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Quando Nicolas Cage è stato un angelo dalle ali e dal cuore spezzato

Era il 1998, anche se il periodo esatto non me lo ricordo. A quel tempo, accendere la TV e mettere MTV in sottofondo era la cosa più naturale al mondo, qualunque cosa si stesse facendo. Era anche l’unico modo per ascoltare le hit musicali del momento: d’altronde, a quel tempo YouTube e tutto quello che abbiamo oggi non c’era, così come non esistevano gli MP3, e l’unico modo per “possedere” una canzone era quello di posizionarsi su una stazione radio con il dito pronto sul tasto REC e aspettare che passasse il pezzo che ci interessava, altrimenti ci si doveva imbarcare nell’acquisto dei CD. Ma eravamo tutti studenti e chi ce li aveva i soldini? Comunque, quell’anno, fra tanti, il quarto d’ora di celebrità lo ebbe il brano Iris della band statunitense Goo Goo Dolls, che tra l’altro credevo estinta da un pezzo e invece scopro che sono ancora in attività, ed è evidente che qualcuno se li fila ancora oggi dal 1998. Comunque, il brano in questione ebbe un certo successo, ed era parte della colonna sonora (che comprendeva, fra gli altri, brani di artisti come U2, Jimi Hendrix, Peter Gabriel ed Eric Clapton, mica pizza e fichi) del film City of Angels, a sua volta remake non del tutto ufficiale (o “ispirato” se vogliamo dirla tutta) di un film più vecchio, Il Cielo Sopra Berlino.

A quel tempo, City of Angels era, molto probabilmente, il film più lontano possibile dalla mia persona e dai miei gusti: per me, che avevo consumato le VHS di Heat e Quei Bravi Ragazzi, l’idea di poter vedere un film romantico o che fosse anche solo vagamente d’amore mi faceva venire l’orticaria. Il massimo del romanticismo che avrei potuto sopportare era la sofferenza di Eric Draven per aver perso la sua Shelley fra una eliminazione e l’altra ne Il Corvo.

Poi, si sa, gli anni passano, la vita e le esperienze ti cambiano e finisce che ti ritrovi a scrivere un pezzo proprio su City of Angels, l’ultimo film che avresti mai pensato di guardare in vita tua.

Siamo a Los Angeles (e dove sennò?), Nicolas Cage veste i panni scuri e con lo spolverino tanto di moda in quegli anni di Seth, un angelo che assiste le persone mentre stanno per lasciare il mondo terreno e passare a miglior vita. Seth, così come tutti gli altri angeli, è privo di tutte le debolezze umane: non soffre, non sente dolore, non ha fame né sonno, ed è immortale. Può essere visto solo dalle persone che stanno per morire, a meno che non sia lui a volersi far vedere veramente. Mentre assiste un uomo durante il “passaggio”, comincia a provare una certa attrazione per la Dottoressa Maggie Rice, che aveva operato quell’uomo senza riuscire a salvarlo, sentendosi in colpa e dubitando delle sue capacità. Seth, a causa dell’attrazione che prova per la donna, decide di farsi vedere e stabilisce un legame con lei. L’attrazione è reciproca e, neanche a dirlo, cupido ci si mette in mezzo, con Seth che viene colpito dalla debolezza umana più forte e peggiore di tutti: l’amore.

A questo punto, data anche l’alta probabilità di disinteresse del pubblico di Outcast per un film del genere (e come darvi torto?), mi preme sottolineare una cosa: City of Angels non è solamente un film romantico, né tantomeno un film d’amore nel senso più classico del termine: è un film che parla soprattutto di scelte, dell’impossibilità di stare insieme, di rinunce, di perdite e di quanto la vita sia spietata e imprevedibile. Si tratta anche di una pellicola che può essere maggiormente apprezzata avendo vissuto determinate situazioni ma, tanto per dire, non è il Love, Actually di turno.

Fatta questa precisazione, il film prosegue con Seth che, pur di stare con la donna che ama, rinuncia alla sua immortalità e al suo status di angelo “cadendo” sulla Terra, seguendo l’esempio di un suo “collega” che ha fatto quella scelta anni prima (il simpatico Dennis Franz, noto ai più come Andy Sipowicz di New York Police Department). Ma la vita mortale, come spesso accade, tanto da e, soprattutto, tanto toglie. Anche superato lo scoglio della diversità fra i due, dopo la rinuncia di Seth, il loro legame viene spezzato da un evento tragico, perché certe cose, se non è destino che accadano, non accadranno mai.

E così il nostro povero Nic Cage si ritrova a dover vivere una normale vita umana, ormai solitaria, e accompagnato da un forte dolore emotivo che, forse, prima o poi supererà, senza più poter tornare indietro e riacquistare i privilegi della sua condizione precedente, segno che in queste situazioni spesso e volentieri si dà ascolto al cuore e mai alla testa, le cui ragioni sono invece quasi sempre quelle da seguire per farsi meno male possibile.

City of Angels fu il primo film che Cage girò dopo la trilogia action The Rock – Con Air – Face Off, ennesimo segno della sua filmografia schizofrenica, ma non fu l’unico film di genere che girò nella sua carriera, tant’è che solo qualche anno dopo prese parte a Il Mandolino del Capitano Corelli. Il film non è diventato un cult e di certo non costituisce una pietra miliare nella filmografia di Cage, ma è una pellicola che, per chi non è completamente fatto di pietra o non detesti profondamente il genere, vale la pena di vedere almeno una volta, anche solo per capire quanto il desiderio e la sofferenza rappresentino una costante nella nostra sciagurata vita da esseri umani.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Nicolas Cage, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.