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La rivincita delle sfigate è il titolo italiano del bellissimo Booksmart. E che ci dobbiamo fare?

Booksmart, giustamente o meno, è stato identificato come una specie di Superbad al femminile. E in effetti, in una certa misura, ci può stare: in fondo, anche qui si parla di ingresso nell'età adulta con un taglio da commedia caciarona adolescenziale; anche qui le risate, seppur stupidine e sbracate, nascondono temi più sofisticati di quanto magari si possa pensare; anche qui il tutto è immerso in un tono malinconico, perfino delicato e toccante, a cui è difficile non voler bene. Inoltre, una delle due protagonista è Beanie Feldstein, sorella del Jonah Hill di Superbad. Bonus: entrambi i film sono vittime delle fantasiose titolazioni italiane, anche se con La rivincita delle sfigate, tutto sommato, è andata meglio che con Tre menti sopra al pelo. Ma ci pensate? Tre menti sopra al pelo. Ci vuole del talento. Tra l'altro, magari non ve lo ricordate, all'epoca, Tre menti sopra al pelo vinse al filo di lana su Maiali dietro ai banchi. Eh.

Comunque, il parallelo ci sta e non ci sta, fosse anche solo perché sono passati dodici anni, il genere si è evoluto e parte della comicità di Superbad, oggi, probabilmente, non funzionerebbe più. Booksmart, pur appartenendo senza dubbio allo stesso filone, è chiaramente un film di un'epoca diversa e si vede nel modo in cui esprime la sua comicità comunque crassa da Rated R. Ma al di là dell'umorismo che si evolve nei decenni, a segnare Booksmart come un film dei suoi tempi c'è un approccio alle dinamiche (post)adolescenziali che, peraltro, rende completamente fuori luogo, oltre che fuori tempo massimo, il titolo scelto dalla distribuzione italiana. Sulla sfiga non mi esprimo, ma quella delle protagoniste non è una rivincita perché non c'è una rivincita da prendersi: Booksmart non racconta la tradizionale "lotta di classe" tra sfigati, popolari, secchioni e via dicendo e, pur appoggiandosi gioiosamente su cliché e caratterizzazioni classiche, mette in scena un mondo più sfumato, nel quale tutti sono persone con un senso, una personalità, una direzione, non ci sono cattivi su cui rifarsi e c'è una visione della gioventù a cui vorresti dare un cinque alto.

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In Booksmart si parla di amicizia, di omosessualità, di sessualità, e lo si fa tra l'altro da un punto di vista femminile, mescolando tutto senza alcun falso pudore, senza imbarazzi. Soprattutto, c'è la schifiltosa sincerità con cui si dovrebbero affrontare certi argomenti ma che troppo raramente vediamo nel cinema mainstream, specie quando ci sono protagonisti del genere. Il merito va innanzitutto alle due eccellenti protagoniste, ma del resto, Beanie Feldstein l'avevamo già scoperta in Lady Bird, e a Kaitlyn Dever si voleva benissimo già dai tempi di Justified. E poi c'è Olivia Wilde, che piazza un esordio da regista di grande padronanza, nella gestione dei tempi - comici e non - nella direzione del cast e anche nel non volersi adeguare al minimo comun denominatore della commedia visivamente mediocre. C'è anzi una bella ricerca estetica e perfino la voglia di sperimentare, con una o due sequenze parecchio fuori di testa, che ricordano per spirito e personalità i Lord & Miller dei due Jump Street. E hai detto niente.

L'ho visto un paio di mesi fa, al cinema, in lingua originale, in quel di Los Angeles, approfittando di un paio d'ore libere prima che iniziassero le conferenze dell'E3. In Francia è uscito direttamente su Netflix e mi giravano i maroni a non poterlo vedere sul grande schermo. Mi è andata di lusso, insomma. In Italia ci esce oggi, al cinema, con quel titolo lì, che non fa presagire un signor adattamento ma insomma, che ci dobbiamo fare.