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La La Land mi ha ricordato che ho un cuore

Quando fai qualcosa per passione, va da sé, la fai perché ti piace più di qualunque altra cosa. Ami praticamente tutto quello che la riguarda, vorresti che tutti la amassero e ne comprendessero tutti i dettagli più infinitesimali come te, che la rispettassero e la trattassero con la riverenza con cui la tratti tu, perché per te quello è l’unico modo per pensare, vivere quel qualcosa di speciale, che ti fa sentire vivo, che ti dà un motivo per svegliarti la mattina e non pensare alle difficoltà della vita. Non importa quante cazzate, quanti errori, quante occasioni perdi per portare avanti quell'amore sconsiderato, per coltivarlo e per trattarlo con il rispetto che merita. Non importa se per alimentare un sogno si finisce a fare un lavoro apparentemente patetico, né tantomeno finire sul lastrico per non svendere quella passione a qualcuno che non è interessato a distinguere tra uno che capisce quello che sta facendo, ne rispetta il passato e ne conosce il presente, o un esecutore senz'arte né parte, un cane maledetto pronto a darti la zampa a comando. Avere una passione, avere un sogno, avere l’amore per qualcosa o qualcuno è la forza motrice più sottovalutata e potente che possa muovere le persone, e per alcuni il rispetto e la forza con cui si vive quell’amore sono l’unica cosa che conta, a prescindere da quanti errori e quanti sacrifici si debbano compiere pur di mantenere viva la speranza di sciogliere le nubi che separano la realtà dal sogno.

Damien Chazelle è uno che ama la musica come poche altre cose al mondo, ma che a detta sua non è mai riuscito a sfondare e, dopo aver lasciato la carriera da batterista ed essersi spostato a Hollywood, si è dato alla scrittura e all’editing di sceneggiature, copioni, scambi di battute… qualunque cosa contenesse del testo da mandare in pasto ad attori e registi. Dopo centinaia di lavori al limite del non creditato, Chazelle ha pensato bene di mettersi dietro alla macchina da presa e girare un corto, che poi è diventato un lungometraggio fatto e finito dallo stesso nome. Whiplash è un’opera prima che è anche una cazzo di bomba atomica, puro cinema di menare come non se ne vedeva dai tempi di Rocky IV, il tutto senza che nessuno effettivamente si menasse, nonostante il sangue scorra a fiumi. E nonostante si tratti di un film che parla di batteristi jazz. Whiplash è un film crudo, cattivo, disilluso e semplicemente splendido, che mette sotto i riflettori la passione per la batteria, per la musica, per un genere che “sono più quelli che lo suonano che quelli che lo ascoltano”. Chazelle ha riversato il cuore, le sue conoscenze, la sua passione e il suo rispetto per il suo primo amore in una pellicola che racconta, senza troppi giri di parole, quanto cazzo sia difficile arrivare in cima, essere il migliore, avere la spinta, la dedizione e le palle di sacrificare tutto pur di raggiungere un sogno tanto difficile da camminare spesso a un passo dall’incubo. Whiplash non è consolatorio, non è mai rassicurante: è una cavalcata di tensione che fa capire quanto la passione da sola non basti per campare di quello che ami, per cui o ti fai il culo a strisce, senza sederti mai sugli allori e crogiolandoti dei complimenti, oppure capisci che devi trovare altri modi per esprimerti e coronare i tuoi sogni. Dopo aver preso quello che capitava e riscritto camionate di copioni, Chazelle ha trovato quel modo di esprimersi tutto suo, di comunicare il suo amore e di portare in scena il rispetto che tutti dovrebbero tributare all’arte che ama, e l’ha trovato dietro alla macchina da presa, con un film pazzesco.

Una rondine non fa primavera, e di opere prime clamorose seguite da fuffa ne abbiamo viste fin troppe. Ma due anni dopo Whiplash, con appena trentadue primavere sulle spalle, Chazelle ha fatto capire a tutti che, oltre alla musica jazz, il suo cuore batte fortissimo anche per il cinema. La La Land è un’altra, clamorosa, lettera d’amore verso la musica di Miles Davis e compagni di cirrosi, messa in scena con una cura, un dettaglio e una scelta di ogni singolo elemento su schermo che è praticamente poesia in movimento. Il regista ha messo su pellicola una favola del giorno d’oggi in cui i due protagonisti, spinti dalla passione (lei per la recitazione e la scrittura, lui per la musica), finiscono per intrecciare le loro storie di ordinaria disillusione fino al punto in cui, inevitabilmente, la vita non li metterà davanti a delle scelte fondamentali, che li porteranno a mettere in discussione il proprio cuore, il rispetto per loro stessi e per quello che fanno, le priorità per il futuro.

La La Land è una storia agrodolce, bellissima, che arriva con una potenza che mai ho vissuto al cinema: nonostante, fin dal primissimo momento, ci sia un sacco di gente che balla e che canta, il film di Chazelle va oltre l’etichetta stantia di musical fino a trascendere a qualcosa di nuovo. Come suggerisce uno scambio di battute all’interno del film, La La Land è sì rispettoso, amorevole e fondamentalmente classico, ma allo stesso tempo è fresco, frizzante, e ti insegna ad amare qualcosa che pensavi non fosse più adatto a questa epoca. Coloratissimo e adorabile quando deve farti innamorare della luce naturale impossibile delle colline di Los Angeles, potentissimo e amaro quando deve picchiarti in faccia con la forza di una realtà che ti ricorda che la vita, per quanto bella possa diventare, non sarà mai come te la immagini nei sogni.

La La Land, grazie a una regia appassionata e due attori splendidamente disarmanti nella loro bravura totale, ti illumina per centoventotto minuti, lasciandoti sulla tua seggiolina con gli zigomi doloranti dal sorriso e gli occhi gonfi di lacrime. Ti scalda il cuore come se avessi ingoiato una stufa accesa e, allo stesso tempo, anche questa volta, ti lascia con un’ultima carezza che è quasi più uno schiaffone, come ti svegliasse da un sogno che vorresti non finisse mai.

Ci sarebbero mille e mille cose da dire su La La Land, sulle prove di un Ryan Gosling che il prossimo che lo addita come inespressivo gli tiro una scatola di cereali in fronte e una Emma Stone che sticazzi Amy Adams, nessuno mai può batterla a ‘sto giro di Oscar. Ci sarebbe da parlare all’infinito del lavoro pazzesco di Chazelle, della sua fotografia incredibile e della sua regia davvero jazzistica, fatta di schiaffetti sulle spalle del cameraman e piani sequenza che Cuarón puppaci la fava. Si dovrebbe parlare per mesi delle composizioni di Justin Hurwitz, tanto struggenti quanto squisitamente pop. Per non dire di quanto la scrittura del film sia perfetta nel suo parlare al cuore - sempre lui - di tutti quelli che hanno una passione che li tiene svegli la notte, sperando che il giorno li porti sempre più vicini a quella destinazione. Cazzo, fosse per me credo parlerei pure di J.K. Simmons per più tempo di quanto non stia effettivamente su schermo. Ma la realtà è che non c'è bisogno di nulla di tutto questo. La La Land è arrivato per restare a lungo, come un classico da storia del cinema di cui parleranno ancora nei libri... o, meglio, come un sogno indimenticabile che ci accompagnerà per tutta la vita.

Gli amici più cari, quelli che mi conoscono bene, mi chiamano amorevolmente "il nazista". Ecco: il nazista, con La La Land, ha totalizzato occhi lucidi x2 e un quasi pianto sui titoli di coda. Fate un po' voi.