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Nihilumbra giocato sulla tazza del cesso

Nonostante la natura ibrida di Switch, di questi tempi finisco sempre per giocarci soprattutto in modalità docked. Un po’ perché non faccio vita da pendolare, e in generale viaggio poco e malvolentieri. Ma soprattutto perché quando gioco amo starmene spaparanzato sul divano, davanti al televisore. Persino tablet, smartphone e PC mi fanno passare la voglia, ché in fondo sono una vecchia vacca da console domestica.

In scia alla mia indole, quando ho lanciato Nihilumbra per la prima volta me ne stavo, appunto, svaccato sul divano; e non mi ero preso nemmeno la briga di informarmi troppo riguardo al gioco spacciatomi da giopep. Oddio, sapevo che era stato originariamente progettato per dispositivi portatili touchscreen iOS e Android, questo sì; e che in seguito è riuscito a infilarsi un po’ dappertutto, tra Wii U, PlayStation Vita e PC. A partire da questo mese è disponibile anche su Switch, che ormai è assurto al rango di buttadentro per gli indie.

Sviluppato nel 2012 dallo studio spagnolo BeautiFun Games e diretto da Kevin Sardà Pérez (in seguito approdato a Tequila Works come lead designer di Rime), Nihilumbra è sostanzialmente un platform con elementi puzzle e una spruzzatina (ina ina) di metrodvania, giusto per quel che concerne i “power-up cromatici” utili a praticare determinate aree di gioco altrimenti inaccessibili.

Nei panni di Born, il giocatore è chiamato ad attraversare cinque aree divise a loro volta in una manciata di quadri, cercando di sfuggire a una sorta di vuoto che ricorda parecchio il Nulla de La storia infinita.

All’inizio Bord è poco più che un aborto di tubero, giusto in grado di saltare o deambulare. Tuttavia, dopo aver assunto la silhouette di uno spaventapasseri, attraverso l’esplorazione dei vari livelli recupererà una serie di poteri simbolicamente legati ai colori. A ciascun colore, corrisponde una diversa possibilità di intervento sulla fisica: il blu, ad esempio, consente a Born di creare delle piste di ghiaccio e di “cavalcarle” in velocità, un po’ tipo l’Uomo Ghiaccio dei fumetti Marvel. Il verde rende le superfici gommose, il marrone appiccicose. Il rosso è un potere offensivo, e viene utile per appicciare il fuoco sotto al culo dei nemici, mentre il giallo conferisce il controllo sull’elettricità. Una volta accumulati i vari poteri, sarà anche possibile sommarli e alternarli a piacere, ma mai mescolarli.

I vari poteri sono stati pensati bene: divertenti da usare e versatili.

Quello che non sapevo - tornando al me stesso stravaccato sul divano - è che su Switch tutta la faccenda della manipolazione dei colori è gestibile esclusivamente via touchscreen. Ergo: dopo averle provate tutte, schiacciato pulsanti a cazzo e mosso cose, mi sono costretto a staccare la console dal dock per affrontare la sfida in modalità portatile. Per fortuna mi scappava, e sul momento la cosa non mi è seccata più di tanto. Anzi, giocare al cesso mi ha fatto piacere.

Tuttavia, è un po’ un peccato che in sede di port non sia stata studiata una qualche soluzione alternativa. Su PC hanno abbozzato con il mouse, ad esempio. È pur vero che il gameplay di Nihilumbra richiede un minimo di precisione e, soprattutto, velocità d’esecuzione, e non so se sarebbe stato possibile raggiungere un buon compromesso attraverso i controlli di Switch. Però, così a pregiudizio, ho la sensazione che non ci abbiano nemmeno provato.

Tornando alle meccaniche: se da un lato tutta la faccenda di pasticciare con i colori è piuttosto sfiziosa, è anche vero che nel corso dell’avventura non viene sfruttata a sufficienza. Il level design è piuttosto chiuso, e lo schema dei vari mondi è sempre lo stesso: arrivi e cerchi il colore di turno. Una volta recuperato il relativo potere affronti i percorsi prima inespugnabili, fino alla volata con il Vuoto alle calcagna.

Certo, col proseguire dell’avventura e l’aumentare dei poteri le cose si fanno più varie, ma non troppo. E tutto sommato si sarebbe potuto osare di più anche con la fisica. Ora, non pretendo tutte le volte uno The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ma l’idea che, ad esempio, sotto al sole del deserto il ghiaccio non si squagli almeno un po’, beh, mi ammoscia. Vorreste farmi credere che si tratti di una specie ghiaccio magico, o cosa?

Ad ogni modo, il primo giro con Nihilumbra è davvero facile; gli enigmi sono al limite del banale, e si arriva alla fine dell’avventura in due o tre ore. Tuttavia, la prima run è a tutti gli effetti un tutorial per sbloccare la modalità Void, che oltre ad accrescere drasticamente il livello di difficoltà del gioco, conferisce a Born tutto il suo set di poteri sin dall’inizio. Non si tratta di mero backtraking, ché davvero si coglie lo sforzo di rimodellare l’esperienza. Tuttavia, faccio un po’ fatica ad afferrare la necessità di questa scelta, soprattutto perché tra le due anime di Nihilumbra c’è una differenza di bilanciamento pazzesca. Insomma, mi chiedo se non sarebbe stato più logico proseguire l’avventura principale con delle aree nuove di zecca, o più semplicemente ragionare meglio sulla difficoltà fin dall’inizio.

Per provare a schiarirmi le idee, ho stalkerato Kevin Sardà Pérez fino a incappare in questo suo commento su Steam, proprio in seno a una discussione riguardo la liceità della modalità Void:

Eppure, devo ammettere che la componente narrativa di Nihilumbra, esposta attraverso una voce fuori campo, non mi ha coinvolto granché.

Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte, e del resto stiamo parlando di un gioco uscito originariamente nel 2012 e destinato ai dispositivi mobile: se prendo a immaginare la gestione del target, mi viene mal di testa. Comunque, a quattro anni dall’uscita Nihilumbra si presenta con un comparto artistico ancora piuttosto gradevole (per quanto derivativo e un po’ monocorde), e per i 6,99 € che costa vale almeno un pensierino. Peccato solo per la limitazione alla modalità portatile, e per quella scelta di sdoppiare il gioco che davvero non mi va giù.

Ho giocato a Nihilumbra su Switch grazie a un codice fornito dallo sviluppatore. Ho finito la modalità normale nel giro di, boh, quattro ore? Per poi intraprendere la modalità Void. Riguardo alla componente narrativa tanto cara a Kevin Sardà - al punto da fargli scomporre il gioco - personalmente l’ho trovata un po’ pretenziosa. E da un certo punto in avanti (incredibilmente, se penso alle mie abitudini) me ne sono proprio sbattuto il cazzo.

Fatti i cazzi tuoi!