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Old! #58 – Aprile 1984

Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".

Il 2 aprile del 1984 esce nei negozi uno storico gioco per ZX Spectrum: Jet Set Willy. Seguito di Manic Miner e, come il precedente, creato da Matthew Smith, viene ancora oggi considerato una pietra miliare per lo sviluppo del genere dei giochi di piattaforme su computer, anche se chiaramente, all'occhio moderno, risulta molto semplice. Il protagonista, Willy, deve zompettare fra una stanza e l'altra collezionando oggetti ed esplorando a piacere la magione in cui è ambientato il gioco, uno fra i primi del genere a offrire uno sviluppo non lineare. La mappa generale è composta da sessantuno schermate – non c'è scrolling – e, ovviamente, una valanga di nemici, ostacoli e pericoli assortiti.

Cliccate e gustatevi questa delizia in tutto il suo splendore.

Fra gli elementi che ne definiscono la personalità tutta bizzarra c'è la scelta musicale: la schermata del titolo offre una versione riprodotta dai chip dello ZX Spectrum della Sonata per pianoforte no.14 di Ludwig van Beethoven, mentre durante le fasi di gioco si ascolta una riproduzione della canzone If I Were a Rich Man, tratta da un popolare musical degli anni Sessanta. Clamoroso successo per gli standard dell'epoca e ritenuto fra i migliori giochi della storia dai fan del computer coi tastini di gomma, Jet Set Willy è anche una testimonianza, una fra le tante, del fatto che i giochi sono sempre stati pubblicati pieni di bug e i publisher hanno sempre fatto i finti tonti: Software Project, sommersa di proteste per alcuni problemi, inizialmente cerca di farli passare per caratteristiche del gioco, finalizzate a renderlo più difficile, ma poi si trova costretta a porre rimedio con i (limitati) mezzi dell'epoca.

Ma oltre che per le sue qualità in quanto videogioco, Jet Set Willy viene ricordato anche per essere uno fra i primi videogiochi a proporre sistemi di protezione dalla pirateria (non ci voleva certo un genio a duplicare un'audiocassetta), nello specifico sotto forma di una scheda con centottanta codici colorati che venivano richiesti all'avvio. Ovviamente, girare attorno alla protezione è comunque possibile, per quanto barboso, e addirittura, a ricordarci la maniera diversa in cui veniva un tempo vista la pirateria, una rivista specializzata britannica pubblicherà un metodo per farlo. Ma i motivi di curiosità non finiscono qui: Jet Set Willy godrà anche della pubblicazione di svariati editor realizzati da altri sviluppatori, che permetteranno ai fan di creare le proprie versioni modificate del gioco. La cosa avrà talmente seguito che di recente è spuntato perfino un editor funzionante sotto Windows.

Il 6 aprile si manifesta invece Codename MAT, sempre per ZX Spectrum, creato da Derek Brewster sfruttando un motore grafico tridimensionale da lui creato e “pesante” appena 200 byte. Inizialmente concepito col titolo Invasion 2000, Codename MAT racconta dell'invasione del sistema solare da parte degli alieni Myon e di un ragazzo che viene inserito nel progetto MAT (Mission: Alien Termination), si vede impiantare nel cervello le conoscenze tattiche di tutti i leader del pianeta e finisce spedito all'attacco a bordo della USS Centurion.

Venduto come gioco di strategia arcade, Codename MAT propone una sezione tattica in cui bisogna decidere come muoversi attraverso il sistema solare, per respingere gli attacchi da parte della razza aliena, che si sposta in giro in maniera indipendente. Inoltre, tramite un'apposita apparecchiatura, è possibile analizzare i settori della mappa per capire cosa stia accadendo al loro interno. Dopodiché si passa all'azione in tempo reale, attraverso un motore grafico 3D che piazza a bordo dell'astronave e propone sostanzialmente uno sparatutto spaziale sullo stile di quelli che diventeranno incredibilmente popolari a cavallo fra anni Ottanta e Novanta (e stanno tornando sulla cresta dell'onda grazie a Kickstarter).

Siete stravolti dalla grafica incredibile di Codename MAT? Tranquilli, ora passiamo a qualcosa di più colorato e puffettoso. La scorsa settimana ho chiacchierato di Qwak! e segnalato i motivi per cui è difficile non considerare Duck Hunt, di dieci anni successivo, una specie di clone evoluto del gioco Atari. Beh, oggi, ovviamente, non posso fare a meno di parlare per l'appunto di Duck Hunt per Famicom, pubblicato da Nintendo in Giappone il 21 aprile del 1984 (arriverà poi in America nel 1985 e in Europa nel 1987).

Che poi ci sarebbe il Duck Hunt di Sega del 1969. Come la mettiamo?

L'ispirazione "ufficiale" per Duck Hunt viene identificata in giocattolo elettronico del 1976, chiamato Beam Gun: Duck Hunt e creato da Gunpei Yokoi e Masayuki Uemura. Il che, fra l'altro, rende ancora più probabile il sospetto che si siano ispirati al gioco di Atari, uscito appena un paio di anni prima. Yokoi partecipa comunque anche alla creazione di Duck Hunt per Famicom/NES, nelle vesti di produttore, e contribuisce così a dare vita a uno fra i giochi Nintendo a 8 bit che ancora oggi vengono ricordati con più affetto, nonostante la sua estrema semplicità.

Incentrato sull'utilizzo della Zapper, la pistola ottica della console a 8 bit Nintendo, il gioco richiede di abbattere anatre o piattelli a gruppi di dieci per round, con solo tre proiettili a disposizione per ogni "lancio". Ogni round propone un numero minimo di bersagli da colpire per poter proseguire e ovviamente basa il punteggio sul numero di errori commessi. Una volta superato il round numero 99 (io, onestamente, non credo di avercela mai fatta), scatta il livello extra impossibile e la partita si conclude.

Duck Hunt vanta anche una specie di modalità multiplayer, dato che un secondo partecipante può usare il pad per controllare il volo delle anatre, ma il vero multiplayer arriva nell'edizione Nintendo vs. da sala giochi, che propone due pistole e un sistema di sfida diretta con tanto di vite e regole apposite. Fra gli aspetti più amati e ricordati di Duck Hunt, comunque, c'è senza dubbio il cane da caccia che si manifesta a schermo e ride del giocatore in caso di prestazione scadente. Tra l'altro, come da tradizione di quegli anni, il cane darà vita a una leggenda urbana: c'era chi giurava che fosse possibile sparargli... e in effetti era possibile farlo, ma solo nell'edizione da sala menzionata sopra.