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Librodrome #57 - Doom. Giocare in prima persona. E frechete.

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Non ve lo devo certo dire io, ma Doom di id Software fu una dirompente rivoluzione di massa e impose un nuovo paradigma videoludico, concedendo ai suoi giocatori l'esperienza della soggettività tridimensionale. Inizialmente distribuito per piattaforme DOS in forma di shareware, lo sapete, Doom era nientepopodimeno che un moderno rito pagano in formato digitale, incoraggiava espressamente l'etica hacker e l'utilizzo di mod amatoriali creati ad hoc dagli utenti (nel 1997 id Software distribuì in rete il codice sorgente del programma).

Il libro, un tappeto e l’utopia di un universo finzione che sia esperibile con la stessa naturalità con cui percepiamo e ci muoviamo nel nostro mondo.

Doom. Giocare in prima persona di Costa & Nolan è curato da Sue Morris e da Matteo Bittanti, raccoglie sedici contributi firmati da appassionati e ricercatori accademici (Barry Atkins, Matteo Bittanti, Peter Bell, Ian Bogost, Massimo Maietti, Philippe Mora, Stéphane Héas, Francesco Galofaro, Rune Klejver, Sam Hinton, Valentina Tanni, Sue Morris) e dispensa un sofisticato omaggio al videogioco che spalancò dinanzi a sé un'Era.

"Doom offre, per la prima volta, un'esperienza prospettica in prima persona tanto efficace da produrre l'illusione dello sfondamento della visuale", scrive Massimo Maietti nel capitolo intitolato 'Doom, la prospettiva Rinascimentale e la soggettiva videoludica'. La percezione del giocatore non si focalizza più su un avatar "altro", ma ora travalica lo schermo, rendendo l'utente ai comandi l'unico vero responsabile dei propri gesti. "È la visuale in prima persona che arma la forza illocutoria del gesto offensivo: premere il pulsante del joystick equivale a premere il grilletto, e quell'atto diviene un "Io uccido" piuttosto che un "Lara Croft uccide". Ancora una volta, ciò che rende la violenza tale è l'assenza della mediazione rappresentata dal personaggio e dalla modalizzazione secondo il dovere. Il passaggio è trasparente: il giocatore non sta osservando immagini proiettate su una superficie piana, sta percependo un mondo. L’ambizione di Doom è nascondere la propria natura di videogame in quanto interazione fra uomo e macchina."

Fissatelo per 6,66 secondi. Non succede niente.

"Doom è un mito. È un videogame che ha rappresentato il volto lugubre degli anni ’90, per poi conquistarsi un posto duraturo nell’Olimpo della cultura popolare. Ancora, Doom ha tenuto a battesimo un’intera generazione, ha creato e imposto un genere di videogioco, ma più di ogni altra cosa – questa è la tesi del presente saggio – ha dettato le regole di un nuovo paradigma videoludico: ha concesso ai suoi giocatori l’esperienza della soggettività. Chi percorre i corridoi vuoti, temendo e fremendo per l’imminente scontro armato, non è il personaggio, ma il giocatore. Il mondo di gioco è esplorato attraverso una prospettiva in prima persona. Gli occhi del giocatore e quelli del suo simulacro vedono insieme, le orecchie sentono all’unisono. Il personaggio si fa trasparente e si confonde con il giocatore. Paura, orrore, tensione, coinvolgimento sono generati in virtù di questa identità."

Daaiii caaazzo!

L'approccio di Doom. Giocare in prima persona è multidisciplinare, affronta sia il tema della violenza che quello della catarsi, della complessa economia politica dei mod e delle incestuose forme d'ibridazione del videogioco con gli altri media, con particolare attenzione al cinema. Si tratta, in buona sostanza, di un pregevole strumento per ragionare molto più che attentamente sulla rilevanza culturale, ideologica ed estetica che il gioco di id Software impresse al mondo dei videogiochi nel lontano 1993.

Nel bene e anche nel male (il suo portato tecnico ed emozionale superava di gran lunga quello di prodotti similari e, in quanto medium ludico violento e perfettamente capace d'indurre comportamenti mimetici nei suoi utilizzatori, Doom significò persino quella lugubre giornata a Columbine (1999), quando al videogioco di Carmack e Romero furono attribuite le presunte responsabilità sociali e umane della strage di Littleton in Colorado, Doom ha ridefinito il medium videoludico in quanto tale, se non la cultura di massa tutta.

Se non l'avete già fatto, acquistatelo e leggetelo tostissimo.