando a una sfera che inghiotte puntini gialli

Sono passati quarant’anni, da quel maggio del 1982, ed è stato pubblicato un numero praticamente  infinito di videogiochi. Alcuni hanno avuto successo e sono rimasti nella storia e nel cuore degli appassionati, mentre altri sono caduti nel dimenticatoio forse troppo in fretta, ma di sicuro, quel personaggio giallo nato da una cena in pizzeria rimane ancora oggi il simbolo più immediato e semplice quando si pensa ai videogiochi.

E pensandoci bene, è giusto così.

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