Outcast

View Original

Librodrome #32 - Tutto quello che fa male ti fa bene? Parla per te, Steven Johnson

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit. Il titolo del gradevole e appassionato tomo quivi recensito non è affatto una legge universale: a me, ad esempio, gli spinaci e la bietola ("magn', zizì!") fanno parecchio male, altro che crescere sano e forte! Mi mandano letteralmente all'ospedale, dentro una sala operatoria, ma questa in fondo è un'altra storia, un'altra recensione, precisamente quella di Jacob Jones and the Bigfoot Mistery, che non ho mai scritto dalla stanza numero 13.

In vendita anche al Segnalibro 23, la nuova libreria di Braunluis, via Pollione 23, 66100 Chieti.

Il punto è che, a distanza di parecchi anni dalla sua prima pubblicazione, ho riletto con piacere e persino qualche sprazzo di stupore Everything bad is good for you di Steven Johnson (Saggi Mondadori). Tanto più che su Outcast non se n'era mai parlato prima, quindi ecco un libro facile, sfizioso e interessante, ottimo da regalare senza troppo impegno agli scettici, agli apocalittici o a qualcuno non troppo intelligente. Il titolo italiano, per dovizia, è esattamente questo: Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti? Secondo Johnson, giornalista per Discover Magazine, Wired, Slate e New York Times, oltre che studioso di neuroscienze, la cultura di massa negli ultimi trent'anni è diventata, in media, più complessa e intellettualmente impegnativa: si tratta di una riscontrabile tendenza, per cui i media più diffusi stanno rendendo costantemente più acuta la nostra mente, altro che ottusa!

Dipende dal fatto che le trame dei film del grande schermo o degli sceneggiati in televisione si evolvono continuamente in termini di complessità, richiedono spettatori allenati, attenti e partecipi, in grado di ricollegare concetti e attivare competenze multiple per colmare vuoti narrativi. Inoltre, dipende dai molteplici esperimenti di "problem solving" a cui i videogiochi sottopongono "gioconaturaldurante": prodotti di massa che estendono le abilità cognitive più di quanto sia possibile con la sola lettura. Sebbene le premesse di Johnson siano oggigiorno palesemente scadute, non più valide, le conseguenze restano sempre le stesse, ineluttabili: "Nulla è più convenzionale dell'opinione diffusa in base alla quale sarebbe meglio se i bambini di oggi passassero più tempo a leggere i libri e non stessero a perderlo davanti ai videogiochi. […] I videogiochi non sono romanzi, e i modi in cui accolgono aspirazioni romanzesche sono sicuramente la cosa meno interessante. Si possono giudicare i videogiochi tramite i criteri designati per valutare i romanzi: i personaggi sono credibili? Il dialogo è complesso? Ma inevitabilmente, i videogiochi risulteranno inadeguati. I videogiochi valgono a raccontare storie romanzesche quanto Michael Jordan vale come giocatore di baseball. Entrambi potrebbero cavarsela, ma i loro talenti più autentici risiedono altrove."

Vallo a dire a TellTale Games, Steven.

Ma ecco l'esilarante escamotage che risolleva il morale, la giornata e le sorti di questo Librodrome: cosa succederebbe se, in un mondo ipotetico/parallelo nel quale i bambini giocano da sempre con i loro videogiochi, tutto ad un tratto arrivassero dei nuovi testi impaginati chiamati "libri", generando scalpore e preoccupazioni sociali a parti invertite?

Amici, oggi leggiamo assieme la favola di Resident Evil. Restiamo vicinivicini.

Presto detto: "Leggere libri sottostimola cronicamente i sensi. A differenza della lunga tradizione dei videogiochi – che assorbono il bambino in un mondo vivido, tridimensionale, pieno di immagini in movimento e paesaggi sonori, che si esplora e si controlla attraverso complessi movimenti muscolari – i libri sono semplicemente un’inutile striscia di parole su una pagina. Durante la lettura viene attivata soltanto una piccola parte del cervello dedicata all’elaborazione del linguaggio scritto, mentre i videogiochi impegnano l’intera gamma delle cortecce sensoriali e motorie. I libri inoltre portano tragicamente a isolarsi.

Mentre i videogiochi, da anni, impegnano i giovani in complesse relazioni sociali con i loro coetanei, che costruiscono ed esplorano mondi insieme, i libri costringono il bambino a rinchiudersi in uno spazio silenzioso, lontano dall’interazione con altri bambini. Queste nuove biblioteche che sono sorte negli ultimi anni per facilitare le attività di lettura sono spaventose alla vista: decine di ragazzini, normalmente vivaci e socialmente interattivi, seduti soli in degli stanzini, a leggere in silenzio, incuranti dei propri coetanei.

Ma forse la caratteristica più pericolosa di questi libri è il fatto che seguono un percorso lineare fisso. Non è possibile controllarne la narrazione in alcun modo: ci si siede semplicemente in disparte e la storia viene imposta. Per chi di noi è cresciuto con la narrazione interattiva, questa caratteristica può sembrare incredibile. Perché dovremmo imbarcarci in un’avventura totalmente preparata da un’altra persona? Eppure la generazione di oggi lo fa milioni di volte al giorno. Questo rischia di instillare una passività generale nei nostri figli, facendoli sentire impotenti di cambiare gli eventi. Leggere non è un processo attivo, partecipatorio; è un processo remissivo. I lettori di libri della generazione dei giovani stanno imparando a seguire la trama invece di imparare a condurla."

Compratelo e regalatelo a qualcuno, il prezzo è equo, la lettura fruibile, non fa male.

Questo si che fa male. In questo campo di spinaci, io morirei.