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Ho sposato il cofanetto di Cowboy Bebop

C'era una volta un gatto, un po' speciale. Nel corso dei secoli, era morto e rinato più di un milione di volte. Era stato allevato da generazioni di uomini verso cui non aveva provato che indifferenza. Non temeva la morte. A un certo punto decise di diventare un libero gatto randagio. Incontrò una bella gatta bianca e vissero insieme felici e contenti. Passarono gli anni e la sua candida compagna, ormai vecchia, si spense. Lui pianse per più di un milione di volte, e poi la seguì. Non rinacque più.

Quel gatto sono io, ogni volta che finisco di vedere il ventiseiesimo episodio di Cowboy Bebop, e questo succede ormai molto spesso. “È arrivato il fenomeno” penserà - giustamente - chiunque, ma l’anime diretto da Shin'ichirō Watanabe è in assoluto quello che più ho amato, amo e probabilmente amerò, ma anche una fra le opere artistiche a cui sono più affezionato in assoluto, assieme a mostri sacri come Led Zeppelin I e II, The Blues Brothers e poche altre cose di cui non è necessario fare ora l’elenco.

Il primo incontro con Spike e compagni, sfortunatamente, non lo ricordo con precisione, perché nel 1999, anno in cui le vicende dei cacciatori di taglie vennero trasmesse per la prima volta su MTV, durante la prima Anime Night della storia, alla veneranda età di otto anni, guardavo ancora randomicamente la televisione e, soprattutto, non prestavo molta attenzione a ciò che guardavo, riuscendo difficilmente ad interessarmi con fervore a qualcosa. Sicuramente, qualche episodio di Cowboy Bebop lo guardai e altrettanto sicuramente restai affascinato dalle immagini di quel cartone animato, che stranamente trasmettevano di notte su MTV. Queste immagini lasciarono un segno indelebile nel mio cervello, perché, associate a quella sigla di apertura, che è di gran lunga la migliore mai creata per un anime, ogni tanto tornavano in mente, quasi come degli improvvisi flash, per poi rifugiarsi nel cassettino segreto della memoria, pronte ad essere scoperchiate - come il vaso di Pandora - dall’amico di turno, anche lui invasato di anime e videogiochi. Quell’amico si palesò alle medie, quando nel gruppo di Warhammer e Dungeons & Dragons iniziammo a parlare assiduamente anche di anime e manga (ai tempi, One Piece regnava sovrano). A un certo punto, uno di questi compagni di merende se ne venne fuori con Cowboy Bebop, un anime il cui nome mi diceva qualcosa, ma non chiaramente. Siccome in quell’istante eravamo tutti a casa sua (che ringrazierò per sempre, fino alla fine dei miei giorni), continuando a parlare di questo anime, le lampadine in testa continuarono ad accendersi ad un ritmo sempre più sostenuto, fino a quando non mi venne in mente la “brillante” idea di chiedere: “Uè, figa, che c’hai il DVD, di ‘sto coso?” (ero un pischello milanese, quindi potrei aver detto veramente questo). Tutto raggiante, il divin amico corse in camera, rovistò nella libreria e, dopo pochi, secondi tirò fuori Quel Cofanetto. Apriti cielo. Il mio cervello esplose e mi tornarono in mente tutti quegli episodi visti distrattamente qualche anno prima, come in uno di quei flashback interminabili che durano quattro puntate di Holly & Benji, facendo da quel momento diventare Cowboy Bebop l’amore della mia vita. Naturalmente la reazione fu soltanto un “Minchia, me lo ricordo”, ma romanzare, ogni tanto, non fa male.

Questo immenso amore è causato da diversi fattori - quelli che vengono normalmente elencati parlando delle qualità di un’opera - come la bellezza del disegno, la storia studiata in ogni suo minimo particolare e la colonna sonora, che dovrebbe oggetto di studio formativo per i giovani, ma il principale motivo è che Cowboy Bebop è l’anime che ha accompagnato la mia crescita, permettendomi di, con il passare degli anni, scoprire aspetti e qualità sempre nuovi, che nelle visioni precedenti non avevo colto o a cui non avevo prestato la dovuta attenzione.

Da “pischello”, ti fai prendere dal semplice fatto che si tratta di un anime, ma essendo un signor anime, ti lascia dentro quel non so che in grado di non fartelo dimenticare e di anzi farti venire voglia di rivederlo a breve. Crescendo, quando finalmente ti decidi e lo riguardi, inizi ad apprezzare il mondo in cui è ambientata l’opera, quel futuro post apocalittico che però non è propriamente post apocalittico, perché la vita sulla Terra sì non c’è più, ma si è trasferita tranquillamente - con i suoi pro e contro - su Marte e in altri pianeti della nostra galassia.

Progredendo in questa scoperta graduale, noti la bellezza della mistione tra il futuro sopracitato e alcune situazioni, costumi e musiche molto anni Ottanta, quasi Settanta, quindi risalenti al passato anche per gli spettatori dell’anime negli anni Novanta. A tutto questo, puoi aggiungere anche dei protagonisti che vengono inseriti gradualmente e le cui storie vengono trattate con la giusta calma, senza alcuna fretta e senza soprattutto mischiarle eccessivamente tra loro, riuscendo così a creare qualcosa che, nei suoi 26 episodi, rasenta la perfezione e ti permette ogni volta di notare un particolare di Spike, Jet o Faye che prima ti era sfuggito. Mancherebbe giusto una cosa per rendere il tutto un capolavoro assoluto. Cosa? Una colonna sonora capace di rendere ogni scena speciale, unica, ma soprattutto un tutt’uno tra audio e video. C’è? Ma naturalmente, e il finale del tredicesimo episodio è forse uno fra gli esempi migliori da proporre per far capire questa cosa.

C’è poco da dire, questa colonna sonora è un’opera oggettivamente incredibile, lodata - giustamente - dalla maggior parte delle persone che l’hanno ascoltata e capace di essere incredibile anche se riprodotta tranquillamente sul proprio stereo, senza sapere che si tratta appunto della colonna sonora di un anime. Sarà un caso, ma tutte le volte che ho furbescamente fatto sentire a qualche amico Tank, Space Lion o Fantaisie Sign, nessuno hai mai pensato si potesse trattare dell’OST di Cowboy Bebop, elogiando semplicemente la qualità delle canzoni, e questo è avvenuto anche per i brani presenti all’interno dell’unico film prodotto, uscito ormai nel lontano 2001.

Ecco, il film. Come sempre avviene per gli OAV usciti dopo la fine di una serie, ci sono quelli che lo odiano, quelli che lo amano, chi lo interpreta come il vero finale dell’anime, chi non è a conoscenza della sua esistenza e così via. Di Knocking on Heaven’s Door (noto da noi come Cowboy Bebop – Il film) è possibile pensare quello che si vuole, ma non si può che apprezzare la scelta di creare semplicemente un episodio di circa due ore che si inserisce tra gli episodi 22 e 23, con tutte le caratteristiche dell’anime, senza però andare ad intaccare la storia perfettamente delineata nei canonici 26 episodi della serie.

Come già accennato sopra, una qualità incredibile dell’anime è la capacità degli autori di sapere inserire la traccia perfetta a corredo di determinate scene, e questo è avvenuto fortunatamente anche all’interno di questo film. È “facile” creare una scena d’inseguimento tra aerei che risulti perfettamente animata, piena d’azione, con spunti originali e una tensione sempre palpabile, come è altrettanto “facile” scrivere e suonare una canzone di gran qualità che sia allo stesso tempo piena di energia. Altrettanto “facile” è anche riuscire a unire perfettamente queste due cose, com’è successo in una tra le scene finali del film.

Questa importanza della musica all’interno dell’anime, unita alla qualità della musica stessa, può essere per molti una semplice freccia da aggiungere alla faretra di Cowboy Bebop, ma per il sottoscritto, patologicamente malato di musica, è stata quella particolarità che mi ha fatto dire “sì, è lei quella giusta. Voglio sposarla”. Ora, io e il cofanetto di Cowboy Bebop conviviamo felicemente da più di dieci anni e presto avremo dei figli, perché è definitivamente arrivato il momento di aggiornare tutta la libreria con le versioni in Blu-ray.

Questo essere malati di musica, causa principale dei palesi problemi mentali scaturiti dall’amore per questo anime, è complicato, dispendioso e spesso stancante, soprattutto se sei un simpatico italiano, visto che molti artisti snobbano bellamente il nostro amato stivale, ma alla fine si tratta di una malattia capace di regalarti grandi emozioni. Se poi dei simpatici giapponesi decidono di creare qualcosa che riunisca gran parte delle tue passioni in una singola opera, rendendo il tuo principale amore un aspetto fondamentale e bellissimo di questa, allora si tratta di una malattia magnifica ed è bellissimo esserne affetti.

Le parole qui sopra sono rigorosamente prive di ogni forma di oggettività, anche perché la visione del ventiseiesimo episodio di Cowboy Bebop risale a fine gennaio, quindi la ferita non si è ancora rimarginata. Se qualcuno se lo stesse chiedendo, Netflix non ha mai annunciato qualcosa di inerente Cowboy Bebop. Mai. Hanno parlato di qualcosa in live action su un certo Cowboy Pippo. Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alita e alla fantascienza giapponese moderna, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.